Donato Carrisi su La ragazza nella nebbia: “il crimine è un business”

Il crimine, l'invenzione della storia, l'interpretazione impeccabile e il cinema come un'enorme macchina fatta di tanti tasselli, in cui l'autore è solo un ingranaggio, il donatore di un'ispirazione. Il racconto di Donato Carrisi e del cast sulla realizzazione de La ragazza nella nebbia.

“[…] mi tengo stretto questa parola: esordiente, perché è la prima volta, è stato come perdere la verginità”, ha esordito così Donato Carrisi alla presentazione stampa de La ragazza nella nebbia, il film in uscita nelle sale il 26 ottobre distribuito da Maurizio Totti e Alessandro Usai in collaborazione con Medusa Film.

Insieme a lui gran parte del cast artistico e, per un breve istante, anche Antonio Monda e Piera Detassis, che si sono detti orgogliosi di avere l’opera in preapertura alla Festa del Cinema di Roma di quest’anno.
Il thriller noir tratto dall’omonimo romanzo del regista e sceneggiatore Donato Carrisi è ambientato tra le montagne, nello sperduto paesino di Avechot, che si anima all’improvviso al rimbombare di una brutta notizia: la scomparsa di Anna Lou. Un evento che scatenerà il panico tra la gente del luogo innescando una fitta rete di sospetti e maschere in cui non manca la spettacolarità e la ricerca della popolarità.

Sicuramente tra i membri di spicco del cast, oltre a Toni Servillo (l’agente Vogel) che però non era presente all’incontro stampa, si annoverano l’attore francese Jean Reno nei panni dello psichiatra Augusto Flores, Alessio Boni – che ha prestato il volto al Prof. Loris Martini – e Lucrezia Guidone nei panni della moglie di quest’ultimo, Lorenzo Richelmy come l’agente Borghi, Antonio Gerardi nei panni dell’avvocato Levi.

“Sicuramente il mio personaggio è uno psichiatra è il suo compito è quello di indagare e frugare nella mente altrui. Non voglio svelare troppi dettagli, ma è come se avesse una maschera. [Flores] corre sempre insieme al male. Sono contento di aver accettato questo ruolo”, ha detto Jean Reno sulla cui interpretazione ha dichiarato Carrisi di essere rimasto spiazzato:

“Quando Jean ha detto di voler recitare in italiano non ero più padrone della sua interpretazione; io ho padronanza dell’italiano perché è la mia lingua ma non la sua; mi sono dovuto fidare (e adeguare alle modifiche che poteva apportare al personaggio)”.

 Il male è il vero motore della storia narrata in La ragazza nella nebbia

Alessio Boni, che nella storia veste i panni dell’assassino, ha spiegato che quando ha letto la sceneggiatura è rimasto sconvolto dal fatto che va a scandagliare il male in tutte e sue forme. Il male che potrebbe imperversare in chiunque… non stiamo parlando del ragazzo cresciuto a Scampia che ha già scritto in faccia ciò che potrebbe diventare, ma di persone normali: giornalisti, professori… La cosa che mi ha colpito di più è che tutti quelli che entravano non si mostravano per ciò che erano…”.
E parlando più approfonditamente di come si è convinto ad accettare quel ruolo racconta un aneddoto: “[Donato Carrisi] mi scrive: ‘non c’è cosa più bella nella vita che sentire la risata di un bambino, tranne se l’ascolti di notte, sei solo in casa e non hai figli’. Questo è Donato Carrisi e così mi ha convinto!”

La ragazza nella nebbia: ecco perché Donato Carrisi si è occupato di sceneggiatura e regia

“Io penso che il racconto debba passare da una persona per poi essere filtrato da molti, quindi quello che avete visto non è il film di un solo autore ma quello di più autori, ciascuno ci ha messo qualcosa, io ho solo dovuto ispirarli”.

Il regista ha sostenuto la sua tesi portando come esempio Alessio e Jean che, nonostante avessero avuto delle direttive sui loro personaggi, ci hanno messo inevitabilmente del proprio, rendendoli diversi da come li aveva immaginati. Spostandosi poi su altri membri del cast tecnico, l’autore ha voluto svelare alla stampa una chicca, stavolta legata a chi si è occupato de suono.

