Massimiliano Russo parla di Altavoce, dalla violenza alle location del film

A ottobre è atteso il film Altavoce, scritto e diretto da Massimiliano Russo di cui trovate il precedente lungometraggio Transfert su Prime Video. Prodotto dalla Change of (he)art, Altavoce segue quattro personaggi con quattro storie diverse analizzando il concetto di violenza a 360 gradi. La violenza di genere, razziale, sul lavoro e la violenza affettiva. 

Avvolto in un’atmosfera sospesa dai toni thriller e mistery, il film alterna dialoghi e monologhi per una riflessione psicologica ed esistenziale profonda e metacinematografica. Abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchiere con l’autore Massimiliano Russo ed ecco cosa ci ha raccontato di questo progetto che vedremo prossimamente sul grande e piccolo schermo.

Intervista a Massimiliano Russo, regista di Altavoce

Da cosa è nata lidea di questo film?
“Avevo in mente la struttura di questo film da un po’ di tempo, credevo però fosse un po’ ostica per arrivare a un grande pubblico e non avevo intenzione di girare il film. Nel periodo covid e post-covid credo si sia raggiunto un ennesimo punto di omologazione e saturazione del prodotto cinematografico che ha portato il pubblico via dalle sale e ha fatto registrare un andamento negativo del numero degli spettatori della piattaforme di streaming, le quali, sempre più numerose, non devono solo competere fra di loro ma con tutte le altre forme mediali e di intrattenimento che il web ospita (podcast, live stream, social etc…). In questo periodo di insoddisfazione dello spettatore ho ritenuto opportuno realizzare Altavoce, rischioso, ma anche molto diverso dai film a cui ormai siamo abituati. Il linguaggio cinematografico va re-interpretato, messo alla prova, gli autori non devono essere pigri, gli spettatori non vogliono esserlo più.”

Dopo Transfert anche questo film sembra legato allesplorazione del subconscio, della psicologia umana. Come mai ti affascina questo tema come autore?
“Un’indagine psicologica, come un percorso psicoterapeutico, ti porta a guardare dentro per rivalutare quello che succede fuori. Lo stesso accade con i film che ci colpiscono a fondo, diventano strumento di maturazione, cambiamento. Un buon film può cambiare la vita dello spettatore, quello è il cinema che ritengo importante e di valore. In Altavoce uno dei personaggi ad un tratto dice  di aver paura di andare al cinema, di scomparire nel buio della sala, perché in quell’esperienza diventiamo ciò che siamo veramente, l’esistenza fisica scompare e tutto si riduce all’esperienza e al pensiero.”

Al centro del film c’è il concetto di violenza. Cosa puoi dirci a riguardo?
“Che è sbagliata, ingiustificata in tutte le sue forme, e va sempre denunciata. In Altavoce ne raccontiamo alcuni tipi. La violenza arrecata e subita è uno dei motori del film e malauguratamente delle vite di molte persone.”

Come hai lavorato con il cast dei quattro protagonisti?
“È stato uno scambio reciproco, Paola Roccuzzo, Monique Cynthia Brown, Nicola Diodati, Luis Renzi, Sean Cronin e tutti gli altri sono stati in gamba. I loro monologhi sono stati scritti, per esempio, dopo alcune loro improvvisazioni basate su alcuni sentimenti cardine di cui abbiamo discusso.”

Quale messaggio vorresti che il pubblico percepisse dopo aver visto il film? Quale sensazione vorresti suscitare nello spettatore con questo film?
“Non voglio lanciare un messaggio, ma suggerire un riflessione, qualche domanda, qual’è il confine fra quello che percepiamo come “noi stessi” e quello che intendiamo come “altri”, dove sta il limite? Cos’è questo “confine”? Esiste realmente? Cos’è “reale”? Cosa non lo è? Vorrei che il film piantasse un seme nello spettatore, e che questo maturasse nei giorni successivi.”

Quali pensi siano le caratteristiche fondamentali da rispettare per creare un thriller coinvolgente che crei la giusta dose di tensione?
“Giocare con quelle che vengono ritenute ‘caratteristiche fondamentali’ trovare nuove strade, non percorrere quelle già battute. In Altavoce per esempio prendiamo uno strumento cardine della narrazione cinematografica, ma lo utilizziamo in maniera diversa, non posso dire di quale strumento si tratti perché farei uno spoiler troppo grande. Il film in questo caso è la sua struttura, quindi non posso parlarne.”

Le difficoltà maggiori di un film con tale struttura narrativa intricata?
“Il montaggio di Altavoce è molto particolare,  l’ho dovuto programmare già in fase di scrittura. Un film con una struttura come questa obbliga ad alcune scelte che possono essere ostiche per lo spettatore, nei primi minuti potrebbe sentirsi spaesato, quasi preso in giro. Spero riesca a superare i minuti iniziali e lasciarsi trasportare da quello che verrà dopo…”

Ti sei ispirato a qualche altro film o regista?
“No, spero Altavoce risulti per il pubblico ‘un esperimento inedito’.”

Come hai scelto le location suggestive e adatte ai vari momenti del racconto?
“Stavamo effettuando la ricerca location per un altro film, quando abbiamo trovato alcuni luoghi  molto adatti ad Altavoce.”