Intervista ad Aurelio D’Amore: “l’attore deve evocare l’infinito”

Per il giovane Aurelio D’Amore il compito di un attore è quello di evocare tutto l’infinito che è negli uomini. E non sembra essere un’impresa poi tanto difficile per il venticinquenne palermitano, che abbiamo incontrato in occasione dell’anteprima di Nomi e Cognomi. Lo specchio enigmatico e sincero dei suoi occhi ci ha spinti adagio in un mondo fatto di passione e sperimentazione, lungi dalle favole arzigogolate della predestinazione e ricco di dettagli che accennano ad una vita fatta di piacevoli e voraci letture, pensieri intrappolati tra i riccioli accurati dell’inchiostro e arte, tantissima arte che correva libera lungo le vene della sua esistenza; finché un giorno uno dei miei migliori amici mi suggerì di fare un corso di teatro, provai e mi piacque molto. Mi resi conto che la mia natura artistica era quella dell’interprete e non del “creatore” e che questa natura aveva bisogno di un continuo confronto, di un continuo dialogo: la recitazione e il teatro mi sembrarono perciò la realtà a me più confacente, così, finito il liceo, feci i provini per delle scuole di recitazione ed entrai all’Accademia nazionale d’arte drammatica “Silvio D’Amico”.
Inizia così la sua carriera teatrale a fianco di Walter Manfrè, Luca Ronconi, Enzo Vetrano e molti altri, per poi ritrovarsi sul grande schermo, prima in un cortometraggio con Elena Sofia Ricci (La Voce Sola), poi in Viva La Libertà con Toni Servillo e infine in Nomi e Cognomi con Enrico Lo Verso e Maria Grazia Cucinotta (al cinema dal 14 maggio) dove interpreta Vito.

Proprio così – afferma Aurelio – il film di Sebastiano Rizzo racconta le vicende di una redazione giornalistica guidata da un uomo di grande statura morale, Domenico Riva. Il mio personaggio è Vito, un ragazzo che sogna di fare il giornalista ma studia ancora all’università e che da un giorno all’altro si trova catapultato nella difficile realtà di una redazione d’assalto. Vito inoltre non sa di essere entrato nella redazione per mezzo di un uomo associato alla criminalità: si troverà dunque, alla fine, vittima di un sistema violento e il suo sogno si trasformerà in un incubo.

Non so te Aurelio, ma quando si parla di palcoscenico non posso fare a meno di pensare a Pirandello, per il quale la rappresentazione teatrale era l’acme dell’autenticità, un modo per liberarsi dalla maschera che si è costretti a portare nella vita quotidiana. Per te invece cosa rappresenta l’arte attoriale?

Bhe è una domanda difficile… ma dato che citi Pirandello ti risponderò con le parole di un suo personaggio, Cotrone (da I Giganti della Montagna): “ciò che di solito è nel sogno, io lo faccio avvenire nella veglia… i sogni, la musica, la preghiera, l’amore… tutto l’infinito che è negli uomini”. Ecco cosa fa l’attore, evoca tutto l’infinito che è negli uomini.

Tornando a Nomi e Cognomi, cosa comprendi, detesti o cambieresti del tuo personaggio?

Non cambierei nulla di Vito, la sua vicenda mi sembra molto reale, veritiera: è un ragazzo che fatica e si impegna per realizzare il proprio sogno, poi, come a volte accade nella vita, si trova di fronte ad una situazione imprevista e molto dura: braccato, minacciato di morte, si trova suo malgrado ad essere complice di spietati assassini. Certo, avrebbe potuto scegliere il “martirio”, ma la paura e il disorientamento schiacciano la sua volontà e prevalgono su qualsiasi altro sentimento. È un personaggio denso, ricco di sfaccettature, di contrasti, in una parola: umano. Questi, a mio avviso, sono i personaggi più interessanti e più belli da interpretare.

C’è un personaggio a cui sei legato particolarmente e quali panni ti piacerebbe vestire in futuro?

Se faccio l’attore è perché ho sempre sognato di interpretare i grandi classici e il prediletto è certamente il più grande tra i grandi, ovvero Amleto. Oltre a questi grandi personaggi, che credo siano i favoriti di molti altri miei colleghi, sogno anche di poter rivivere e raccontare (sulla scena e sullo schermo) le vicende di uomini che abbiano vissuto la propria vita nell’amore e nel servizio per il prossimo. Il mio primo pensiero va, ad esempio, ad alcuni santi della cristianità.

Aurelio D'Amore

La parole ferisce più di una spada: è questo, in linea di massima, il messaggio che lascia Nomi e Cognomi. La pellicola si focalizza sul giornalismo d’inchiesta nei paesi del Sud. Qual è la realtà che si respira in questa terra e, credi che il cinema possa aiutare a cambiare le cose?

Certamente il Mezzogiorno è un territorio difficile, la criminalità organizzata e la corruzione sono piaghe profonde e difficili da sanare. Il cinema può svolgere, in questo senso, un ruolo importantissimo: è anche per questo che sono molto fiero di aver partecipato a questo progetto!

Adesso basta parlare di Vito, scendi dal palcoscenico, togliti la maschera e raccontaci qualcosa di Aurelio.

Ho sempre parecchia difficoltà a parlare di me in modo esplicito, sono infatti abituato a farlo attraverso i personaggi che interpreto…. ma dato che me lo domandi ti dirò che la cosa più bella che mi sia capitata in questi ultimi anni è stata una profonda e straordinaria riscoperta di Dio: ecco, in questo momento della mia vita sto sperimentando la grande gioia della fede.

Che programmi hai per il futuro?

Conto di tornare presto al cinema, ma attualmente i miei prossimi lavori mi impegneranno in teatro: ad agosto sarò al teatro greco di Segesta con la “ Sonata a Kreutzer” di Tolstoj (la regia è di una giovane e talentuosissima regista, Giulia Randazzo), poi in autunno sarò in scena con “L’Onorevole”, un testo di Leonardo Sciascia, diretto da Enzo Vetrano e Stefano Randisi, che aprirà la stagione del teatro Eliseo di Roma.

Se la tua vita fosse un film quale sarebbe?

“La leggenda del santo bevitore” di Ermanno Olmi

Il nostro sito ha una sezione dedicata all’incontro tra cinema, food e travellers, Cinematografood: ti va di svelarci uno dei tuoi segreti in cucina?

In realtà non posseggo alcun segreto culinario, ma sono un’ottima forchetta, perciò quando rientro in Sicilia corro subito dalle nonne, che mi fanno trovare “la pasta al forno”, gli involtini di pesce spada o le panelle! Un luogo di cui  non posso fare a meno è il  mio ritiro in campagna, soltanto lì riesco a vincere la mia pigrizia culinaria e a divertirmi ai fornelli. Vedi, la mia terra ha una cucina molto ricca ed è proprio difficile dirti quale sia, fra tutti, il piatto che preferisco.