Leviathan: intervista col regista Andrey Zvygintsev

 Arriva oggi nelle sale cinematografiche italiane Leviathan (scheda film, recensione), l’ultimo audace lavoro di Andrey Zvygintsev sull’eterno conflitto tra uomo e potere. Attraverso questa bella intervista il regista racconta i presupposti e i retroscena di un lavoro ambizioso e potente che, grazie alla sua schiettezza e profondità, ha conquistato una candidatura all’Oscar, un Golden Globe ed il premio per la miglior sceneggiatura alla scorsa edizione del Festival di Cannes. Già trionfatore a Venezia, dove nel 2003 si è aggiudicato il Leone d’Oro per il suo primo lungometraggio dal titolo Il Ritorno, Zvygintsev ha proseguito la sua brillante carriera continuando a raccogliere importanti riconoscimenti: premio per la miglior interpretazione maschile a Konstantin Lavronenko nel 2007 con  The Banishment e premio speciale della Giuria nella sezione Un Certain Regard a Cannes 2011 con il film Elena. Se desiderate conoscere meglio Leviathan e la poetica di questo grande regista, proseguite la lettura.

Come è nata l’idea del film?

Un film non è un’ espressione matematica, è più simile ad una rivelazione, a un movimento dell’anima, una reazione irrazionale a quello che ti sta succedendo intorno. Non avevo una regola in mente, è nato tutto dalla constatazione dei fatti della vita, dall’osservazione del tessuto sociale, per un lungo periodo. Ho vissuto abbastanza da avere il tempo di soffermarmi a pensare alle cose della vita. Per anni osservi la quotidianità del posto dove vivi e ti fai un’idea di come funziona il tuo paese. E ad un certo punto senti la necessità di rispondere ad una sfida, la sfida per me era raccontare la storia di Marvin John Heemeyer (n.d.r: un saldatore del Colorado che, esasperato dalle pressioni a vendere la propria attività da parte dei nuovi proprietari dell’area su cui sorgeva la sua officina, fece un atto dimostrativo distruggendo con un bulldozer tutti i palazzi dei nuovi “padroni”), una storia di libertà calpestata e del diritto legittimo alla giustizia. È stata quasi una reazione spontanea. Quando mi hanno raccontato la storia di Marvin John Heemeyer, qualcosa si è mosso nella mia anima e ho sentito il bisogno irrefrenabile di raccontare questa vicenda. E ho voluto raccontarla in maniera chiara, diretta, riportarla con tutti i dettagli in maniera onesta e obiettiva. Quando osservi le cose che ti circondano, che ti inquietano, che non ti fanno stare tranquillo, hai due possibilità, puoi ignorarle o parlare di esse chiaramente.

Qual è il significato del titolo?

Non è un’ idea che è venuta fuori casualmente, che improvvisamente è comparsa, come nel libro di Giobbe quando nel finale, Dio appare, si manifesta e racconta di Leviathan e della sua forza e invincibilità. Ho utilizzato il parallelismo tra la storia di Giobbe e la vicenda di Marvin John Heemeyer, come un prototipo per il nostro personaggio Kolia. L’idea era chiara nella mia testa ed è stata una scelta molto ambiziosa e pretenziosa decidere di intitolare questo film con un nome così altisonante. Proprio in quel periodo, ho incontrato un amico che mi ha chiesto a cosa stavo lavorando, gli ho risposto che stavo preparando un film intitolato Leviathan. Mi chiese se era tratto da Leviathan di Thomas Hobbes. Sinceramente non sapevo neanche cosa fosse. Il filosofo inglese scrisse quel trattato a metà del 1600, nel 1651, mi pare. Un trattato sulle dinamiche del potere, sulla forza dell’alleanza tra il potere spirituale della Chiesa e quello dello Stato, temporale. In fondo il titolo potrebbe anche fare riferimento a questo libro, a questo trattato. Possiamo dire che questo arricchisce il film di un ulteriore contenuto, l’alleanza tra lo Stato e la Chiesa.

leviathan intervista

Un’immagine suggestiva di Leviathan

Come affrontano questa situazione i suoi personaggi?

Penso che ogni personaggio in questo film abbia le proprie paure, il proprio Leviathan e le proprie sventure e le proprie speranze. E tutte queste cose coesistono, non c’è la necessità di presentarle singolarmente. Lo scheletro nel poster della balena o la balenottera azzurra che Lilya vede sbucare dall’acqua quando sta sugli scogli, quella ruspa che divora la vita, le fondamenta della vita, che è la casa dove vivono i personaggi, ogni cosa è tutto. Il sindaco è la materializzazione di questo potere, di questo mostro, di questa mancanza di giustizia, che terrorizza e travolge tutti. Ed è impossibile fermare questo mostro, è come il Fato in una tragedia greca. È qualcosa da cui dipende il nostro destino di uomini, il destino di ognuno.
Non solo, Kolia ha fallito anche in altri ambiti della sua vita, oltre che nella lotta contro il potere politico e nella speranza che la giustizia possa prevalere. Fallisce anche per il suo conflitto interiore nell’amicizia con il suo amico, che lo tradisce come lo tradirà sua moglie. Queste situazioni gli tolgono la terra da sotto i piedi, i punti fermi della vita, le fondamenta alle quali è ancorato il suo mondo. È molto difficile vivere sottostando a tali pressioni. Posso solo immaginare come si possa resistere contro una macchina invincibile che è la mancanza di giustizia. Non penso che esista un individuo in Russia che è certo, rivolgendosi ad un tribunale, di avere giustizia se non una persona molto ingenua. E Kolia non è una persona ingenua. Capisce che lo stanno rovinando. All’inizio crede ancora nel fatto che il suo amico sia venuto da Mosca per aiutarlo ma presto si rende conto che pensare che le cose si possano risolvere, è solo un’illusione.

Come sceglie i luoghi dei suoi film?

Avere l’opportunità di costruire un set e poi avere la possibilità di collocarlo in qualsiasi luogo nel mondo, così è stato per The Banishment. Ho cercato un luogo che mi desse la sensazione di essere a casa e contemporaneamente al centro dell’universo, è questo il motivo per cui ho scelto quel posto in Moldavia. Un luogo deserto in una foresta, un piccolo campo tra le gigantesche acacie dove poster inserire quella casa. Ho avuto la sensazione di essere ai confini del mondo, la stessa sensazione che ho cercato per Leviathan, dove i confini sono quelli con il mare Barents nell’Oceano Artico. Un luogo dove hai la sensazione di trovarti ai confini del mondo.

Fonte: Academy Two