Bif&st 2020 – Giuseppe Bonito parla del suo nuovo film: L’Arminuta con Antonia Truppo

Il regista ospite del Festival ha ricordato Mattia Torre, ci ha parlato del rapporto con Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi e dei suoi progetti futuri.

Uno dei successi italiani di questa stagione cinematografica: Figli scritto dal compianto Mattia Torre (Boris, La linea verticale) e tratto dal monologo recitato da Valerio Mastandrea I figli ti invecchiano, ha conquistato pubblico e critica, vincendo tre Nastri d’Argento (Miglior commedia, Paola Cortellesi e Mastandrea migliori attori di commedia), per la sua “tragicomica” verità, uno specchio nel quale molti italiani, genitori e non, si sono rivisti: la difficoltà di essere genitori in una società precaria, i drammi di coppia tra instabilità economica ed emotiva e voglia di fuggire. Un lascito importante quello di Mattia Torre del quale, tra le altre cose, abbiamo parlato con Giuseppe Bonito, ospite del Bif&st – Bari International Film Festival, che ha assegnato a Paola Cortellesi il Premio Mariangela Melato, regista che ha preso le redini del film scritto dallo sceneggiatore scomparso.

Giuseppe Bonito, il regista di Figli, ricorda il compianto Mattia Torre e parla del suo nuovo progetto, L’Arminuta con Antonia Truppo

Perché Figli ha conquistato anche il pubblico che figli non ne ha e che magari non progetta di averne in futuro?

“Credo che Figli abbia probabilmente una visione un po’ più estesa, nel senso che non è solo un film sulla genitorialità ma racconta di due persone che sono genitori ma che sono anche figli di qualcun altro. Dunque secondo me in entrambi i personaggi, forse in maniera un po’ più accentuata in quello di Valerio, l’essere figli influenza il loro essere genitori. Quindi in fondo è un film che parla al padre e alla madre che siamo ma anche al fatto che siamo figli di qualcun altro. Poi credo che probabilmente alcune dinamiche mostrate nel film sono dinamiche della coppia e spero che in qualcosa, forse poco, possa essersi riconosciuta anche la coppia non genitoriale”.

Giuseppe Bonito, cinematographe.it

Com’è stato raccogliere l’eredità di Mattia Torre, prendere in mano le redini del suo film?

 È stato innanzitutto doloroso perché Mattia era anche un caro amico, però diciamo che questo non è stato per me l’aspetto più doloroso della vicenda ma ciò che mi ha fatto veramente molto male della scomparsa di Mattia è il fatto che abbiamo perso noi un autore importante con uno sguardo unico sulle cose. Il paradosso è che è stato anche molto bello perché, in fondo, ci ha lasciato una sceneggiatura ricca e quindi nella sua ricchezza anche molto difficile. Dico questo perché la storia della lavorazione di questo film è la storia di un film che è nato ovviamente tra le lacrime, fra gli abbracci, ma ha avuto una lavorazione speciale, gioiosa quasi. La cosa non mi sorprende perché era un po’ lo spirito di Mattia in fondo, lui è riuscito a raccontare sempre anche aspetti drammatici del vivere quotidiano con uno sguardo di commedia. Mi sembra che alla fine abbia avuto una lavorazione in linea con la sua persona”.

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Giuseppe Bonito, cinematographe.it

 Cosa abbiamo perso con la morte di Mattia Torre?

“Abbiamo perso tante cose. Di lui ricordo soprattutto la capacità di ascolto, aveva l’umiltà e la capacità di ascolto dei grandi. Era una persona, un artista, un autore sempre molto in ascolto di quello che accadeva intorno a lui e con una capacità poi di rielaborarlo secondo quelle che erano le sue esigenze di autore”.

Ti ha aiutato la presenza di Valerio Mastandrea che ha spesso lavorato per Mattia Torre e al quale era legato anche da una grande amicizia?

“Sì, mi ha aiutato molto. Mi sono riferito, per quel che mi riguarda, alla mia esperienza di persona che ha collaborato con Mattia, sono stato aiuto regista di Boris, ma più di quello mi ha aiutato l’aver fatto la regia di seconda unità de La linea verticale (serie tv scritta e diretta da Torre con protagonista Mastandrea). La presenza di Valerio mi ha aiutato molto perché era, secondo me, tra le persone più vicine a Mattia e più vicine anche alla sua sensibilità artistica. Molte cose le sapevamo già, in qualche maniera, anche molto istintiva, conoscevamo già la modalità di lavoro di Mattia. Spesso anche in chiave scherzosa, ma non troppo, ci siamo confrontati in maniera leggera con lui non come una sorta di totem da rispettare. Nonostante tutto è stata una sorta di presenza costante per nulla ingombrante nella lavorazione del film perché poi un film necessariamente deve avere anche qualcosa di personale, non deve essere solo una sorta di rievocazione filologica di qualcosa che presupponi possa essere, abbiamo poi fatto il “nostro film”.  Ho rispettato moltissimo la sceneggiatura, il paradosso è che l’ho rispettata forse molto più di quanto avrebbe fatto Mattia, però i miei momenti di libertà sono stati puramente di regia.”

 Giuseppe Bonito, cinematographe.it

Hai definito Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea come un’unica identità …

“È così, ancora adesso faccio fatica a scinderli per cui per me sono sempre stati Paola e Valerio, Valerio e Paola. Era un po’ quello che richiedeva il film, loro hanno una grande intesa. È una cosa che non ho programmato però ti basti pensare che ho sempre lavorato con loro insieme mai singolarmente, il mio lavoro l’ho sempre fatto con entrambi, per questo dico che li ho sempre pensati come un unico mostro a due teste. Mi sembrava giusto avere questo approccio e non lavorare solo con uno o solo con l’altro, per me erano quasi un unico personaggio. Probabilmente in ciascun personaggio del film c’è qualche aspetto di Mattia. Con Paola è stato veramente molto facile: mentre con Valerio sapevo che conosceva benissimo tutto il mondo di Mattia, che aveva una modalità complessa di usare la commedia che richiede dei “dosaggi” particolari, basta sbagliare qualcosa è l’effetto che si ha è una diminutio della qualità della scena. Paola non ha mai lavorato con Mattia eppure devo dire che mi ha sorpreso moltissimo già dalla prima lettura che abbiamo fatto come lei avesse perfettamente inteso questa modalità molto particolare di fare commedia. Non conoscevo Paola prima di fare il film però non mi sorprende che sia un’attrice così di successo, oltretutto una professionista molto rara per umiltà e per la fiducia che dà al regista. Non è così scontato per un attore di successo”.

Giuseppe Bonito, cinematographe.it

Stai già lavorando a un nuovo progetto?

“Sì, si tratta del film che avrei dovuto fare se non avessi fatto Figli ed è tratto da un romanzo che ha avuto anche un certo successo che è L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio che ha vinto il premio Campiello nel 2017. Torno alle mie note più consone perché è un film drammatico, però c’è questo aspetto curioso perché anche L’Arminuta in qualche maniera parla di essere genitori e di essere figli in una maniera ancora più estrema di Figli. Nel cast ci sarà Antonia Truppo e Fabrizio Ferracane e la sceneggiatura è stata scritta da me in collaborazione con la sceneggiatrice del mio primo film Monica Zapelli e con l’autrice del romanzo”.