Desiree Akhavan su La diseducazione di Cameron Post e il piacere femminile

La regista e sceneggiatrice Desiree Akhavan parla di La diseducazione di Cameron Post, di sessualità e di quanto è difficile trattare il piacere femminile.

Temi che sembrano provenire da un altro mondo, ma che sono incredibilmente vicino a noi: è il caso de La diseducazione di Cameron Post, film della regista Desiree Akhavan tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice Emily M. Danforth e presentato alla 13esima edizione della Festa di Roma, dopo aver vinto al Sundance 2018 il Gran premio della giuria: U.S. Dramatic. Con protagonista la giovane Chloë Grace Moretz, l’opera tratta della terapia di correzione di un centro religioso per riportare ragazze e ragazzi sulla strada dell’omosessualità. Tema che non è assolutamente distante come può apparire e di cui ci parla la regista durante l’incontro stampa.

Quale è stato il motivo che ti ha spinto a trattare la storia del libro La diseducazione di Cameron Post?

“Per me era la più onesta rappresentazione dell’essere adolescente in relazione alla propria sessualità, quel momento in cui ci si rende conto che gli adulti non sanno minimamente cosa fanno e si muovono nella vita dei giovani ciecamente.”

Esistono ancora nel mondo questi centri di riconversione?

“Sì, il numero di centri aperti è più di 700 mila e seguono la terapia della conversione della sessualità. Ci sono di questi posti anche a New York, il che è sorprendente essendo una delle città più aperte del mondo. Non vengono certo pubblicizzati come tali e in alcuni Stati è diventato illegale portare dentro dei minori. C’è anche un problema giuridico in corso, perché essendo una rieducazione falsa si ritrovano a truffare i consumatori.”

Quanto hai aggiunto di tuo a quello che già offriva il romanzo?

“C’è voluto un anno per adattare la sceneggiatura perché volevamo passasse sullo schermo nel miglior modo possibile. Ho letto molto riguardo le terapie che vengono usate e anche io sono passata in uno di questi centri, ma non per ciò che riguarda la sessualità. Sono stata in un posto di recupero per persone con problemi alimentari e trovo che ci sia una correlazione molto marcata tra sessualità e cibo, perché sono entrambe cose innate: siamo attratte da un determinato tipo di persone e per natura siamo portate a dover mangiare tutti i giorni. Di certo la mia è stata un’esperienza positiva, al contrario di quella di questi centri, ma ho comunque potuto aggiungere la mia prospettiva da persona che ci è passata.”

Pensi che ci sia una presa di coscienza maggiore oggi sull’identità?

“Non saprei dire, di certo non mi guardo intorno per cercare l’argomento di maggior popolarità per poi metterlo in un mio film. Prendo molto dalla mia esperienza e mi ritrovo a raccontare cose che non potrei altrimenti dire a nessuno. Anche se posso dire che in me c’è una forte ricerca di identità e della casa, questo perché sono figlia di immigrati e sono bisessuale. Il discorso sull’identità ha poi preso tutt’altro aspetto dall’avvento dei social, il che può essere divertente sotto tanti punti di vista, ma bisogna anche stare attenti viste le molteplici rappresentazioni che una persona può dare di sé.”

Desiree Akhavan: “Se fai vedere in un film una donna che si dà piacere non distribuiscono il film.”

E riguardo alla sessualità femminile, pensi sia ancora difficile poterla portare al cinema?

“È incredibilmente complicato. Visto anche su cosa mi vado io a concentrare. È difficile non solo finanziariamente, ma a volte si tratta di non riuscire ad arrivare nelle sale cinematografiche perché se una donna si dà piacere c’è il divieto per i diciassette anni. Il che è strano visto che siamo abituati a vederle al cinema magari in ginocchio a fare un pompino ad un uomo o mentre sono nel mezzo di un rapporto sessuale aggressivo, consenziente magari, ma aggressivo. In più, se sei gay va bene, se sei lesbica le cose sembrano complicarsi maggiormente. Questa è una storia che nessuno aveva mai raccontato prima e quindi i produttori non sapevano se un film del genere avrebbe potuto avere successo. È insidioso raccontare la sessualità, ma per me è un obiettivo fondamentale quello di raccontare il piacere delle donne, dei loro corpi e della maniera in cui affrontano il sesso. L’importante è che le storie vengano raccontate con autenticità.”

Quale è stato il rapporto che hai voluto stabilire con i tuoi attori sul set?

“Abbiamo tutti vissuto nel resort per l’intero periodo delle riprese. Per me era importante creare un’atmosfera intima dove tutti fossero a proprio agio e in cui nessuno sentiva di rimanere indietro. E non mi sono interessata alla loro identità sessuale, è qualcosa che riguarda solo loro. Bisognava che tutti fossero in sintonia per poter così raccontare dei personaggi partendo dalla loro superficialità e poi giungere agli antefatti.”

Sei fiduciosa riguardo il futuro?

“Ancora sì, anche se dieci anni fa, essendo progressista e fiduciosa, pensavo che le cose sarebbero andate diversamente da come sono oggi. C’è in America questa rabbia stile nazi che sembra come sotterrata con segretezza, ma senti che è lì. Da quando è arrivato Trump sembra poi che stia ribollendo una sorta di fascismo che porta in alto ira e violenza.