Domenico Croce oltre la serie Hype: la strada che dalla borgata romana porta a QT8

Il giovane regista si racconta e tocca alcuni dei temi pregnanti della nuova serie Rai - da lui diretta al fianco di Fabio Mollo - con protagonisti Alessandro Tedeschi, Alice Torriani, Luka Zunic, Lorenzo Aloi, Martina Sini e Gabriele Careddu, accompagnati da Matteo Professione (in arte Ernia)

La strada come radice e orizzonte, come spazio fisico e metafora di un percorso umano e artistico. La periferia che diventa paesaggio interiore, luogo di formazione e di visione. L’abusivismo che si fa gesto d’amore e di sopravvivenza, memoria di una generazione che costruiva con le mani e con l’immaginazione. Da qui nasce Domenico Croce, regista che ha saputo trasformare la sua borgata romana in un orizzonte narrativo e in una lente attraverso cui osservare il mondo. In Hype, la nuova serie Rai prodotta da RaiPlay e Fidelio, ambientata nel quartiere milanese QT8, Croce porta con sé quella stessa sensibilità urbana e umana: raccontare la realtà senza giudicarla, ma scavandone le radici. La musica rap, linguaggio diretto e viscerale delle nuove generazioni, diventa qui ponte tra il suono e l’immagine, tra la parola e il corpo, tra l’identità e la ribellione.

Presentata in anteprima ad Alice nella Città – nel corso della 20ª edizione della Festa del Cinema di Roma – la serie è ora disponibile in streaming su RaiPlay. In occasione della sua uscita, Domenico Croce ci ha parlato delle sue origini, dei suoi studi di ingegneria, dell’incontro spartiacque con Peter Jackson e di molto altro ancora, aprendo un dialogo intimo e appassionato sul suo percorso, sulle periferie reali e interiori che lo hanno formato, sul rapporto fra cinema e musica rap e su quella necessità – profondamente contemporanea – di raccontare il sogno, la ricerca e la fragilità dei giovani che abitano i margini ma guardano sempre avanti, verso la strada successiva.

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Domenico Croce: “Voglio un cinema che osi come la musica rap

Domenico Croce Hype cinematographe.it

Il tuo percorso nasce da un quartiere difficile di Roma e arriva alla regia. Ce ne parli un po’?
In tal senso quanto rivedi della tua storia personale in quella raccontata in Hype?

“Sono nato e cresciuto in un’ex borgata romana. Nel mio caso specifico, una borgata abusiva e non una delle dodici ufficiali. Penso che l’abusivismo, in qualche modo, abbia addolcito lo stile di vita all’interno di questi quartieri: quando i miei nonni hanno costruito la casa in cui sono cresciuto, con la convinzione di poter così esportare a pieno i loro valori e la loro provenienza geografica, hanno dato il via ad una trasformazione lenta e organica della vita rurale; cosa che magari non è stato possibile venendo catapultati in un quartiere enclave nuovo di zecca.
Attenzione. La mia è solo un’analisi personale su come sia evoluta la percezione della vita in una periferia enorme, come quella di Roma, e non un’apologia dell’abusivismo edilizio. Tornando a me, non credo di poter affermare di aver vissuto a pieno il mio quartiere di provenienza, che tuttavia risuona dentro di me. Seppure mi accorgessi delle difficoltà e della crudezza intorno, ho avuto la fortuna di non farmi coinvolgere in prima persona. C’è da dire che la passione nel creare (disegni, racconti, fumetti…) mi ha sempre contraddistinto, sin da bambino, e mi ha forse portato ad isolarmi più del “normale”, ma non ho rimpianti rispetto a questo. QT8, il quartiere fulcro intorno a cui ruota la vicenda di Hype, invece, è nato come un vero e proprio esperimento urbanistico: l’obiettivo, nel secondo dopoguerra, era ridare la casa a tutti quei cittadini che l’avevano persa durante i bombardamenti e QT8 (Quartiere Triennale 8) voleva esserne la soluzione. Abitazioni per ogni classe sociale (dalle villette, alle palazzine, fino agli enormi edifici a stecca) tutte nello stesso spazio, immerso nel verde. QT8 quindi non lo definirei un quartiere difficile, ma con un’eredità difficile. La passione di Anna, Marco e Luca – a differenza dalla mia – li ha portati a vivere a fondo il loro quartiere, anche perché la musica presuppone sempre un’esibizione in prima persona. Allo stesso tempo, però, credo che queste periferie abbiano una caratteristica in comune, ovvero quella di ispirare fortemente la ricerca di ciò che manca nella vita dei suoi abitanti. Ogni ricerca da intendersi in maniera diversa – sia ben chiaro – da quella del pragmatico, fino a quella del sognatore.”

Quali ostacoli hai incontrato prima di arrivare dove sei ora? Quanto hai dovuto stringere i denti? C’è qualcuno che ti ha aiutato?
“La risposta più banale è che l’ostacolo siamo solo noi stessi. La cosa terribile è che è vero. Anche il tempo è un osso duro, ma la cosa incredibile, invece, è che entrambi questi avversari possono tramutarsi in incredibili alleati. Prima di tuffarmi a capofitto per inseguire il “sogno del Cinema”, ho frequentato tre anni di Ingegneria Edile-Architettura e trovare il coraggio per affrontare questo cambiamento (convincendomi soprattutto di non aver “sprecato” tempo) non è stato facilissimo.
Fortunatamente ho avuto il sostegno della mia ragazza di allora, dei miei amici… e di Peter Jackson! Lo stesso anno che provai ad entrare al Centro Sperimentale, partecipai ad un concorso legato all’uscita de La Battaglia delle Cinque Armate. Vinsi il contest, grazie ad un cortometraggio, e potei volare in Nuova Zelanda per una settimana, visitare le location dei film de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli e, l’ultimo giorno, potei addirittura incontrare Peter Jackson in persona. Gli regalai il DVD del corto di ammissione per il Centro e lo ringraziai per avermi ispirato così tanto. Lui ne fu molto grato e direi che quell’esperienza fu un decisivo booster per il mio percorso: qualche mese più tardi superai l’ultima prova e fui ufficialmente ammesso alla scuola di cinema.

