The Raven: la storia vera che ha ispirato il film su Edgar Allan Poe

Nonostante la fredda accoglienza riservata da critica e pubblico all’epoca dell’uscita nelle sale, il thriller dai toni gotici The Raven è una pellicola che sfrutta abilmente un mistero reale tuttora irrisolto per farne un intrigante caso che esalta i migliori romanzi di Edgar Allan Poe.

Baltimora, 7 Ottobre 1849. Edgar Allan Poe muore all’ospedale Washington College dopo essere stato ritrovato pochi giorni prima da un uomo chiamato Joseph W. Walker, che ha soccorso lo scrittore mentre vagava senza meta per le strade della cittadina in preda ai deliri e con addosso dei vestiti che non gli appartenevano. Sebbene si cercò di ricostruire l’antefatto che portò l’autore alle gravi condizioni in cui era stato assistito, nessuno seppe mai che cosa accadde nei giorni antecedenti al suo ritrovamento e la sua morte, dopo più di 150 anni, rimane ancora oggi un mistero inspiegabile su cui, probabilmente, non scopriremo mai la verità ma sul quale si avvicendano tutt’ora infinite teorie che si snodano tra quelle complottiste e le più raziocinanti.

Da questi inquietanti ma allo stesso tempo affascinanti presupposti e sfruttando le premesse macabre di un’indagine mai risolta su un celebre personaggio della cultura letteraria nasce l’idea di The Raven, un thriller in cui si intrecciano abilmente ingredienti tipici dei romanzi polizieschi ed elementi raccapriccianti per celebrare in tutta la sua imponenza uno dei più grandi e influenti scrittori di sempre, colui che è stato l’iniziatore del racconto poliziesco, della letteratura dell’orrore e del giallo psicologico. La pellicola è una vera e propria esaltazione della terrificante genialità di Edgar Allan Poe e delle sue opere più note, da I delitti della Rue Morgue a Il pozzo e il pendolo, senza ovviamente far mancare Il gatto nero, attraverso un viaggio alla riscoperta della bellezza della sua scrittura e inventiva, che diventano la base per una scia di efferati delitti che sembrano a tutti gli effetti uscire dalla penna di Poe. Ogni ingrediente è studiato con dovizia di particolari tanto che la stessa fotografia e le scene più cruenti appaiono come facenti parte dei più fervidi incubi generati dalla lettura dei suoi racconti, cesellati da un caso apparentemente insolvibile del quale non è poi così intuibile il criterio con cui unire i vari pezzi.

«Gli uomini mi hanno chiamato pazzo; ma nessuno ancora ha potuto stabilire se la pazzia è o non è una suprema forma d’intelligenza.» da “Edgar Allan Poe – Racconti del Terrore”, 1841

L’intera morte di Poe è avvolta da un fitto e ambiguo mistero sul quale è stato semplice giocare per renderlo un protagonista e novello detective del quale esaltare le particolarità più lugubri dei suoi grandi romanzi. The Raven utilizza il mezzo cinematografico per manipolare la realtà e riempire i vuoti della sua scomparsa, i quali non saranno mai colmati nella storia vera, esaltando pregi e debolezze di uno scrittore che nel corso della sua vita terrena ha perso tanto e avuto poco in cambio, ma che è stato poi ricompensato nei posteri diventando una leggenda ispiratrice, perfino attraverso la sua stessa morte. Il film sfrutta le poche certezze che si conoscono sui suoi ultimi istanti per farcire una storia fittizia dai toni gotici, ma che si lascia andare anche a momenti di puro romanticismo in una bilancia che cerca di assestarsi tra i suoi due pendoli, ma che alla fine colpisce nel segno di far percepire in maniera ancora più vivida l’amaro in bocca generato dalla sua dipartita solitaria. Il thriller ci fornisce una motivazione della sua morte, ma nonostante questo si rimane perfettamente consapevoli che nella realtà questo non accadrà mai e anziché fornire un balsamo per la ferita, si avverte solamente il senso di perdita e mancanza.

