Il Regno del Pianeta delle Scimmie – intervista al cast: “se avessimo detto Gollum non si può fare, oggi questa compagnia non esisterebbe”

Un trio da Oscar degli effetti speciali. Riconosciuti per essere i curatori degli effetti speciali per film come Avatar o Lo Hobbit. Tornano a lavorare insieme per Il Regno del Pianeta delle Scimmie, l’ultima fatica di Wes Ball per il franchise de Il pianeta delle scimmie, disponibile dall’8 Maggio 2024 in tutte le sale cinematografiche. Noi della redazione di Cinematographe.it, li abbiamo intervistati per scoprire quali sono stati i loro ruoli nel film e di come si svolge il processo tecnico che porta alle creazione di questi prodotti così esteticamente ricchi.

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Il Regno del Pianeta delle Scimmie - Cinematographe

Quali sono stati i vostri ruoli in questo film?

Giuseppe Tagliavini: “Io sono Compositing Supervisor; praticamente sono l’ultimo della catena creativa. L’immagine che vedete al cinema esce dalla nostra timeline. In particolare il mio team si è concentrato sul terzo atto del film.”

Emiliano Padovani: “Il mio ruolo è Look Dev Supervisor. Il Look Development è la parte che sta più a fronte della produzione. Noi ci occupiamo decidere l’aspetto (ambientale n.d.r.), dal punto di vista dei materiali, texture, foglie e così via.

Alessandro Saponi: “Io sono Computer Graphic Supervisor, mi occupo di supervisionare non solo la parte di Lighting (luci n.d.r) e rendering finale della computer grafica ma anche di fare in modo che tutta la comunicazione da parte dei dipartimenti, dal punto di vista tecnologico, funzioni correttamente.

Quali sono state le sfide per la realizzazione de Il Regno del Pianeta delle Scimmie?

Giuseppe Tagliavini: “Abbiamo cercato innanzitutto di ricreare le lenti che sono state utilizzate per girare, cercando di ricostruire tutte le imperfezioni delle lenti stesse. Abbiamo speso parecchi mesi nel cercare di realizzarle tutte, così da poterle utilizzare durante il compositing. Questo forse è stato uno degli aspetti più difficili a livello tecnologico”

Emiliano Padovani: “Per il Look Dev credo che parte della complessità sia stata parte dell’interazione tra i personaggi e gli ambienti e le situazioni in cui venivano calati: sequenze finali, personaggi con interazioni particolari tipo acqua o ambienti complessi. Insomma c’è stata una certa complessità per rendere l’immagine coerente permettendo di rendere scene realistiche anche la dove si trovavano grossi limiti computazionali. Perché ovviamente si tratta di ambienti e simulazioni molto grosse. In più dal punto di vista dei personaggi abbiamo dovuto tenere tutta una serie di look che dovevano avere una precisa progressione. Tutte le varie botte, ferite, escoriazioni e tribolazioni varie.”

Alessandro Saponi: “Per quanto riguarda il mio ruolo e il mio team, mi sono occupato della scena di apertura, praticamente tutto il primo atto dove Noah e le altre scimmie scalano gli edifici abbandonati per arrivare al nido delle aquile. C’era bisogno di una maniera per introdurre lo spettatore a questo nuovo mondo e il destino ha voluto che necessitassimo di un ambiente completamente in computer grafica. La difficoltà è stata rendere questo mondo credibile, settando il tono per tutto il film facendolo con pochissimo girato. Quindi sì dal punto di vista creativo, del rendering e di tutto il resto, c’è stato un grosso lavoro e un enorme studio per cercare di capire quali potessero essere i dettagli per rendere tutto l’ambiente il più realistico possibile.”

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Il Regno del Pianeta delle Scimmie; cinematographe.it

Secondo voi il ruolo del supervisore è quasi sovrapponibile, soprattutto in questo genere di film, a quello del regista?

Emiliano Padovani: “Do la mia opinione: non credo. Anche in questo caso in cui fondamentalmente eravamo l’unica compagnia a lavoro su questo progetto (Weta FX n.d.r.), è facile immaginare che avessimo una certa libertà e opinione creativa su come andavano fatte le cose, eppure l’ultima parola è sempre del regista. Se si crea un buon rapporto poi è una collaborazione e di conseguenza un regista costruttivo viene a chiederti un consiglio o un’opinione. Ci sono stati casi in cui noi abbiamo avuto la possibilità di proporre al regista cose.”

Alessandro Saponi: “Quando proponi un qualcosa ad un cliente devi sapere chi hai dall’altra parte. Sai che, ad esempio, a Matt Reeves puoi proporre delle cose perché hai imparato a conoscere lo stile e quello che piace a quel regista in particolare. Ad altri registi non proporresti le stesse cose e viceversa.”

Ci sono state delle cose per cui avete detto “non è possibile farle” o che avrebbero richiesto troppo lavoro per farle al meglio?

Emiliano Padovani: “(ridendo) No, anzi, la filosofia alla Weta è esattamente opposta.”

Alessandro Saponi: “Sicuramente è più stimolante sapere che non si può fare e trovare la soluzione per arrivare. Se avessimo detto Gollum non si può fare oggi quest’azienda non esisterebbe. Anzi, ci furono compagnie che dissero che non si poteva fare con quella qualità.”

Quindi non c’è nessun sotterfugio o “accrocchio” per mascherare un lavoro meno elaborato nelle scene?

Alessandro Saponi: “(ride) Ci sono dei…”

Emiliano Padovani: “È una produzione! (ride) Ci sono inciampi e poi ci si riprende, però secondo me sì alla fine quello che si è fatto lo si è fatto partendo con l’idea di volerlo fare, e alla fine lo abbiamo fatto”

Avete portato qualche innovazione in confronto ai capitoli precedenti? C’è stato uno studio dietro a delle nuove meccaniche?

Emiliano Padovani: “Come diceva Alessandro, il fatto che ci siano grossi ambienti e il fatto che questi personaggi dovessero interagire in maniera importante con esso, ha portato a studiare bene come doveva comportarsi il pelo che doveva funzionare con l’acqua, col fuoco, con le sequenze di distruzione intorno e riuscire a ricoprirlo di macerie e cenere. Tutte queste cose qui nel loro piccolo non è che non si fossero mai fatte, però riportarle in questa scala ha richiesto un grosso lavoro, non solo a farle ma anche a essere sicuri che fosse realizzabile per tutto il film. Magari punti mirando in alto, ma poi ci si accorge che si ha un anno per farlo.

Alessandro Padovani: “Ci siamo ritrovati a fare cose nello stesso shot che magari prima avvenivano singolarmente in cinque film diversi, invece in alcuni casi avvenivano tutte contemporaneamente nella stessa inquadratura.