Intervista a Dario Leani e Gabriele Armenise: Occupante senza titolo nasce da un’urgenza
Una lunga chiacchierata con Dario Leani e Gabriele Armenise, i registi di Occupante senza titolo, che ci svelano tutti i dettagli di un'opera nata dall'urgenza di raccontare una situazione scomoda e ancora irrisolta.
Gli ingredienti che hanno condotto i giovani registi Dario Leani e Gabriele Armenise, vincitori del Premio Cinematographe.it al Sole Luna Doc Film Festival 2025 per Occupante senza titolo, sono concisi ma decisivi: un incontro fortuito al Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo (dove entrambi hanno studiato), alcune locandine sull’emergenza abitativa appese per la città e la voglia di usare le loro camere “per dare voce a chi ne avesse bisogno”.
Complici dietro la macchina da presa, i due hanno dalla loro una diversità di stili e interessi che nel lavoro condiviso si fa ricchezza: se “Gabriele si rifà al Cinema strutturalista di Wiseman – ispirandosi ai suoi studi delle istituzioni americane attraverso un metodo filmico oggettivo – e in generale a documentaristi italiani a vocazione sociale e civile: Gianfranco Pannone, Alessandro Rossetto, Leonardo Di Costanzo e il già citato Stefano Savona”, Dario si orienta verso “alcuni classici che riflettono su temi universali, spesso in modo intimo, come i lavori tra realtà e finzione di Abbas Kiarostami, a quelli che spingono all’estremo il dispositivo dell’osservazione, come quelli del duo D’anolfi e Parenti, fino a quelli più sperimentali come Baraka di Ron Fricke e la trilogia Qatsi di Godfrey Reggio”.
Occupante senza titolo: i registi Dario Leani e Gabriele Armenise narrano la genesi di un’indagine

Nel caso di Occupante senza titolo le loro forze si sono coagulate attorno alla lotta condotta dall’attivista e storico Tony Pellicane e da Giusy Lello, la cui storia è il cuore pulsante del film e che era già stata attenzionata in un’altra opera: “Abbiamo scoperto che i due erano già stati al centro di un film documentario uscito nel 2011, Palazzo delle Aquile di Savona, Porto e Sparatore, che avevano raccontato una storica occupazione della sala consiliare del Comune di Palermo”.
I due giovani registi ci raccontano che, dopo aver individuato le possibili tematiche del loro docucorto, hanno iniziato a fare qualche ricerca. “È così che siamo arrivati al CAF – Patronato A.Si.D.A. 12 Luglio, dove lavora Tony, che insieme a Giusy ci ha accolto con grande apertura e disponibilità. […] L’associazione sindacale legata al CAF dove lavora Tony, dedicato anche alla questione abitativa, è in qualche modo l’erede del Comitato di lotta per la casa [al centro dle docufilm del 2001]. Tony ci ha fin da subito accompagnato nel processo di ricerca e ci ha aiutato a studiare e comprendere la situazione in città. Abbiamo seguito lui e Giusy, filmandoli quando possibile nelle loro attività di consulenza e assistenza alle famiglie in difficoltà“.
Una palazzina confiscata alla mafia e tutto inizia…

Fare un documentario significa indagare su una realtà specifica, ci raccontate la struttura e i passi della vostra indagine nel sistema delle case palermitane?
“Le nostre energie si sono presto concentrate su una situazione specifica: una palazzina confiscata alla mafia in cui vivono circa quaranta famiglie. Quando ci siamo affacciati su questa realtà il clima era piuttosto teso. C’era un’ordinanza di sgombero incombente, notificata già due anni prima, e proprio in quei giorni si comprendeva che alcuni percorsi di regolarizzazione promessi dal Comune non erano mai stati effettivamente avviati. È nel palazzo che abbiamo iniziato a incontrare individualmente alcune famiglie e a ipotizzare diversi approcci narrativi. Tutti sembravano apprezzare il nostro impegno a documentare e dare voce alla loro situazione, ma nel poco tempo a nostra disposizione nessuno ha acconsentito a partecipare attivamente alle riprese. Le settimane passavano e abbiamo presto compreso che era necessario approdare verso un fulcro narrativo sicuro, cioè l’esperienza e la vita di Tony, per riorganizzare in scrittura i pochi momenti collettivi che avevamo potuto filmare. Il palazzo e l’emergenza abitativa a Palermo sono così diventati la cornice di una nuova riflessione più ampia, sorta proprio dal nostro incontro con le famiglie, dalla diffidenza reciproca tra loro, verso di noi e spesso anche verso Tony.“
Quanto la realtà che avete osservato ha confermato o sfidato le vostre aspettative iniziali?