The Raven: il mistero della scomparsa di Edgar Allan Poe che ha ispirato il film

Edgar Allan Poe ha vissuto un’esistenza estremamente tormentata, composta in gran parte da problemi finanziari, un utilizzo spropositato di alcolici e di sostanze stupefacenti e una depressione causata dall’essere un genio incompreso denigrato e biasimato sia dalla critica che dai lettori della sua epoca. Date le sue pessime abitudini e i pessimi vizi in cui l’uomo indulgeva, in pochi si stupirono quando i giornali dell’epoca attribuirono la morte dello scrittore a una “congestione del cervello” o “infiammazione cerebrale”, eufemismi comuni utilizzati per descrivere le morti dovute a cause come l’alcolismo. Nonostante questo, alcune circostanze della sua scomparsa risultano comunque poco chiare, dovute soprattutto ad alcuni accadimenti avvenuti appena prima della sua dipartita considerati da tutti inspiegabili. Si dice che Poe abbia invocato ripetutamente il nome “Reynolds” durante la notte precedente al suo decesso, ma nessuno conosceva la persona a cui si riferisse. Alcune fonti affermano anche che le ultime parole dello scrittore furono «Signore, aiuta la mia povera anima».

Nessuna di queste affermazioni però può trovare una testimonianza scritta dal momento che i referti medici e il suo certificato di morte sono andati misteriosamente perduti. Chi stava chiamando Poe sul letto di morte? Chi era questo Reynolds? Ma soprattutto, che fine hanno fatto i referti ospedalieri e perché farli sparire se si trattava di un semplice decesso dovuto all’alcolismo? Era mai possibile che un bevitore incallito come Edgar Allan Poe fosse morto così facilmente per colpa di complicanze dovute al male che lo attanagliava da tempo o forse la causa era da ricercarsi altrove?

The Raven propone alcune idee fantasiose per rispondere a queste domande, ma nella realtà si sono succedute diverse ipotesi nel corso dei decenni successivi alla sua morte nel tentativo di dare una spiegazione razionale a ciò che era accaduto, tra le quali emerse prepotentemente la seguente: nel 1872, alcuni ipotizzarono che lo scrittore gotico fosse stato rapito e costretto a bere alcool, per essere poi sfruttato ripetutamente come “elettore forzato”, in una pratica fraudolenta conosciuta con il termine “cooping”, utilizzata nel corso del XIX secolo per obbligare in maniera coercitiva i partecipanti, durante un’elezione politica, ad esprimere il proprio voto, anche più volte, per un particolare candidato. Il cooping consisteva nell’imprigionare qualcuno in una stanza e, in seguito, al malcapitato venivano somministrate forzatamente droghe o sostanze alcoliche per riuscire a piegare la sua volontà o, nei casi dei più inflessibili, egli veniva perfino torturato e percosso fino ad ottenere la sua completa arrendevolezza. Oltre a questo, gli sventurati erano solitamente costretti a cambiare i propri vestiti e indossare parrucche o baffi finti per far sì che potessero votare alla stessa elezione più volte di seguito, e proprio questa abitudine rappresenterebbe un elemento chiave nella morte di Poe, in quanto spiegherebbe il motivo per cui l’uomo si trovava in preda ai deliri in giro per strada con abiti che non erano i propri. Inoltre, bisogna considerare il fatto che nel periodo della sua morte, il Maryland stava affrontando delle elezioni politiche e lo scrittore poteva essere un facile bersaglio da catturare dati i suoi ben più che conosciuti problemi con l’alcol e la sua consueta presenza nei bar malfamati della città.

