Che fine ha fatto Roberto Benigni?

Ripercorriamo gli ultimi anni della carriera di Roberto Benigni, entrato da pochissimo nel cast di Pinocchio di Matteo Garrone.

Se fino a qualche ora fa questa domanda sarebbe stata più che lecita, la cronaca ci ha anticipati regalandoci una succosa novità sull’attore e regista toscano più noto e amato al mondo.

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Ormai è noto che l’acclamato regista di Dogman e L’imbalsamatore recupererà le atmosfere da fiaba messe in scena nella sua prima produzione internazionale, Il racconto dei racconti, e si cimenterà in una nuova versione di Pinocchio. Il film, il cui primo ciak è previsto per l’inizio del 2019, è un progetto su cui Garrone stava meditando da tempo e contava come guest star del cast, l’attore napoletano Toni Servillo. All’improvviso, tuttavia, il cineasta romano ha tirato fuori dal suo cappello da prestigiatore il nome di Benigni, annunciando già da ora il ruolo che andrà a interpretare: quello di Geppetto.

Prima di Pinocchio: Benigni dopo l’Oscar del 1999

ROberto Benigni Cinematographe.it

PINOCCHIO – Matteo Garrone e Roberto Benigni (foto di Greta De Lazzaris)

Resterà per sempre negli annali la scena di Benigni che, annunciato dalla connazionale Sophia Loren come vincitore del premio Oscar per il Miglior Film straniero per La vita è bella, salta sulle poltrone salutando e baciando la platea. Oggi Garrone è tra i possibili candidati della cinquina dell’Academy, esattamente vent’anni dopo il trionfo di Benigni. Questo non è l’unico legame che intercorre tra i due registi: come ricorderete senz’altro, il progetto che seguì La vita è bella fu proprio la sua interpretazione di Pinocchio, del 2002. Il film non ha il successo  che tutti si aspettavano e incassa in totale la cifra di 41.323.171 euro. La critica non accoglie con molto entusiasmo la storia del burattino collodiano riscritta dal nostro Roberto nazionale e rimane piuttosto famosa la performance mediocre dell’affezionatissima moglie del regista (e protagonista), Nicoletta Braschi. Come Fata Turchina, la Braschi non riusce a convincere la maggior parte degli spettatori che le imputano il difetto di un’interpretazione schematica e senza sangue, decisamente distante dalla deliziosa Fata dai Capelli Turchini regalataci da Gina Lollobrigida nel Pinocchio di Luigi Comencini (1972).

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Roberto Benigni nei panni di Pinocchio (2002)

A molti fa storcere il naso anche la scelta di Benigni di assegnarsi la parte del personaggio principale, tradizionalmente assegnata ai bambini, tacciandolo di un eccesso di protagonismo. In realtà il fisico dinoccolato dell’attore rende abbastanza bene l’idea di Pinocchio come burattino, toccando alte vette di surrealismo quando quest’uomo – che allora aveva cinquant’anni esclama di essere diventato “Un bambino vero”. Che, tornando ad affrontare la fiaba di Collodi nei panni maturi di Geppetto, l’attore riesca a fare ammenda di questa Sindrome di Peter Pan?

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Benigni dopo Pinocchio: via dal cinema, il ritorno in televisione e a teatro

Nel 2004, dopo l’accoglienza tiepida del suo Pinocchio, Benigni ci riprova con un film che ripropone i meccanismi alla base del successo de La vita è bella: La tigre e la neve. Tuttavia, purtroppo per lui, Paganini non ripete e quello che aveva funzionato perfettamente nel film del ’99 non raggiunge le stesse vette cinque anni dopo. La tigre e la neve, nonostante la presenza nel cast di Jean Reno e Tom Waits, non copre neanche le spese di realizzazione (24 milioni a fronte di 35 milioni di euro).

