Il Regno del Pianeta delle Scimmie: recensione del film di Wes Ball

Un sequel che sa di spin-off che apre l'orizzonte a infinite possibilità senza però colpire nel segno.

Veni, Vidi, Vici recitava Giulio Cesare a seguito della vittoria contro Farnace II nel 47 a.C., ma si può dire lo stesso per Il pianeta delle scimmie? Una saga iniziata nel 1968 e ufficialmente rinnovata nel 2011. Con L’alba del pianeta delle scimmie la nuova serie ha funzionato fra altri e bassi seguendo le vicende dello scimpanzè Cesare, diventando idolo e conduttore del dominio delle scimmie su gli uomini. Il nuovo capitolo, Il Regno del Pianeta delle Scimmie, si svolge molti anni dopo la morte del capo rivoluzionario, dando inizio ad un nuovo arco narrativo tutto da esplorare con protagonista Noa (Owen Teague) uno scimpanzè di una tribù che ha perso la memoria della propria origine.

Il Regno del Pianeta delle Scimmie: l’eredità di Cesare

Il Regno del Pianeta delle Scimmie - cinematographe.it

In un mondo dove l’essere umano non solo ha perso la sua importanza nella catena alimentare, ma si ritrova in una condizione di primordiale incoscienza. Qui incontriamo Noa, scimpanzè appartenente ad una tribù pacifica legata all’allevamento di aquile a scopo di caccia e di matrice “religiosa”. L’ambiente come lo conosciamo non esiste più: le tracce dell’uomo sono quasi scomparse sotto l’infinita vegetazione che ricompre ogni angolo del globo. Per Noa ha inizio il rito di passaggio all’età adulta che prevede la cattura di un uovo d’aquila selvatica attraverso le rovine di quella che fu la grandezza umana. Di ritorno vittorioso dalla caccia, il gruppo di Noa si accorge di essere seguito da quello che deve essere per forza un umano. La catena di eventi che segue porta un gruppo di scimmie capeggiate da Proximus Caesar (Kevin Durand) a distruggere e ridurre in schiavitù la tribù di Noa, accusata di nascondere l’essere umano che si scoprirà essere una ragazza di nome Mae (Freya Allan), una ragazza che nasconde un importante segreto.

Con un protagonista che a mala pena spicca fuori dalla cornice, generalmente ben realizzata dal dipartimento degli effetti speciali, ci si trova davanti ad una storia che vuole emanciparsi senza fare passi troppo lunghi. L’idea forse è stata quella di far crescere il personaggio attraverso i futuri prodotti, senza però dare particolare spazio alle sottotrame che si aprono e restano perfettamente sospese, senza un reale svolgimento e senza contribuire alla risoluzione dei conflitti. La figura umana resta (e deve rimanere a questo punto) una forza secondaria, persino terziaria, che lascia il posto ad una narrazione più simile a film come Avatar. Quello che si percepisce è una mutuale esperienza di insipida realizzazione della storia unita ad un insieme di personaggi dalla discutibile presenza scenica.

Nella sceneggiatura (Josh Friedman, Rick Jaffa, Amanda Silver) non spicca nessun personaggio e nessuna situazione. Tutto risulta appiattito e livellato ad un film di maschere trite e ritrite con dialoghi tranquillamente dimenticabili. Persino i due elementi ai vertici, ma che dovrebbero apparire più paradossali e quindi in evidenza, non mancano di questa nomea. Stiamo parlando del personaggio Mae, che come ricordiamo è interpretato da Freya Allan, e di Proximus Caesar. La prima con un repertorio di cliché infiniti e con un’interpretazione che manca di rilevanza sul piano drammatico, mentre il secondo che si allinea ad una retorica tirannica che poteva incuriosire ma nei fatti, avendo pochissima rilevanza sia nella storia che nella durata stessa della sua presenza, risulta di quasi totale ininfluenza.

Un nuovo capitolo che sa di già visto

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Nell’approccio allo studio di film del genere, è difficile non mettere in conto che la presenza registica e fotografica della pellicola, in questo caso diretta rispettivamente da Wes Ball e Gyula Pados, hanno un importanza non minore in confronto a prodotti tradizionali ma comunque alterata. Molte scene sono interamente ricostruite in CGI, la presenza umana è ridotta al minimo e le dinamiche che tipicamente valgono in una storia vengono spesso meno. Insomma, ha fatto sempre un poco strano nei film passati vedere gorilla con i mitra in mano, quindi non è stato errato tornare ad una direzione e ambiente più “primate”. Ciò che fa storcere il naso però è l’evidente contrasto fra il film precedente, The War – Il pianeta delle scimmie e Il Regno del Pianeta delle Scimmie, mancando di un’effettiva continuità narrativa e ideologica. Mentre la regia cerca di seguire fedelmente i personaggi, quasi scomparendo nel suo naturale decorso, la fotografia inevitabilmente mette in evidenza l’artificio perenne sopra queste scimmie antropomorfe, soprattutto nei campi più lunghi e nelle scene più concitate.

Non mancano all’appello scene di grande lavoro e importanza nell’ambito grafico, ma nemmeno scene poco rifinite. Con ciò la duplice condizione di essere un prodotto fortemente legato alla CGI e all’enorme importanza dell’estetica in questo tipo di produzione, ci si ritrova a storcere il naso troppe volte in confronto ai momenti in cui si gode pienamente della riuscita di una particolare sequenza.

Il Regno del Pianeta delle Scimmie: conclusione e valutazione

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Probabilmente i prossimi film assumeranno un carattere più serio, più adulto, e che quindi si avvicineranno ulteriormente alla trilogia precedente. Ma ad oggi Il Regno del Pianeta delle Scimmie difficilmente vale in confronto alle sue premesse. C’è solo da sperare in uno scossone, soprattutto a livello di scrittura, che riporti o comunque migliori il franchise. Per il resto c’è poco da aggiungere, sicuramente avrà un naturale decorso di riempimento delle sale con un pubblico spaccato fra chi sosterrà di aver goduto del film e chi invece non lo apprezzerà sotto vari punti di vista. Meno superficialità e più contenuto. Per favore. In uscita nelle sale dal 8 Maggio 2024. Prodotto da 20th Century Fox e distribuito in Italia da The Walt Disney Company Italia.

Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.5