The Captive – Scomparsa: il significato del finale del film di Atom Egoyan

Atom Egoyan dirige The Captive - Scomparsa, un drammatico film in cui un padre indaga incessantemente per ritrovare sua figlia. La spiegazione del finale del film con Ryan Reynolds

Basta un attimo e la vita cambia totalmente. Basta un momento di distrazione e il mondo crolla. È successo questo ad un padre, Matthew (Ryan Reynolds), e ad una madre, Tina (Mireille Enos) che cercano ancora disperatamente la loro figlia, Cassandra (Alexia Fast). Tanto dolore, tanta pena e un grosso peso. Da quel giorno immerso nel freddo e nella neve in cui hanno rapito Cass nulla ha più valore, o meglio l’unica cosa che per Matthew ha importanza è ritrovarla. The Captive – Scomparsa, il film di Atom Egoyan (Remember) del 2014, gioca a mosca cieca con lo spettatore: benda chi guarda con un bianco “feroce” che “addolora” gli occhi, lo fa girare su se stesso, muovendolo avanti e indietro con flashback e flashforward, e poi lo “riporta alla luce”.

The Captive fa capire delle cose, giocando con il tempo, con la tensione e con i personaggi per poi riprendere le fila e iniziare a svelare la trama. Fin da subito il film di Egoyan, avvezzo alle favole nere (Il dolce domani e Il viaggio di Felicia), crea una sensazione di spaesamento: prima i titoli di testa scorrono sul manto nevoso poi un interno, un uomo di spalle e in televisione la Regina della notte di Mozart, il momento più terribile de Il flauto magico in cui una madre canta il bene strappato. Le note mozartiane, filo conduttore della pellicola del regista, ben si prestano a raccontare il disperato canto di dolore di due genitori, che, da ben otto anni, non vedono la loro figlia, scomparsa nel nulla, all’improvviso.

Un improvviso che ha un luogo (un parcheggio), un tempo (quello di comprare una fetta di torta) e una colpa (aver lasciato la figlia da sola in macchina) ben precisi. Un padre – che vive lo stesso supplizio del protagonista di Prisoners (Denis Villeneuve) – vive e rivive ogni giorno, da otto anni, quella manciata di minuti, interminabili e velocissimi, e non trova e non si dà pace: dove è Cass?. Una madre è persa, disperata, arrabbiata con il marito che non c’era quando ci sarebbe dovuto essere, soffre per la mancanza della figlia, piange lacrime amare per quella bambina che pattinava meravigliosamente, che aveva tanti sogni e ora è imprigionata e invischiata in un giro terribile in cui degli orchi la usano. Cassandra, nella mitologia colei a cui nessuno presta fede, qui ha un padre convinto, pervicace e ostinato che crede che sia ancora viva, la ascolta, segue il suo silenzio assordante e pieno di significato, la vede e ne annota ogni parola, un padre che “corre” come un pazzo alla ricerca di indizi, tracce per ritrovarla. Come ne Il pifferaio magico, Cass usa la sua musica, la sua voce per attirare altri sventurati come lei; in qualche modo esce da quella torbida torre eburnea, lo fa guardando da una telecamera nascosta le immagini di sua madre che disperata si contorce nella sua assenza, lo fa quando, vittima lei stessa, irretisce altre vittime.

THE CAPTIVE – SCOMPARSA: il racconto tragico di una ragazzina da ritrovare

Mentre prende forma la lacerante istantanea di Cassandra vittima di uno dei più crudeli, insensati e ripugnanti reati, la pedofilia, in quel bianco candido sotto cui pulsa un cuore ferito e in cui scorre un sangue vivo ma anestetizzato, Matthew fa il lupo solitario, compie le sue indagini, parallele a quelle della polizia, ricorda e ricorda ancora, e, come si fa in un gioco della Settima Enigmistica, collega i punti per avere un’immagine finita. È costretto a fare i conti anche con pesanti accuse (aver partecipato in qualche modo alla sparizione della figlia) che spezzano le ossa e pesano come macigni sull’animo già mortoriato.

Egoyan, aiutato dalla neve che continua a cadere e che rende tutto uguale a se stesso, immerge lo spettatore in questo lungo, eterno inverno in cui al centro c’è una stasi talmente dolorosa da ferire in maniera irrimediabile. Il regista compone un puzzle in cui sembra che le tessere vengano gettate alla rinfusa, e, invece no, vi è una sottile strategia: creare un clima di nauseabonda assuefazione per poi portare allo scioglimento finale. Nonostante ci si sposti nel tempo come un funambolo sulla corda, la sensazione è quella di essere bloccati inesorabilmente al momento del rapimento, assieme a Matthew, prigioniero del suo stesso senso di colpa.

The Captive è un grido monocorde talmente disperato da lacerare le orecchie in cui cinque disperati, prigionieri combattono (non solo una guerra comune, ma anche una personale, con se stessi, con il proprio passato): i genitori, i due detective, Nicole (Rosario Dawson) e Jeffrey (Scott Speedman), la stessa Cass si dibattono per ritrovare e farsi ritrovare. Il puzzle si ricompone di sequenza in sequenza, inquadratura dopo inquadratura, ma qualcosa sembra non tornare, qualche tessera non combacia con le altre ma questo non risulta essere un difetto, anzi rientra nel disegno del regista, come se l’importante dovesse essere il risultato non solo e non tanto come ci si arriva.

THE CAPTIVE – SCOMPARSA: la Via Crucis di un padre che guarda per trovare

Matthew insiste, si avvicina sempre di più al ritrovamento della figlia; “un trucco, un inganno” riecheggiano le parole della piccola e della grande Cass e per l’uomo, mentre investiga, diventa sempre più intenso “l’odore” della ragazzina come succede al lupo con i suoi cuccioli. Stringe il cappio intorno al collo degli orchi, li insegue, li guarda da lontano come loro avevano fatto con la piccola e come per lei non c’era stato scampo neanche per loro che l’hanno rapita, usata (il suo corpo, la sua immagine, la sua voce) e rinchiusa in una prigione asfittica e spaventosa, un bunker da cui è difficile uscire. Il padre arriva con e per amore alla figlia; tutta quella tenacia, tutto quel disperato attaccarsi ad ogni minimo indizio, tutto quel guardare e riguardare da ogni punto di vista ciò che è accaduto viene ripagato dall’abbraccio con lei. Come in un istante otto ani prima tutto si era spezzato, una famiglia si era sgretolata, un marito e una moglie erano diventati due nemici, animali feriti, ringhianti, desiderosi solo di ritrovare il cucciolo, così ora Cass, tornata, in un istante ritrova tutto ciò che aveva lasciato. Abbraccio, occhi negli occhi, unità, una famiglia.

Cass pattina di nuovo libera verso il futuro, all’inizio un po’ spaventata e incerta, vacillante sulle gambe, come cucciolo quando impara a “camminare”, poi sicura, piena di quel sorriso che le riempiva il volto otto anni prima.