“Non ci aspettavamo tanta diffidenza nei nostri confronti e rispetto alla possibilità di collaborare per un film, dovuta certamente al forte stigma sociale che esiste verso gli occupanti, alla criminalizzazione generale da buona parte dei media e della politica e alla strumentalizzazione operata negli anni da tanto giornalismo. L’ostilità reciproca tra gli abitanti del palazzo e verso le azioni proposte da Tony ci hanno fatto comprendere quanto la situazione fosse delicata e complessa. Molte famiglie, specie le più bisognose, hanno un grande timore a esporsi e vivono costantemente con la paura di ritorsioni che possono aggravare ancora di più la loro situazione, sia da parte del Potere che da parte di altri occupanti. Se c’è chi occupa per una reale necessità, c’è anche chi approfitta di queste zone grigie, ma banalizzare in distinzioni tra buoni e cattivi è sempre uno sbaglio e abbiamo capito che a pagarne le conseguenze peggiori sono sempre i più deboli. Il risultato, come cerchiamo di mostrare nel film, è spesso una rassegnazione alla propria condizione e una rinuncia a una cittadinanza attiva. Nel film, i senza casa preferiscono rassicurazioni temporanee e superficiali, come quelle pronunciate dalla voce amica di un politico, un funzionario o un potente, e i propri diritti vengono scambiati con dei favori dall’alto. Nel frattempo, da parte della politica nazionale, si blinda questa immobilità con leggi che reprimono sempre più il dissenso (si pensi al Decreto Sicurezza voluto dal governo Meloni), si declamano azioni verso i casi più eclatanti occultando la radice dei problemi che continua a essere alimentata dal modello di sviluppo delle nostre città.”
Oltre a Palazzo delle Aquile, quali altre opere avete consultato?
“Housing di Federica di Giacomo, Public Housing di Frederick MWiseman, Aperti al pubblico di Silvia Belotti, ma anche film più datati girati a Palermo, come Cortile Cascino di Young e Roemer. Tra le letture che hanno ispirato le nostre ricerche nel palazzo, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda“.
Dal punto di vista stilistico e registico Occupante senza titolo si presenta, come abbiamo scritto nella nostra recensione, “rigoroso e privo di fronzoli”. Perché avete adottato questo stile e cosa avete preso in considerazione nel definire la fotografia e il montaggio?
“Il nostro intento, ancor più viste le difficoltà produttive e la fragilità che abbiamo incontrato nella realtà dei senza casa , è stato quello di documentare e restituire gli eventi per quello che sono, nel modo più oggettivo possibile. Crediamo che ogni tipo di abbellimento o drammatizzazione arbitrari avrebbero mancato di rispetto alle persone presenti nel film e alla questione più in generale, finendo per svilire il nostro messaggio invece che rafforzarlo. Di qui, le scelte fotografiche e in montaggio sono sorte naturali.“

Che scelte avete fatto su cosa includere e cosa tagliare? Ci sono state scene/interviste che avete deciso di non inserire perché troppo “esplicite”, troppo “controverse”, o troppo difficili da riprendere?
“Al momento della riscrittura in montaggio ha comandato l’urgenza di restituire fedelmente la realtà in modo che ci fosse un filo conduttore chiaro in mezzo alla confusione e alla complessità della situazione. Questo ha fatto cadere diverse scene pubbliche e private, in favore delle poche girate con Tony e Giusy, anche rimettendo in situazione scene di tutti i giorni a corredo delle scene di massa. I racconti sul loro passato e sugli anni di militanza quando non avevano una casa ci sono sembrati superflui. Speriamo che guardando il film si possa comunque respirare questo retaggio, mentre ci si concentra sulla lotta di oggi riflettendo sull’attualità”.
Il finale di Occupante senza titolo è praticamente aperto, perché questa scelta?
“Il finale rispecchia da un lato lo svolgersi degli eventi nella realtà e dall’altro la domanda centrale che ci poniamo. La questione del palazzo non si è mai conclusa effettivamente e resta ancora oggi nello stesso limbo di quei giorni. La comunità del condominio non è riuscita a unirsi in un corpo unico – con esigenze e pratiche comuni – attorno alle proposte di Tony, che ha continuato a dare la sua disponibilità fino a quando ha visto il suo rapporto deteriorarsi con alcune delle famiglie. Prima dei cartelli finali, il film si chiude con una domanda che apre anche a una dimensione più ampia e collettiva: con i tempi che corrono, saremmo disposti a esporci, a lottare e disobbedire di fronte a leggi ingiuste, come è stato fatto in passato per conquistare e garantire i diritti che ci tutelano oggi?“
Occupante senza titolo e l’indifferenza della stampa
La realtà delle occupazioni abitative è spesso invisibile ai media mainstream. Oltre alla stampa di settore, qualche altro media si è mostrato interessato a parlare di questa emergenza?
“Non abbiamo ancora ricevuto interessamenti da parte di altri mezzi di informazione ma siamo fiduciosi. Ci teniamo però a ringraziare la disponibilità mostrata dalla sede dell’Associazione sindacale Unione Inquilini Nazionale, e dall’ex segretario Massimo Pasquini, che abbiamo contattato e consultato per comprendere meglio la situazione abitativa locale e nazionale. La ricerca alla base del film è stata insidiosa e complicata; informarsi correttamente tramite coloro che si occupano ogni giorno del tema è stata essenziale per fare un film più onesto e oggettivo possibile.“
Se non andiamo errati, le riprese si sono svolte nella periferia di Palermo. Le persone coinvolte fanno tutte parte dei veri “senza casa”? Come avete lavorato con loro e come avete acquistato la loro fiducia?
