Editoriale | The Room: la tragica interpretazione che ha ispirato The Disaster Artist

Il 27 giugno 2003 usciva a Los Angeles The Room, un film sgraziato, male interpretato e senza norma, come lo è Wiseau. Lo stesso film che ha ispirato James Franco portandolo a realizzare, nel 2017, The Disaster Artist.

2003: i cartelloni pubblicitari urlano a gran voce l’uscita di un film, The Room, diretto da Tommy Wiseau. “Il Quarto potere dei film brutti”, il peggior film mai realizzato. Questo è stato The Room che sarebbe dovuto essere il racconto di un triangolo amoroso invece poi si è trasformato in una pellicola cult grazie alla trama sconclusionata e alla stravagante performance di Tommy Wiseau. The Room e il suo regista sono entrati nella leggenda anche perché per la realizzazione di questo brutto film sono serviti sei milioni di dollari e sono stati incassati solo 1.800; è andata meglio grazie al mercato home video e alle proiezioni di mezzanotte dei cineclub dove l’opera è stata apprezzata come una commedia grottesca, volutamente mal fatta, e non come un’opera “seria”.

Nel 2017 The Room ha catturato di nuovo il pubblico grazie a The Disaster Artist, l’opera di James Franco, basata sull’omonimo libro di Greg Sestero, amico del regista di The Room e suo coprotagonista (Mark), che descrive la realizzazione del film e l’amicizia con Wiseau. The Disaster Artist di Franco pone al centro proprio il regista, oggi una vera icona, e il suo “disaster movie”: Wiseau viene mostrato per quello che è, un uomo fuori da ogni regola e oggetto di sguardo, o cinefilo o critico, irridente fruitore della settima arte, da parte di chi è vorace cannibale del suo essere non conforme – il modo di camminare, di parlare, quel suo accento, di recitare -, e da parte di chi lo rigetta proprio in virtù di questo suo strano aspetto.

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Per comprendere meglio la figura di Wiseau, il suo lavoro in bilico tra successo e insuccesso, e anche l’opera stessa di Franco è necessario guardare entrambi i film come testi che portano con sé un bagaglio di indizi, sviscerarli e leggerli proprio alla luce della reciproca complementarietà.

The Room: Wiseau un uomo fuori dalla norma

The Room è un oggetto sgraziato, male interpretato e senza norma, come lo è Wiseau, difficile da classificare e da incasellare, un mistero per gli altri (si ignora la provenienza, la data di nascita, la ragione del suo ingente patrimonio finanziario) e forse anche per se stesso: non lo si può definire regista, neppure produttore, nonostante molti siano i fondi a sua disposizione, neanche sceneggiatore e men che meno attore. Chi è Wiseau? È diventato un’icona, quasi un simbolo contrario del mito americano: come si vede in The Disaster Artist, Wiseau (James Franco) è convinto di avere capacità, di poter arrivare, assieme all’amico Greg (Dave Franco), nell’empireo hollywoodiano, non conoscendo i suoi limiti. Non è in grado di mettersi in contatto con i suoi simili – infatti capita che quando parla non lo capiscano -, distorce la realtà, anzi ne costruisce una tutta sua in cui essere finalmente protagonista e al centro.

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Wiseau vuole essere buono, un personaggio positivo, ma non capisce (o forse sì) che il mondo circostante o ne è “spaventato” o lo deride, prendendosi gioco della sua diversità – la crudele scena della proiezione al cinema del suo film ne è la prova. Vorrebbe essere l’eroe ma in La tempesta di Shakespeare il regista teatrale gli farebbe interpretare  proprio per il suo aspetto, a tratti spaventoso, quasi mefistofelico, il conturbante e respingente Calibano.

Come in un gioco di specchi The Room, attraverso il film di Franco, e lo stesso Wiseau appaiono estremamente comici, ma anche storie amare di un uomo in bilico tra commedia e tragedia, tra riso e lacrime. Lo spettatore della sua malconcia e strampalata vicenda, proprio perché vista a distanza, su di uno schermo, avverte attrazione e avversione per lui, diversa e la situazione se si è coinvolti, come il cast che lavora al suo fianco, in questo triste e grottesco circo.

James Franco, lui stesso personaggio particolare del cinema a stelle e strisce, non può che rimanere colpito da Wiseau e dalla sua “epica”, come non può rimanere indifferente Hollywood da sempre alla ricerca di un nuovo folle dio da venerare. Franco si posiziona su e investiga il confine tra il ridicolo volontario e il patetismo involontario, la commedia e la tragedia, il “capolavoro” che può nascere dalle “macerie”, la provocazione per la provocazione che forse è solo una richiesta di appartenenza a qualcosa. Dà corpo a un Wiseau perfetto, che ricalca in ogni particolare l’originale, imita i suoi movimenti, il suo modo goffo di vivere e di non sapere fare nulla, donando al suo personaggio un meraviglioso umorismo lunare e malinconico; così mette in scena la storia di un uomo diverso che sembra tristemente e tragicamente solo in questa scalata verso il successo.

The Disaster Artist: James Franco racconta la storia disastrosa (forse) di un film e di un uomo

Franco realizza un’opera complessa, metacinematografica che vive e rivive la “bruttezza”, gli errori, le disarmonie di The Room rifacendole con grande attenzione (i titoli di coda ne sono un esempio), rimettendo in scena lo sgradevole  e dandogli nuova dignità. The Disaster Artist ha la statura del film d’autore, raccontando uno spettacolo alle volte aberrante – la completa incapacità recitativa di Wiseau, le sue stupide manie – con l’interesse di uno studioso che intende comprendere l’umanità di cui fa parte ed appare chiaro che The Room sia un grido disperato di Wiseau per sentirsi parte di un mondo.

The Disaster Artist guarda a The Room come un seguace fa con il suo mentore: Franco prende Wiseau e lo rende ancora più tragicomico, lavora sulla differenza tra la maschera mostruosa che si indossa e si toglie e l’essere in sostanza una sorta di “fenomeno da baraccone”. Penetra nella storia paradossale di un caso e di un uomo fatta di isolamento, emarginazione e imperfezione e dal rapporto tra i due film e i due attori emerge ancora una volta con chiarezza quanto la società idolatri tutto ciò che smuove il dissonante, profondo, rimosso di ognuno di noi facendone oggetto di culto.