Cip e Ciop Agenti Speciali: intervista VIDEO alle voci del film Disney+

Incontro con Raoul Bova, Giampaolo Morelli, Francesca Chillemi e Jonis Bascir, i doppiatori italiani di Cip e Ciop Agenti Speciali, dal 20 maggio 2022 su Disney +.

Il 20 maggio 2022, su Disney +, ritorna la coppia di roditori più famosa di sempre. Parliamo di Cip e Ciop Agenti Speciali, regia di Akiva Schaffer, sequel dell’omonima serie animata prodotta tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. Miscela di live-action e animazione in CGI, la protagonista in carne e ossa è KiKi Layne, il film centrifuga tonnellate di riferimenti (animati) della cultura pop più o meno recente e contemporaneamente immerge Cip e Ciop in una storia torbida di misteri, rimpianti ma anche di amicizia a prova di bomba.

“Doppiando Cip e Ciop Agenti Speciali sembrava di stare a Disneyland” – la nostra intervista video a Raoul Bova, Giampaolo Morelli e al resto dei doppiatori italiani del film

Presenta il film alla stampa italiana, al gran completo, l’illustre cast di doppiaggio composto da, nell’ordine, Raoul Bova (Cip), Giampaolo Morelli (Ciop), Francesca Chillemi (Scheggia) e Jonis Bascir (Monterey Jack). Il più loquace, diciamo pure chiacchierone, dei quattro, è certamente Giampaolo Morelli, che ha fretta di condividere con il mondo una particolare teoria a proposito del suo inserimento nel team di doppiaggio. “Mi hanno scelto perché ricordo Ciop, per via di questa somiglianza naturale. Abbiamo il naso simile”. Scherzi a parte, a convincere il bravo attore napoletano a partecipare al progetto è stato “il fatto che a me piace molto tutto questo cinema degli anni ’80 e ’90, le serie dell’epoca. Lavorare a questo film era un’occasione per immergermi in questo universo”.

Il fascino immortale della Disney e le sfide del doppiaggio

Cip e Ciop Agenti Speciali cinematographe.it

Cip e Ciop Agenti Speciali, reboot che trova anche il tempo di riflettere su alcune tendenze del cinema commerciale, condensa, in circa un’ora e mezza, citazioni e volti noti da decenni di classici dell’animazione. La cosa ha colpito molto i doppiatori italiani, a cominciare da Raoul Bova. “Oggi si fanno tanti remake, è vero, ma se certe storie si ripropongono è perché sono belle. Forse in questi ultimi tempi ci si è spinti un po’ oltre. Poi le idee si sviluppano sempre, così come ci sono le crisi creative. Ma anche la critica che il film fa a certi aspetti del sistema è un modo di andare avanti. Ho una passione trentennale per la Disney, condivisa con tutti i miei figli, grandi e piccole. Tra l’altro è stato mio figlio a spiegarmi bene il concetto di reboot, perché io non lo capivo. Queste storie non invecchiano e sono meglio di certi programmi tv di oggi che propongono un mero intrattenimento. Qui c’è la storia, ci sono i rapporti umani. Cose che ti fanno sognare, che fanno paura. Con questo film sembrava di stare a Disneyland, rivedendo tutti questi vecchi personaggi. Per il doppiaggio, “ho cercato di inseguire una tonalità veritiera, senza fare troppo il verso. Certe volte, per adattarmi al ritmo e al modo di esprimersi degli americani, mi veniva da parlare un po’ come loro“.

Francesca Chillemi sugli stessi temi va in controtendenza rispetto al collega. “Non credo si possa parlare di crisi creativa. Adoro i classici Disney, ogni volta che ne rivedo uno torno bambina. Era la mia prima esperienza al doppiaggio, mi sono affidata totalmente a chi ne sapeva più di me. Credo sia tutta una questione di orecchio, di tecnica. Spero di riuscire a doppiare ancora, in futuro”.

