Annarita Zambrano: con Dopo la guerra uso il privato per parlare del pubblico

In occasione della IX edizione dell'Ortigia Film Festival abbiamo intervistato Annarita Zambrano, la regista di Dopo la guerra, che lei definisce "una storia privata che inciampa in una questione pubblica".

“Ho voluto raccontare un vero poetico, concentrandomi sull’intimo di personaggi privati.” Così Annarita Zambrano descrive la sua opera prima alla regia, Dopo la guerra, il film con Barbora Bobulova e Giuseppe Battiston, che mette in luce quella che la regista di origine romana ha definito una “ferita ancora aperta”, riferendosi al trauma che gli anni di piombo hanno lasciato nella memoria degli italiani e di cui ancora oggi si pagano le conseguenze.

dopo la guerra

 

Dopo la guerra, unico film italiano, insieme a Fortunata di Sergio Castellitto, ad essere stato presentato a Cannes nella sezione Un certain regard, è ora in concorso nella sezione lungometraggi all’Ortigia Film Festival. Risultato di un progetto durato sei anni, Dopo la guerra vuole, come ci ha raccontato la regista in un’intervista, raccontare le conseguenze, sulle persone comuni, dell’incapacità umana di mettere in dubbio le proprie ragioni e la propria definizione di giustizia.

“Non considero affatto Dopo la guerra un film storico, è un film privato. Si tratta di una storia privata che inciampa in una questione pubblica. È un film che affronta una ferita ancora aperta, che riguarda l’Italia e la Francia, e la affronta in una maniera privata, rappresentando le conseguenze che questa ferita storica ha provocato nell’intimo delle famiglie che l’hanno vissuta e che non sono riuscite a compiere una rielaborazione effettiva di quegli anni. Di fatto io uso il privato per parlare del pubblico. Racconto non un vero storico, ma un vero poetico, descrivendo l’intimo di personaggi privati.”

Sebbene il centro del film siano i sentimenti e le passioni degli uomini, “vittime collaterali” di una guerra che non hanno scelto, sarebbe impossibile non notare la coincidenza temporale tra questo lavoro e i drammatici avvenimenti che un’altra forma di terrorismo ha causato negli ultimi tempi. Coincidenza però che la regista ha definito del tutto casuale, riscontrando piuttosto nelle due forme di terrorismo la stessa colpa, ovvero quella di dimenticare gli uomini, sacrificandoli sull’altare di una giustizia inattaccabile:

“Lavoro a Dopo la guerra da 6 anni e non erano ancora tempi sospetti. Certo, alcune volte la realtà raggiunge la finzione.  Comunque come punto in comune c’è questa incapacità dell’uomo di mettersi in discussione, di mettere in dubbio le proprie ragioni, tanto di combattere una guerra senza pensare alle conseguenze umane, tanto da far scomparire l’umano, come accade al professore ucciso nel mio film, in cui l’essere uomo scompare nel simbolo politico.”

In Dopo la guerra il tema del terrorismo è affrontato da un punto di vista nuovo e inconsueto, quello del “colpevole” e delle persone che, facendo parte della sua vita, subiscono le conseguenze delle sue azioni. Un simile sguardo riconduce i colpevoli e le vittime alla loro comune natura di uomini, innescando interessanti riflessioni sulle effettive motivazioni della “paura del diverso”, che oggi sembra avere sempre più forza nel nostro paese:

“Oggi è la paura dell’altro a limitare le nostre stesse vite. Ma penso che essa si annidi sempre dove c’è qualcos’altro, nel caso del terrorismo la paura si è annidata nell’intolleranza. La cosa peggiore che ci può succedere è cedere alla paura. In questo modo faremo il gioco delle persone che usano la paura come loro arma e allo stesso tempo di quelle che la strumentalizzano per raggiungere i propri scopi.”

Ma come limitare questa paura? A tal proposito le idee della regista di Dopo la guerra sono piuttosto chiare:

“Penso che l’arma più forte contro la paura sia l’intelligenza e la cultura, conoscere chi siamo, chi eravamo, la vita dei nostri genitori e prima dei nostri nonni, insomma conoscere la nostra storia. La paura non può prevalere, bisogna usare la testa e razionalizzare. O scegli la morte o scegli la vita.”

Dopo la guerra

In definitiva il film debutto di Annarita Zambrano, pur non volendo farsi carico di nessuna funzione di tipo educativo o pedagogica, racconta una storia di persone comuni non reali ma verosimilmente tali, per suscitare nello spettatore delle domande. Lo sguardo e il legame con il mondo reale è infatti per la regista una componente ineludibile del suo cinema, come lei stessa ha sottolineato:

“Il cinema che mi interessa è quello che riguarda la realtà, che rivolge uno sguardo al nostro mondo perché in fondo penso che il nostro sia un mondo meraviglioso e al contempo tragico.”

Un cinema, quello di Annarita Zambrano, che affonda le proprie radici in terre molto lontane, fino ai grandi della tragedia greca, come Sofocle ed Euripide, se è vero che, come ha dichiarato la regista:

“Si tratta infondo dello stesso sguardo della tragedia greca: adesso che sono a Siracusa non posso far a meno di pensare ai grandi autori come Eschilo, Sofocle ed Euripide. A ben guardare questi ultimi non facevano altro che raccontare le passioni umane: il sesso, potere, infelicità, l’ambizione, la speranza che le cose possano andare per il verso giusto, la paura. Insomma quelle che potremo definire le passioni universali, che in effetti  si manifestano in ogni epoca, sebbene in forme diverse.”

E sono quelle stesse passioni a tornare in tutta la loro forza in Dopo la guerra e non sarebbe potuto essere altrimenti in un’opera di Annarita Zambrano che, come già è accaduto nei suoi precedenti lavori (A la lune montante, Tre ore), non può far a meno di rivolgere lo sguardo al mondo reale, in quanto, come ha dichiarato la regista:

“Per quanto riguarda il mio cinema uno sguardo al nostro mondo è primordiale e irrinunciabile.”

Dopo la guerra, distribuito da  I Wonder Pictures, dopo la partecipazione a Cannes 2017, al Biografilm ed alla IX edizione dell’Ortigia Film Festival, sarà al cinema il prossimo autunno.