Probabilmente deluso dal secondo insuccesso o alla ricerca di nuovi stimoli artistici, Benigni lascia momentaneamente il media cinematografico (almeno come regista) e si dedica ai suoi primi amori: la televisione e il teatro, arrivando a unire i due linguaggi in alcuni eventi fenomenali per il pubblico e per la storia della cultura italiana degli ultimi decenni. Ma procediamo per ordine: resta celebre lo sketch che nel 2005 mette in scena con Adriano Celentano (di cui riportiamo qui sopra il video), dove – citando Totò in Totò e Peppino e… la Malafemmina – fa sentire la sua voce di intellettuale di opposizione dell’allora Governo Berlusconi. Il pubblico lo ama ancora molto e lo premia con un record di ascolti: 16 milioni di spettatori e 50 per cento di share.

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Cavalcando la straordinaria accoglienza che la lettura del Paradiso ha avuto nel 2002 nel teatro di posa degli Umbria Studios di Terni, Benigni si rifugia in questa forma ibrida tra teatro e televisione con Tutto Dante. Lo spettacolo fu prodotto dalla RAI  nel 2008 dopo il grande successo che l’attore ha avuto dal vivo (in particolare è famosa la lettura in piazza Santa Croce a Firenze, il 27 luglio 2006). Anche qui, Benigni si confronta senza paura con illustri predecessori, imponendosi in una schiera in cui hanno sfilato orgogliosi Vittorio Gassman e Vittorio Sermonti, le cui letture critiche dantesche hanno fatto scuola. Benigni non tenta in nessun modo di replicare il tono tuonante di Gassman o la profondità dell’analisi di Sermonti, ma porta Dante verso gli spettatori con citazioni a memoria di canti interi, recitati con commossa e sincera ispirazione.

La sua attività di divulgatore dei capisaldi della cultura italiana lo porta sia a far (ri)conoscere Dante e la sua immensa opera nelle principali città di tutto il mondo, sia a dedicarsi ad altre importanti performance. Il 17 dicembre 2012 RAI 1 manda in onda la lettura di Benigni della Costituzione Italiana, seguita da 12.620mila spettatori e raggiunge quasi il cinquanta per cento di share, ancora una volta. Il successo si replica nel 2014, quando il comico (ma ormai, sempre meno) toscano si confronta con il libro dei libri: la Bibbia e, nella fattispecie, con I Dieci Comandamenti. Lo spettacolo raccoglie l’entusiasmo delle radici giudaico-cristiane del pubblico italiano, che premia ancora una volta la commossa interpretazione di Benigni: ormai è un intellettuale riconosciuto, uno dei pochi ancora vivi (e ancora lucidi) nel nostro Paese.

Purtroppo per lui, la Storia insegna che gli intellettuali sono tanto più apprezzati quando si esprimono come voce fuori dal coro e il legame politico tra Benigni e l’ex premier Matteo Renzi (che, da sindaco, gli diede la cittadinanza onoraria di Firenze), ha lavorato come una zavorra per affondare – momentaneamente – la popolarità dell’attore. Esprimendosi a favore del Sì nello storico referendum costituzionale del 2016, ha infastidito parte del pubblico che lo ha etichettato come una sorta di “strumento del regime”.

Ad ora, Benigni ha calibrato con attenzione le dichiarazioni e le apparizioni pubbliche, muovendo i passi della sua nuova primavera artistica con discrezione e attenzione. Per un artista come lui che ha sempre saputo re-inventarsi e inquadrare i contesti migliori in cui esprimersi, forse Garrone può essere un felice trampolino di rilancio. Voce e occhio del Nuovo Cinema Italiano, il regista romano ha individuato in questo Mostro Sacro toscano un punto fermo della nostra cultura e una delle personalità più importanti che hanno attraversato gli ultimi trent’anni di Storia del costume. Tanti auguri, allora, al ritorno sulle scene di Benigni, un ritorno da co-protagonista, ma che saprà sicuramente sfruttare al meglio. Come sempre.