“Forse non vi sarete resi conto che lo squillo del telefono che si sente nella prima scena di cui è protagonista Jean Reno non fa parte della nostra pellicola… chi l’ha inserito ha voluto mettere lo stesso identico squillo del telefono che si ascolta in C’era una volta in America. Vi rendete conto allora che fare un film così è stato fin troppo facile!”

La ragazza nella nebbia: le differenze tra il film e il romanzo e l’uso smodato dei media

Durante l’incontro stampa Donato Carrisi ha parlato di alcune differenze tra il film e il romanzo e una di queste riguarda la scena in cui uno dei personaggi principali è sulla riva del lago accanto a una ragazza dai capelli rossi. Ciò che accade in questa sequenza riserva un colpo di scena per chi ha letto e conosce il libro. E sempre in riferimento a questa scena ha detto che ha dovuto rievocare tutta la sua conoscenza di un certo genere cinematografico che l’ha segnato.

In riferimento ai media, che nella trama giocano un ruolo fondamentale e vengono mostrati in tutta la loro ferocia, spiega: C’è una cosa che nessuno dice, che il crimine è un business. Mi sono trovato a dire la mia per il Corriere della Sera andando in un paese sperduto di provincia; per dire, c’era una pizzeria che non incassava molto finché non è arrivato lì tutto il tendone mediatico, i turisti in caccia di horror e così via… Mi sono chiesto: c’è dietro anche la macchina mediatica? Certo che sì! Smettiamola di essere ipocriti, per coprire un caso di cronaca bastano un giornalista e un cameraman, meno di una fiction e rende di più” – ha detto lo scrittore, sceneggiatore e regista Donato Carrisi, senza nascondere una spunta di amarezza e rassegnazione, salvo poi spezzarla con l’ironia dicendo: “Sono tutti colpevoli, quindi se vi siete fidati del professore e dello psichiatra allora siete dei mostri anche voi!”.

Inoltre Carrisi ha detto che per mettere in piedi il film ha dovuto, in un certo qual modo, uccidere l’autore del libro, poiché è chiaro che le due opere sono differenti; non si può fare un copia e incolla e infatti lui non l’ha fatto, ha anzi mutato alcuni elementi in modo da dare sia ai lettori che agli spettatori un motivo per attingere ad entrambe le opere.

“Ho un grande amico che si chiama Jeffrey Driver che ha creato un personaggio che è il collezionista di ossa. Mi domando perché nonostante il successo non sono stati fatti altri film. Io credo che sia stato esaurito il potenziale immaginifico del personaggio.
Se avete letto il mio libro vi sarete resi conto che segue un altro filone rispetto al film. Il personaggio del film dice di copiare dai grandi e io ho copiato dai noir del passato e in particolare da Il silenzio degli innocenti, che mi ha segnato […] insomma ho ammazzato l’autore del romanzo e sono diventato un altra persona”.

Passando al cast, Lucrezia Guidone ha detto la sua in riferimento al personaggio di Clea, ovvero la moglie del presunto assassino che si ritrova a difendere e allo stesso tempo a non credere pienamente al marito. A tal proposito ha detto che spesso involontariamente si cerca di allontanare il male dalle persone che amiamo.

Galatea Ranzi ha dichiarato invece di essersi perfettamente calata nel ruolo della spietata giornalista Stella Honer al punto da inventarne il passato. Di fatto anche lei nel film altro non fa che assecondare il male; la verità passa in secondo piano rispetto all’appetibilità della notizia. “Il male forse è soltanto una reazione di ognuno di noi a un male ricevuto e non può che perpetrarsi… allora ho immaginato la vita di questa giornalista che magari ha ricevuto delle ingiustizie e si comporta di conseguenza”.

Lorenzo Richelmy ha detto che è stata una grande fortuna interpretare l’agente Borghi, “un personaggio spiegato così bene nel libro. Per me più si hanno dei limiti ben definiti e meglio è. È stato bello avere un testo su cui studiare e avere qualcuno pronto a risponderti”.

Infine Antonio Geraldi ha detto di essere rimasto impressionato dal modo di fare di Carrisi e dalla chiarezza delle sue idee sul personaggio. “[…] mi ha dato solo poche indicazioni”, ha detto, “Alla fine del provino mi ha detto subito ‘sei tu, sei quello giusto’, ho detto ‘ma stai scherzando?’, mi ha risposto di no, e abbiamo  abbiamo trovato insieme la versione giusta dell’avvocato. È bello lavorare con lui perché non solo ha una visione chiara ma la cambia anche spesso!”