“Seguendo Tony nelle sue attività, abbiamo avuto modo di incontrare e fissare appuntamenti conoscitivi con diverse famiglie occupanti o assegnatarie, sia nel palazzo che altrove in città. Nel frattempo abbiamo filmato le riunioni tra gli abitanti del palazzo, anche se inizialmente nessuno aveva acconsentito a essere ripreso in viso. Con il passare del tempo e specialmente durante la giornata in cui abbiamo affiancato gli occupanti negli uffici dello sportello Abitare Sociale del Comune, la fiducia nei nostri confronti è leggermente cresciuta e abbiamo ottenuto qualche via libera in più. Ci è sembrato per un momento che i senza casa stessero finalmente trovando più coraggio di denunciare apertamente la loro situazione, forti della fiducia in Tony e in se stessi, dell’unione tra loro e della macchina da presa che li accompagnava, anche se è rimasto un caso isolato e presto la situazione è tornata alla normalità”.
Nel corto si nota che non tutti si rendono conto del disagio a cui stanno andando incontro. Attraverso Occupante senza titolo siete riusciti anche a rendere più consapevole chi vive questa condizione di precarietà?
“Non sappiamo quanto la realizzazione del film abbia influito sulla consapevolezza delle persone coinvolte direttamente dalle vicende raccontate, ma speriamo che questa esperienza, anche nelle sue criticità, possa avere un effetto positivo su chi lo vedrà, siano persone in emergenza abitativa o meno. Speriamo che il film possa risvegliare un interesse e un dialogo attento e costruttivo sulle questioni abitative, civili e politiche sollevate.”
Chi o cosa vi ha ostacolati e chi o cosa invece vi ha agevolati nella realizzazione del corto?
“La cosa più difficile è stata proprio il non poter usare la camera liberamente nelle situazioni pubbliche, che ci ha costretti a filmare facendo come uno “slalom” tra i soggetti, a rinunciare ad alcune scene e a ingegnarci in montaggio e in scrittura. Inoltre, crediamo che la mancanza di accesso alle vicende private e umane delle famiglie e del palazzo sia un vero peccato, per la forza e la portata empatica che queste avrebbero potuto donare al film. Dobbiamo invece riconoscere la disponibilità dell’Assessorato Igiene e Salute, Politiche Abitative e Giovanili, che ci ha dato il via libera a filmare negli uffici dello sportello Abitare Sociale pochi giorni prima della nostra visita.“

Occupante senza titolo ha vinto il Premio Cinematographe allo scorso Sole Luna Doc Film Festival. Cosa rappresenta per voi questo premio e che impatto immediato ha avuto sulle sorti del cortometraggio?
“A livello personale, il premio ha rappresentato una soddisfazione e soprattutto uno stimolo a continuare e a fare ancora meglio, anche se teniamo molto a dedicare questo traguardo a Tony e Giusy, trattandosi della loro esperienza e del loro ostinato esempio di militanza che abbiamo avuto il privilegio di portare sul grande schermo. Siamo sicuri che la copertura mediatica offerta da Cinematographe al nostro film è già stata e continuerà a essere un’ulteriore amplificatore per la voce dei senza casa, ma anche di tutte le persone schiacciate da ingiustizie, contro una politica e una pratica comune demagogica, semplicistica e criminalizzante”.
Pensate che Occupante senza titolo possa diventare un lungometraggio?
“Crediamo che un film nasca sempre da un’urgenza, non solo personale ma soprattutto legata alla realtà che ci circonda. Qualora vi fosse una necessità siamo pronti a metterci a disposizione e a tornare a lavorare insieme. La questione abitativa a Palermo – come nel resto del nostro paese – potrebbe avere degli importanti sviluppi ed è nostro dovere in quanto documentaristi rimanere sempre con gli occhi aperti e vigili. Sicuramente un lungometraggio potrebbe approfondire e sviscerare in maniera molto più esaustiva il tema e chissà, gli eventi narrati da Tony sulle lotte passate potrebbero essere spunto per un lungo di finzione”.
Dove sarà possibile vedere il film?
“In attesa di aggiornamenti sull’eventuale selezione del film in contesti festivalieri, vorremmo organizzare delle proiezioni a Palermo, e magari anche altrove, per restituire il lavoro alla città e agli ambienti impegnati e coinvolti nelle tematiche trattate, sperando di stimolare occasioni di scambio e riflessione.”
Potete già dirci qualcosa sui vostri progetti futuri?
“Continuiamo a collaborare su alcuni progetti attuali e futuri, mentre per il film di diploma stiamo sviluppando lavori diversi. Gabriele torna in Puglia per raccontare una storia intima che intreccia quella della città di Bari con quella della sua famiglia. Dario sta invece collaborando con un altro collega, Lorenzo Ferrero, a un film-indagine sull’immaginario e le idee dei giovani rispetto al tema della guerra”.