The Raven: la realtà mistificata per onorare i capolavori di un grande scrittore

Quella appena proposta è però solo una delle tante teorie proposte per dare un senso alla morte di uno dei scrittori americani più importanti mai vissuti. Sebbene essa sia la più apprezzata, forse perché stimola quel lato più raccapricciante che prende vita dai suoi romanzi e una macabra realtà che avrebbe accompagnato conformemente il maestro dell’orrore fino alla sua tragica fine, tra le altre cause proposte, forse più verosimili ma anche meno affascinanti, ci sono delirium tremens, cardiopatia, epilessia, sifilide, meningite, colera e rabbia. A supportare la tesi secondo cui l’ultima malattia citata sia la causa più probabile della morte di Poe, ci pensa uno dei più recenti studi proveniente dal cardiologo dell’Università di Maryland, R. Micheal Benitez, il quale in una relazione che ha pubblicato nel settembre 1996 afferma quanto segue: “Non si può dire con certezza che la rabbia fu causa della sua morte dal momento in cui non ci fu un’autopsia, tuttavia questa è l’ipotesi da considerare più veritiera in quanto deliri, tremori, allucinazioni e stati confusionali, sintomi tipici della rabbia, non possono essere spiegati con l’abuso di alcool poiché Poe smise di assumere queste sostanze sei mesi prima del ricovero in ospedale”. Benitez aggiunse inoltre che “i resoconti storici delle condizioni di Poe in ospedale pochi giorni prima della morte indicano che con grande probabilità egli ebbe la rabbia”.

Secondo quanto riportato, lo scrittore aveva viaggiato in treno da Richmond fino a Baltimora pochi giorni prima del suo decesso il 28 settembre; mentre era a Richmond, egli aveva fatto una proposta di matrimonio a una donna (la quale nel film prende il nome di Emily e viene interpretata da Alice Eve) che sarebbe dovuta diventare la sua seconda moglie. Poe intendeva continuare il viaggio fino a Philadelphia per completare degli affari, di cui non si sa nulla, quando all’improvviso si ammalò. In base ai resoconti, l’uomo all’inizio era delirante e percorso da brividi e allucinazioni, alle quali poi seguì il coma. In seguito, lo scrittore si risvegliò divenendo calmo e lucido, ma poi cadde nuovamente in uno stato di delirio dal quale fu necessario immobilizzarlo. Alla fine perse definitivamente conoscenza e morì il quarto giorno dal suo ricovero in ospedale. Secondo il cardiologo Benitez, non era possibile che un paziente affetto da astinenza da alcol potesse ammalarsi gravemente, rimettersi per poco tempo e poi di nuovo peggiorare per morire, in quanto l’astinenza dagli oppiacei non produce tutti quei sintomi, con lucidità alternata a stati di incoscienza. Inoltre, egli riporta come il medico di Poe scrisse che l’uomo “rifiutò l’alcol che gli fu offerto e bevve solamente acqua, ma con grande difficoltà, classico segno di rabbia che provoca dolore e difficoltà di deglutizione”. Benitez conclude quindi che l’ipotesi più sensata e probabile era quella secondo cui Poe venne forse morso da un animale domestico e avesse quindi contratto la malattia, senza nemmeno rendersene conto.

Certamente, dopo oltre un secolo dalla sua scomparsa e basandosi solamente sulle tante chiacchiere e sulle poche certezze, è praticamente ormai impossibile arrivare a una conclusione che sia in qualche modo attendibile e che permetta di virare verso un’ipotesi piuttosto che un’altra. Per certi versi, forse è preferibile che la morte di Poe rimanga avvolte dalle nubi di un mistero che non troveremo risolto arrivando alla fine di un suo racconto e che, in questo modo, esalta nella maniera più sublime e contorta la vena gotica del grande autore. Realtà e finzione sono indissolubilmente legate nella vita e nella morte e, a volte, l’enigma più importante non deve necessariamente trovare una sua soluzione ma può rimanere una macabra indagine su cui ognuno di noi si può trasformare, per una volta, come il più esperto degli investigatori.