Barry Jenkins su Se la strada potesse parlare: “bianchi e neri combattono per le stesse cause”

Il regista premio Oscar Barry Jenkins presenta il suo ultimo film, Se la strada potesse parlare parlando del suo modus operandi nella costruzione dei personaggi e dell'importanza delle emozioni.

Giunta alla sua tredicesima edizione, la Festa del Cinema di Roma incontra il regista Barry Jenkins. Jenkins, premio Oscar per Moonlight nel 2016, si trova nella capitale in occasione della presentazione della sua ultima opera, If Beale Street Could Talk (Se la strada potesse parlare), in concorso nella selezione ufficiale.

Il film ha per protagonisti Kiki Layne, Stephan James, Colman Domingo e Teyonah Parris, e segue le vicende di Tish e Alonzo “Fonny”, due giovani ragazzi uniti da anni. I due protagonisti, afroamericani, vivono da sempre nel quartiere di Harlem, in una Manhattan totalmente calata negli anni ’70. Mentre sognano un futuro insieme, la vita dei due giovani viene intaccata e sconvolta dall’arresto di Fonny, che viene accusato di un crimine che non ha commesso e imprigionato.
Tish, che nel frattempo è rimasta incinta, cercherà in tutti i modi di scagionare il suo compagno, sostenuta dei genitori e dei parenti, ma le cose si faranno sempre più complicate.

Se la strada potesse parlare è un libero adattamento dal romanzo omonimo firmato da James Baldwin ed è in uscita nelle sale italiane a partire dal 14 febbraio 2018 con Lucky Red.

Nella terza giornata del festival, Barry Jenkins ha incontrato il pubblico in una conferenza stampa, durante la quale ha risposto a domande riguardo l’importanza della scrittura e della regia, della costruzione dei propri personaggi, dei suoi adattamenti cinematografici a partire da romanzi (anche Moonlight ne era uno) e delle lotte che la comunità afroamericana ha dovuto fronteggiare nel corso degli anni.

Ero già un fan di James Baldwin da diversi anni, da quando ero uno studente al college. Ero fidanzato con una ragazza che, quando mi lasciò, mi disse di leggere un suo romanzo. Baldwin ha due voci: una voce è romantica, sensuale, e parla con passione, mentre l’altra è una voce molto critica nei confronti del sistema corrotto su cui l’America si regge. Me ne sono immediatamente innamorato.

Jenkins prosegue discutendo dell’importanza dei suoi personaggi e dello spessore psicologico che questi, nelle sue opere, devono avere. In particolare, il regista si sofferma sull’importanza delle emozioni e dei sentimenti dei protagonisti, a cui si deve dar voce prima di tutto il resto, al fine di coinvolgere lo spettatore.

Come regista e scrittore“, spiega Jenkins, “provo a riprodurre il modo in cui da piccolo sono cresciuto. Ero sempre molto solo, e quindi mi piaceva osservare le persone, i loro gesti. Questi film, ora, sono tutti incentrati sull’essere umano. Io penso sempre allo script del film in questo modo, cercando di riflettere sui gesti intimi degli esseri umani. Come scrittore e regista devo rifarmi a quello che vedevo, a quei gesti, a quelle persone: è molto importante.”

Il regista continua il discorso sulla rilevanza della sceneggiatura rispetto ad altri elementi filmici, paragonando If Beale Street Could Talk al suo precedente lavoro da regista e autore, Moonlight.

L’adattamento è una cosa molto importante per me. Anche Moonlight ne era uno. Per me è importante provare a onorare lo spirito dell’opera e del testo originale che seguo. Il personaggio centrale di Moonlight, tuttavia, è piuttosto diverso da questo: mentre fra lo spettatore di Moonlight e il suo protagonista poteva esserci una certa distanza, nel caso del mio ultimo film lo spettatore può avere la sensazione di abbracciare i suoi personaggi, o vorrebbe farlo. Allo stesso modo dei genitori del ragazzo, anche il pubblico vorrà prendersene cura. Il film è come un abbraccio.”

Barry Jenkins: “bianchi e neri combattono per le stesse cause”

Il regista si lascia poi andare a qualche battuta sull’episodio che lo vide protagonista agli Oscar del 2016, in cui fu fatto il nome di un altro candidato al posto di Moonlight, reale vincitore: “A dire il vero, quando sbagliarono il mio nome agli Oscar, dove tutto dovrebbe invece essere perfetto, non me ne resi nemmeno conto. Non mi aspetto che sia io il vincitore, quindi per me era perfettamente normale. Inoltre, quel momento è come un buco nero. Non ricordo nulla, devo essere sincero“.

Riguardo la comunità afroamericana e le lotte che ha dovuto fronteggiare, Barry Jenkins spiega che “nel mio film c’è una connessione fra questo e la situazione dei due protagonisti, nel piccolo. Loro due si trovano nel periodo più nero della loro vita, ma è quello che spesso ha dovuto combattere l’intera comunità black per poter rivendicare i propri diritti.” Inoltre aggiunge: “non vi sono diversità tra famiglie bianche e famiglie nere. Casomai, il figlio nero nasce nel pericolo, e nel mio film lo mostro. Tuttavia, ho voluto lasciare che venisse accolto nel modo più caloroso possibile, perché è quel che ogni famiglia, a prescindere dal colore, farebbe.”

Il discorso, in seguito, si estende all’attuale situazione politica europea e oltreoceano:Discriminazioni come l’omofobia dimostrano che bianchi e neri combattono per le stesse cause. Quello che può aiutarci ad abbattere i muri della diversità e del pregiudizio è metterci tutti insieme, in una stanza come questa, a confrontarci e a discutere di tutte le cose. Abbiamo tutti, in comune, il fatto di essere nato da una donna, dalle nostre madri.”

Barry Jenkins conclude con un monito urgente ai nuovi filmmaker, che “ora hanno la responsabilità di dire la verità”.

Nessuno legge come prima, le cose vengono dette e fatte vedere da altre persone. Quando la situazione è questa, c’è un grosso pericolo: il pubblico accetta semplicemente quello che gli viene detto, non mette mai nulla in discussione. Io credo nel modo in cui io faccio e dico le cose, quindi mi prendo le responsabilità di quello che dico e mostro.”