Anche oggi le insicurezze sono sempre in agguato, ma fortunatamente ci sono sempre i miei amici, la mia famiglia e mia moglie a ricordarmi che la strada va sempre avanti.”

Hype cinematographe.it

Quali affinitá vedi oggi, in Italia, tra il mondo della musica rap ed il cinema?
“Vorrei rispondere di vederne molte, ma semplicemente la musica rap cresce e va avanti, mentre cinema non sono sicuro stia facendo altrettanto. Il problema, secondo me, sta nelle condizioni in cui esiste e nel fatto che riceva pochissima fiducia: un figlio che cresce in queste condizioni tende alla depressione o al narcisismo patologico. Ma, senza diventare clinico, diciamo che vorrei vedere un Cinema che se ne fotta un po’ di più di certi schemi e osi maggiormente, prendendo spunto – questo sì – dal panorama rap e hip hop italiano.

Credi che questo genere di musica sia uno dei canali comunicativi meglio spendibili per arrivare ai giovani? Credi di poter intercettare anche generazioni di età più avanzate?
“Non lo credo… ne sono certo. I ragazzi consumano tantissima musica rap ma, oltre a loro e alle generazioni più grandi, mi piacerebbe intercettare anche i ragazzi che non ascoltano la musica rap. Credo che Hype abbia tutte le carte in regola per valicare i gusti musicali dei singoli spettatori. Il rap è un elemento centrale della storia ma, per sua stessa natura, non può esserne il tema.”

Com’è nata l’idea di inserire Ernia nel progetto? Come ti sei trovato con lui e con il resto del cast?
“L’idea è stata di Libero Pastore. Lui, insieme a Gemma Pistis e Giulio Lepri, ha ideato il cuore della storia (al quale poi si è aggiunto Salvatore De Mola) ed è proprio un ragazzo di QT8. Appassionato di musica rap e in particolare di Ernia, cresciuto anche lui nel suo stesso quartiere, non ha potuto fare a meno di tentare di coinvolgerlo sin dall’inizio, tramite un banalissimo messaggio su Instagram! Matteo (AKA Ernia) ha risposto subito sposando il progetto e da lì, a cascata, si sono attivati diversi step. Ernia è un ragazzo fantastico e, quando lo abbiamo conosciuto, si percepiva quanto tenesse al progetto. Ci ha parlato anche lui del suo quartiere, del suo percorso, ci ha presentato un suo amico – Yari, che alla fine reciterà pure nella serie – che ci ha fatto da Cicerone all’interno di QT8 e dei quartieri limitrofi. È stata una collaborazione che ci ha arricchito, così come lo è stata quella con tutto il resto del cast e della troupe. C’è stato un forte innamoramento al progetto che ha fatto sì che il lavoro prendesse una piega più emotiva ed organica.

Da un punto di vista artistico hai fiducia nelle giovani generazioni?
“Sì, anche se credo si stia assottigliando la forbice tra chi non mette il giusto impegno e chi lo fa solo per vantarsi o lamentarsi in caso di “successo” altrui. L’Arte deve rimanere un atto di totale condivisione verso se stessi e verso gli altri. Ma è solo una mia riflessione… magari un po’ da boomer.”

Ernia cinematographe.it

E per quanto riguarda i tuoi gusti musicali, sei felice di aver girato una serie che porta il rap in RAI?
“Assolutamente sì, anche se – prima di Hype – il rap era un genere musicale che davo un po’ per scontato. Ho imparato a conoscerlo meglio, a comprendere i suoi sottogeneri e il suo linguaggio affilato lavorando alla serie. Questo mi ha dato la possibilità di appassionarmici man mano che approcciavo il progetto, creando una sorta di ciclo che si autoalimentava. Oggi il rap è un genere che ascolto normalmente nelle mie playlist e spero che Hype, attraverso la RAI, possa far conoscere questo mondo a tantissimi altri spettatori.”

Cosa significa lavorare a 4 mani ad un progetto come questo? Come ti sei trovato al fianco di Fabio Mollo?
“Il rapporto con Fabio è stato fantastico. Ci siamo trovati sin da subito, anche se non ci conoscevamo prima di Hype, e abbiamo capito che potevamo contare su un’autentica collaborazione fondata sulla fiducia reciproca. Abbiamo comunque affrontato tutta la preparazione insieme e questo, insieme alle reference che ci eravamo dati, ci ha permesso di lavorare in sintonia anche quando eravamo separati sul set. Ho imparato tantissimo da lui e gliene sarò eternamente grato.”

Hai altri progetti in cantiere? Quali sono gli obiettivi per il futuro?
“Al momento sto scrivendo due film e una serie. Non so quale tra questi progetti partirà prima (o se un quarto s’intrometterà nel mezzo), ma la cosa che mi appassiona è il fatto che siano di genere completamente diverso l’uno dall’altro. Certo, per quanto mi riguarda c’è sempre una predilezione per la suspense e gli intrighi in generale, ma trovo necessario siano i temi e le storie a guidare il cuore di un narratore. Il linguaggio può variare, il genere anche.”

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