Parigi, 13Arr. e la colonna sonora di Rone: così ho riscritto il film di Jacques Audiard [INTERVISTA]
Abbiamo intervistato Rone, il compositore della colonna sonora, in nomination ai premi César che si terranno il 25 febbraio 2022, dell’ultimo film di Jacques Audiard: Parigi, 13Arr. (Les Olympiades), in uscita nelle sale il prossimo 24 marzo 2022.
È uscito il 28 gennaio 2022 in CD e LP, per InFiné, Parigi, 13Arr. (Les Olympiades), la colonna sonora composta da Rone per l’omonimo film di Jacques Audiard che uscirà, con il titolo di Parigi, 13Arr., nelle sale italiane il prossimo 24 marzo.
Parigino di periferia, classe 1980, al secolo Erwan Castex, Rone è un autodidatta che è riuscito a imporsi tra i grandi protagonisti della scena elettronica francese e internazionale, con un César, il più alto riconoscimento del cinema francese per un compositore, già conquistato nel 2021 per il film Night Ride di Frédéric Farrucci.
Lo raggiungiamo via mail per chiedergli di rivelarci quali sono state le ispirazioni che lo hanno guidato nella scrittura delle sedici tracce che, più che puntellare, avvolgono, tra sensualità e mistero, spirito contemporaneo e respiro del classico, lo sviluppo dell’ultimo film – in un rigoroso e abbacinante bianco e nero – del grande maestro del cinema francese.
Rone: “Jacques Audiard è uno dei migliori registi di tutti i tempi. A me ha dato fiducia e libertà”
Cinematographe: Partiamo dall’inizio. Com’è stato contattato da Jacques Audiard e quali sono state le sue richieste per dotare il film di una chiara identità sonora?
Rone: All’inizio del 2021, Jacques mi ha contattato e mi ha proposto di comporre le musiche del suo nuovo lungometraggio Les Olympiades. Qualche giorno più tardi abbiamo guardato insieme il film e, terminata la visione, abbiamo parlato a lungo dei suoi desideri e dei suoi riferimenti. In seguito, mi sono chiuso nel mio studio, dove ho proiettato di continuo, quasi ossessivamente, le scene del film ‘trafficando’ con le mie macchine alla ricerca della melodia perfetta, del giusto sound. Tra me e Jacques c’è stato un ping-pong di scambi, ma devo dire che alla fine è stato un lavoro da cui ho tratto molto piacere perché ho sentito di avere massima libertà e massima fiducia da parte del regista: Jacques ha sempre accolto le mie intuizioni, le mie idee, le mie proposte.
Tra me e Jacques Audiard c’è stato un ping pong di scambi, ma ho sempre sentito di essere libero.
C: Prima di cominciare a collaborare, Audiard era tra i suoi riferimenti culturali o artistici? Di solito si lascia ispirare dai film? In generale, non solo da quelli di Audiard…
R: Sì, assolutamente. Considero Jacques uno dei migliori registi di tutti i tempi. Quando mi ha chiamato, beh, mi sono sentito su una nuvola. Il cinema è una grande ispirazione per me; d’altra parte, ho studiato cinema prima di lanciarmi nella carriera musicale. Guardo ancora tantissimi film, fa parte della mia routine. Ho sempre attribuito grande importanza ai videoclip e, anche quando lavoro in studio di registrazione, tendo a ragionare in termini cinematografici: suspense, climax, epilogo…
C: La colonna sonora che ha composto sembra situarsi in un luogo mediano tra la sensualità avvolgente propria dell’analogico e la rarefazione, molto contemporanea, del digitale. È pienamente nel nostro tempo e al di fuori di esso. Forse, dipende dal fatto che il film stesso si colloca a metà tra cronaca e meditazione universale sulle complessità umane e, del resto, le nostre relazioni sentimentali, che il film riflette molto bene, restano sì ancorate alla ‘carne’, ma sempre più si affidano (ed evaporano) nel virtuale. Come è riuscito a raggiungere l’equilibro tra corporeità e incorporeità? E quali sono le ragioni narrative dietro questo equilibrio?
