Intervista a Fabiana Sargentini: ne La pitturessa “tutto su mia madre, che era più libera di me”

La nostra intervista a Fabiana Sargentini, regista de La pitturessa, presentato alla 18ma Festa del Cinema di Roma.

Alla festa del cinema di Roma, Fabiana Sargentini (Roma, 1969) ha presentato il suo documentario La pitturessa, un ritratto di sua madre Anna Paparatti (Reggio Calabria, 1936), artista totale degli anni Sessanta e Settanta: un lavoro visivamente sontuoso e dalla scrittura sensibile che restituisce l’ampiezza di respiro nell’esperienza di vita e d’arte – per Paparatti, si può dire siano la stessa cosa – di sua madre, negli ultimi anni riscoperta da Dior, con cui l’artista ha collaborato anche di recente: nel documentario, interviene, infatti, più volte, Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa della maison.

Specchiandosi nella madre, Fabiana Sargentini trova la sua identità di donna e di artista, nella similitudine come nella differenza. L’abbiamo incontrata per ragionare insieme su questa trasmissione di valori (e di vitalità) per linea materna, sul sentimento infantile della normalità nella stranezza, sulla libertà avuta ieri da sua madre e sull’opportunità, oggi, per entrambe, di prendersi una rivincita.

La nostra intervista a Fabiana Sargentini, regista del documentario La pitturessa, ritratto a tutto tondo di sua madre Anna Paparatti

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Fabiana Sargentini in Casa via della Stelletta, Ph. Alberto Novelli

Nel documentario La pitturessa, anche attraverso l’intervento di critici dell’arte, di sua madre, pittrice, performer e centro di gravitazione culturale negli anni Sessanta e Settanta, emerge una vocazione all’arte indipendente dalla produzione strettamente pittorica: sua madre è un’artista perché vive come tale, re-immaginando la realtà, partecipando inventivamente ad essa. In che modo si è accostata, da figlia e da artista lei stessa, a questa dimensione di sua madre? 
Mia madre, anni fa, ha pubblicato un libro dal titolo ‘Arte e vita a Roma negli anni Settanta’. Questo aspetto della dimensione totale dell’arte è quello esattamente che le corrisponde, ma anche quello in cui io ho vissuto. Non saprei scindere, prescindere da questo. È la dimensione in cui mi sono formata, da persona e da regista, come essere umano e come figlia. Non c’è stata una differenza tra come ho vissuto mia madre nella quotidianità e come abbiamo girato. Ho ricreato, nelle scene che abbiamo messo in piedi, una naturalezza, una spontaneità che lei potesse ritrovare. Ascoltandola e rispettando anche le nostre dinamiche interne di madre e figlia.

Lei è figlia di due ingegni eccezionali, Anna Paparatti e Fabio Sargentini, gallerista e curatore d’arte. Nel documentario, ricorda l’impressione di stranezza che suscitava, da bambina e adolescente, agli occhi degli altri a causa della sua educazione fuori norma. Una stranezza che ha cercato di combattere con scelte conformiste come quella di sposarsi. Girare questo documentario le ha permesso di fare pace con quella stranezza?
Effettivamente, da bambina, i miei genitori mi sono sempre sembrati strani, eccentrici rispetto ai genitori borghesi dei miei amici. Ma questa stranezza è anche il mio punto di forza, che è fondamentale vivere in questa maniera, ma anche è importante ribaltare, usarlo come arma. Diventa la mia unicità. Io sono cresciuta in mezzo alla stranezza, in mezzo ad artisti che si schiaffeggiavano mentre facevano performance: Vito Acconci, Pino Pascali coi suoi “bachi da setola” fatti con gli spazzoloni, morto mentre mia madre era incinta di me, Gino de Dominicis, che metteva in scena lo zodiaco naturale. Erano cose strane, ma anche normali per me. Sicuramente, sono meno libera di mia madre. Questo è certo. La sua libertà è stata una chiave di volta nella vita di mia madre, qualcosa di bellissimo e irripetibile.”

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Dice sempre Fabiana Sargentini parlando de La pitturessa: “Ho cercato di creare delle scene in cui mia madre ritrovasse la spontaneità del nostro rapporto, delle nostre dinamiche abituali di madre e di figlia. Lei mi ha insegnato la cura e non ha vissuto con frustrazione la maternità. Oggi è il tempo della mia riscossa, così come della sua”

L’enigma che attraversa il documentario coincide con un suo fantasma personale: il sospetto che la maternità abbia rappresentato per sua madre un sacrificio, la rinuncia a occasioni di crescita artistica. Come crede si collochi il film all’interno dell’attenzione oggi molto acuta al problema della conciliazione di ambizioni professionali e desiderio di maternità?
Quando, nel documentario, dico che mia madre mi ha insegnato la cura intendo dire la cura degli oggetti, non mi riferisco alla cura domestica. Il mio film sicuramente contiene degli elementi di attualità, ma vuole essere, più semplicemente, il ritratto che una figlia fa di sua madre. Una madre che è stata una donna che ha rinunciato a mettersi in luce, ma, forse, non aveva neanche quelle peculiarità caratteriali necessarie ad affermarsi. Lei non l’ha vissuto come una frustrazione. In parte sì, ma verso gli anni della prima maturità, a cinquant’anni, quando si è separata da mio padre. Personalmente, c’è un rispecchiamento nella vita di mia madre. La mia riscossa è adesso, e proprio grazie a questo film”. 

Fabiana Sargentini: “Mia nonna materna chiamava mia madre ‘scimmia dalle braccia lunghe’. Con me, mia madre ha cercato di comportarsi in modo opposto a come sua madre si era comportata con lei”

Di madre in madre, lei evoca la figura di sua nonna materna solo fugacemente nel film, ma che posto occupa, secondo lei, la famiglia d’origine di Anna Paparatti nella sua vicenda umana?
La famiglia è stata importante nella prima parte della sua vita, poi però lei è stata considerata dai suoi genitori come molto diversa da loro. Il dono della pittura, però, l’ha preso da sua madre: mia nonna ha dipinto fino agli ultimi giorni della sua vita coi pastelli, ha dipinto gatti morti, nature morte. Loro due non hanno avuto un buon rapporto. Mia nonna aveva avuto una vita che non desiderava; mia nonna voleva avere un figlio maschio e ha avuto, invece, una primogenita femmina. Mia madre era più alta di mia nonna, che non superava il metro e cinquanta, aveva i piedi più lunghi, e mia nonna la chiamava “scimmia dalle braccia lunghe”. Loro non hanno trovato il modo di ‘incontrarsi’. Sua madre è stata per mia madre un esempio in negativo: lei non si è sentita amata dalla madre e, per compensazione, ha amato moltissimo me, in modo forse anche ossessivo, oppressivo. Mio nonno materno è invece stato una figura importantissima per noi, un uomo meraviglioso: amava mia madre, ma non poteva dimostrarlo. Era un barone: Antonino Paparatti, di Rosarno.