The Walk: la vertigine di Robert Zemeckis passa per l’IMAX 3D

C’è una linea sottile tra arte e tecnica, tra il talento e l’artificio adoperato per amplificare o addirittura mutare lo stesso; la linea sospesa sulla quale passeggia Philippe Petit in The Walk di Robert Zemeckis separa il mondo in due tronconi: il sogno, la sfida, il pericolo, la voglia di farcela da una parte e l’ansia, lo stupore, la legge dall’altra.
Joseph Gordon-Levitt interpreta il funambolo Petit che, su quel filo teso e sospeso nel vuoto, a 417.5 metri dal suolo, compì la sua mirabolante traversata tra le Torri Gemelle. Erano le 7,15 del mattino del 7 agosto 1974 e la folla ammirava entusiasta quel folle che faceva la spola tra gli edifici, incurante dei rischi. Chissà quanti, in quell’istante, si sono chiesti cosa si prova a camminare in cielo tra le nuvole, ad isolarsi dal rumore del mondo, a lasciare indietro la paura per dare vita a un’opera d’arte quanto mai effimera, fugace, tecnicamente non riproducibile, seppur immortalata negli scatti in bianco e nero dell’epoca. A più di quarant’anni di distanza il regista di capolavori come La morte ti fa bella, Forrest Gump, Cast Away, si cimenta in un biopic con la volontà di rendere onore all’arte funambolesca, facendo provare agli spettatori il brivido della vertigine, in un valzer artistico che ora più che mai trova un legame indissolubile con la riproducibilità tecnica, per mezzo della quale si percorre il filo insieme al protagonista, si soffre, si gioisce e ci si adagia in cielo, mentre un senso di vuoto esasperato spiazza l’animo e l’immaginazione.

The Walk: la vertigine di Robert Zemeckis passa per l’IMAX 3D

La storia raccontata da The Walk è tutto sommato nota e ripercorre alcuni punti salienti della vita di Philippe Petit, un giovane funambolo, mimo e giocoliere francese che abbandona la sua casa per trasferirsi a Parigi e da lì, dopo una serie di condizioni ‘favorevoli’, partorisce l’idea di recarsi a New York per compiere la sua titanica impresa di fissare un filo d’acciaio tra le Twin Towers del World Trade Center. Altrettanto titanica l’impresa del regista Robert Zemeckis che, se dal punto di vista puramente narrativo si è avvalso delle testimonianze dell’artista, dal quello prettamente operativo ha dovuto far in modo di acuire l’ingegno e costruire l’artificio in modo da trasmettere allo spettatore la sensazione del vuoto, farlo sentire in cima alle torri, a 417.5 metri di distanza dal suolo, in bilico su un filo sottilissimo, il nodo in gola per la paura di non farcela. Tutto questo, forse, fino a qualche decennio fa sarebbe stato impossibile, ma Zemeckis ha avuto dalla sua la tecnologia, quella grande mano della tecnica che si combina all’arte prendendo forma e sintetizzandosi nelle parole 3D e IMAX. Non occorrono spiegazioni approfondite sull’argomento, tutti più o meno sanno che il cinema tridimensionale è un’invenzione tutt’altro che recente, al pari della tecnologia IMAX, ma certamente in questi ultimi anni il suo uso si è amplificato, colmando talvolta gli spazi vuoti della trama e facendo di un’opera scialba un entusiastico parco giochi per gli occhi. Basti pensare, a tal proposito, ad Avatar di James Cameron, la cui storia è stata da molti associata a quella di Pocahontas, ma ciò che l’ha reso memorabile sono stati appunto gli effetti speciali e il 3D, senza il quale molto probabilmente avrebbe perso gran parte del suo fascino.

Ma torniamo a The Walk e al perché è necessaria la suddetta tecnologia per godere appieno dell’esperienza filmica. Il regista ha optato per l’uso dell’IMAX 3D, che permette di aumentare l’impatto visivo creando l’illusione della profondità. Nei fotogrammi del film, infatti, ciò che fin dal trailer fa venire i brividi è la sensazione di percorrere tutti quei metri e di trovarci d’un tratto in cima alle Torri Gemelle, come se fossimo sulle montagne russe. Il set è un infinito intersecarsi di linee e geometrie. Laddove la terza dimensione ci permette di annullare l’ipotetica quarta parete, l’IMAX viene in soccorso dello sguardo eliminando le infrastrutture dell’immaginazione e facendoci calare perfettamente nei panni del protagonista. Noi siamo i suoi piedi, le sue mani; siamo i suoi occhi e, per quanto vogliamo sforzarci di scendere dal quel filo teso, l’unica cosa che ci è concessa per aumentare la distanza è sentirci come chi sta sulla ringhiera o giù sul marciapiede. Per chi soffre di vertigini la visione è straziante, al contrario, per chi ama caricarsi di adrenalina, vive in due ore tutte le emozioni che forse neanche una vita intera passata ad allenarsi e a salire sulle giostre più folli riuscirebbe a regalare.

La profondità di The Walk si sviluppa in orizzontale, lungo il filo teso e percorso senza fiatare e in verticale, facendoci oltrepassare le nuvole e indirizzando lo sguardo verso un punto di fuga in perenne movimento. È altresì una verticalità che va dall’alto verso il basso e viceversa, sottolineando più e più volte la distanza che separa il protagonista dal suolo. Il 3D, dal canto suo, ci regala la sensazione di realtà e veridicità, che uno schermo piatto annullerebbe. Altro dettaglio da non sottovalutare è la scenografia: l’angolo della Torre Sud, ossia la parte delle Twin Towers in cui si svolge l’azione, è stato ricostruito sulla base dei progetti originali dalla scenografa Naomi Shohan, mentre Kevin Baillie si è occupato di supervisionare gli effetti visivi e a tal proposito ha dichiarato su The Telegraph: “La più grande sfida per me stava nel far sentire il pubblico come se fosse lì sul filo con Philippe. […] gli effetti visivi dovevano mostrare al pubblico sì qualcosa di realistico, ma anche credibile”. L’Atomic Fiction, la società di effetti visivi, ha dovuto unire soluzioni tecniche differenti per ricreare l’intero mondo del 1974 di New York e il panorama dell’epoca.
Tra gli escamotage adoperati, il fatto di far camminare davvero sul filo Joseph Gordon-Levitt, l’uso di controfigure, sostituzioni del viso, nebbia e tutto ciò che si poteva carpire dalle foto dell’epoca e che hanno provato a riprodurre.