R: Il primo montaggio che Jacques mi ha mostrato aveva una musica di riferimento: Schubert, pressoché dappertutto. La prima cosa che Jacques mi ha detto, quando siamo usciti dalla sala, è stata: “Voglio qualcosa di più moderno!” Ho capito rapidamente che, se Jacques mi aveva contattato, è perché si aspettava che sia la sonorità sia la produzione fossero elettroniche e, nel contempo, non voleva che l’effetto risultasse troppo freddo. È vero che nel film c’è molta sensualità, molto sesso, molte ‘carni nude’… era necessario trovare qualcosa di organico. Ho l’impressione di aver affrontato la composizione seguendo due diverse strade: da una parte, ci sono i campi lunghissimi, funzionali al racconto d’ambientazione, i larghi spazi del paesaggi urbano, e lì la musica deve riempire e illustrare; dall’altra, le scene in cui l’interesse maggiore è rivolto ai personaggi e alla loro intimità devono riflettersi in composizioni più morbide, in sonorità più delicate.
La colonna sonora, al primo montaggio, ha deluso il regista: voleva qualcosa di più moderno. Da me si aspettava l’elettronica, ma allo stesso tempo non voleva che fosse troppo fredda.
C: Ascoltando la colonna sonora, è impossibile non percepire un brivido. Forse, nel comporla, ha pensato che, in fondo, anche l’amore è un thriller e come tale va trattato.
R: Una volta Alfred Hitchcock ha detto: “Io giro le scene d’amore come quelle di omicidio”. Aveva ragione: è sempre interessante creare una sfasatura, una discrepanza, non aderire fedelmente a quel che si vede, altrimenti c’è il rischio di diventare noiosi, persino cheap.
Rone: “Il cinema è come un sogno, si può solo viverlo immergendosi, lasciandosi trasportare”
C: Le tracce sembrano trasportare l’ascoltatore nel mondo del sogno o in un mondo comunque sognante. Era interessato a evocare l’esperienza onirica?
R: Non in particolare. O meglio, è alla radice. È il carattere della mia musica, impregnata di materiale onirico, non è qualcosa che abbia fatto in modo speciale per questo film. Il mio modo di lavorare è molto carnale, mi lascio trasportare. Faccio tutto d’istinto. Cerco di non intellettualizzare troppo il processo.
C: Ma qual è la sua relazione con il sogno? Il sogno, se prestiamo attenzione ai suoi simboli, può rivelarci qualcosa del nostro inconscio. L’inconscio nutre la sua musica?
R: I sogni sono la materia cruda del mio lavoro. Mi concedo regolarmente dei riposini sul divano del mio studio. E lì mi accorgo di quanto io venga nutrito da questo stato di semi-coscienza: libera alcune cose, è come lasciarsi trasportare da una forza interiore, ancora una volta senza intellettualizzare. Il cinema è una forma di sogno: si può entrare dentro il film e vivere la storia come un personaggio.
C: Il cinema è un’arte sintetica. Un film è basato uno sceneggiatura, ma poi mescola linguaggio verbale e linguaggio visivo. E c’è la musica, anche. Il compositore è uno scrittore che utilizza il suono per scrivere. Ma che cosa può essere detto solo in questo modo? E che cosa la colonna sonora che hai composto aggiunge alla comprensione della storia del film?
R: Sono d’accordo. Per tradizione, il regista francese è, in genere, molto letterario e dà un’importanza solo secondaria alla musica, ma Jacques Audiard è un’eccezione. Per lui la musica non è solo illustrativa, è parte della scrittura del film, esattamente come la sceneggiatura e il montaggio. A lui piace scoprire che il lavoro finale è diverso da quello che aveva immaginato: vuole essere sorpreso dal suo stesso film. Quasi che la musica, sovrapponendo la sua ‘scrittura’, potesse rivelare fosse in grado di rivelare qualcosa sull’immagine.