Giampaolo Morelli invece è diviso a metà. “La mia cultura è napoletana, in parte, ma anche legata al cinema americano degli anni ’80 e ’90. Un periodo felice, quello, con l’America che sfornava idee meravigliose che poi noi tentavamo di riprendere, senza averne i mezzi. Ora siamo in una fase discendente, ma c’è sempre tempo per la risalita. In famiglia, se vogliamo passare una bella serata, guardiamo un film Disney. Mette tutti d’accordo. Doppiando, dobbiamo adattarci alla parlata e al tono americano, metterci su una diversa lunghezza d’onda. Il doppiaggio è un lavoro a parte rispetto alla recitazione”.

Jonis Bascir crede nei reboot, crede nel recupero dei classici e tira in ballo il suo bagaglio di esperienze. “Io credo che operazioni del genere servano per far conoscere le cose. Non è più come quando ero giovane, che c’erano solo due canali in tv e quindi per formarti eri costretto a vedere tutto, anche quello che non ti piaceva. Oggi non è più così, mi capita lavorando in teatro di confrontarmi con un pubblico che non conosce, che so, Alberto Sordi e Nino Manfredi”. Ha più confidenza con il doppiaggio rispetto ai colleghi, forse più entusiasmo. “Quando mi hanno detto la prima volta che avrei doppiato per la Disney, sono impazzito. Sono un fan, adoro Il libro della giungla e La spada nella roccia. Io sono cantante, mi occupo di colonne sonore, sono avvantaggiato. Passata l’ansia da prestazione della prima volta, mi sono divertito. Qui e anche con Soul, precedentemente. Il nostro direttore di doppiaggio, Leslie La Penna, è un grande direttore”.

Cip e Ciop Agenti Speciali: i doppiatori italiani spiegano cosa significa, per loro, rischiare

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Il film tesse l’elogio dell’amicizia, del coraggio, dell’accettazione della diversità e di un mucchio di altre cose. Saper rischiare, la morale della favola di Cip e Ciop Agenti Speciali è tutta qui, aiuta molto nella vita. Per il cast di doppiaggio, il rischio è uno dei segreti per una carriera di successo. Ne parlano tutti e quattro, anche se in modo diverso. Più serafico e controllato Raoul Bova, per cui “rischiare significa fare qualcosa che non conosci, con l’entusiasmo e la forza di scoprire nuove cose”. Francesca Chillemi cerca di armonizzare ieri e oggi. “Ho rischiato durante il corso di tutta la mia carriera. Era inevitabile, vengo da un piccolo paesino, i miei genitori erano molto severi, per inseguire questo mio sogno ho dovuto rischiare. E lo faccio ancora oggi perché sono molto istintiva. Nel complesso penso di aver rischiato bene”.

Giampaolo Morelli, parlando della nostalgia e dei suoi primi tempi d’attore ricorda “un autobus, io pieno di valigie. Una casa sulla Tiburtina, davanti agli studi De Paolis, o meglio, la casa dava su un muro fatiscente, gli studi erano in rovina all’epoca. Però io pensavo, ecco, lì girava i suoi film Totò”. Ha rischiato perché forse non c’erano alternative. “Fare questo mestiere è un rischio di per sé. Il lavoro è precario, non facile. Io poi vengo da una famiglia della borghesia napoletana, noi di cinema non ne sapevamo niente. Che potevo fare d’altro? Forse l’ho fatto per disperazione, ero e sono un bambino dislessico. Avevo grosse difficoltà scolastiche, figuriamoci se a Napoli quando ero piccolo si parlava di cose come la dislessia. No, ci si limitava a pensare che fossi un po’ più stupido degli altri“.

Jonis Bascir ha nostalgia dei suoi esordi, soprattutto perché sono stati al fianco di un mentore impareggiabile come Gigi Proietti. Scherza sul fatto di aver dovuto ingrassare per dare la voce a un personaggio corpulento “e per di più che adora il formaggio, mentre io sono intollerante al lattosio! Per me” spiega, in quello che rappresenta senza dubbio l’intervento più sentito e politico della giornata “rischiare ha significato scegliere un certo tipo di lavoro anche quando tutti mi dicevano che ruoli per mulatti non ce n’erano. Oggi i ragazzi godono del beneficio di una persona dalla pelle scura in grado di interpretare un Mario qualunque”.