Requiem for a Dream: spiegazione del finale

Quello di Requiem for a Dream è un finale che ha sconvolto generazioni di spettatori. Qui la spiegazione delle ultime scene del cult di Aronofsky.

Alcuni film colpiscono come un pugno nello stomaco, afferrano lo spettatore e lo trascinano in uno stato d’ansia che continua anche dopo il finale. Questo è sicuramente il caso di Requiem for a Dream, cult del 2000 firmato da Darren Aronofsky.

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In questa sua opera seconda, Aronofsky non si risparmia. In circa un’ora e quaranta mostra la progressiva discesa verso gli inferi dei suoi quattro personaggi, con un occhio di riguardo alle storie di Sara (Ellen Burstyn) e Harry (Jared Leto), madre e figlio nel film. Il regista sceglie il romanzo di Hubert Selby Jr. (pubblicato in Italia col titolo di Requiem per un sogno) per raccontare La patologia dell’epoca contemporanea e i diversi volti che può assumere la dipendenza. Dipendente da eroina è Harry, così come il suo amico Tyrone (Marlon Wayans) e la sua fidanzata Marion (Jennifer Connelly), dipendente dalla televisione è Sara. Che siano sostanze legali o no, tutte queste dipendenze portano al declino e a una fine disastrosa.

Perché il finale di Requiem for a Dream fa così male?

Requiem for a Dream cinematographe.it

Forse uno degli aspetti più efficaci di Requiem for a Dream sta nell’abilità di Aronofsky di creare per un breve periodo l’illusione che i personaggi ce la possano fare. Partendo tutti e quattro da una condizione di debolezza mista a una splendida bellezza esteriore e interiore, Sara, Harry, Marion e Tyrone hanno la sola colpa di essere piccoli, inermi, indifesi da loro stessi e dalle circostanze crudeli della vita.

Se, da un lato, il pubblico è abituato a vedere film su tossicodipendenti che pagano con la morte le loro scelte (senza nulla togliere alla tragicità di questi eventi, anzi), il drammatico declino di Sara appare – a tratti – insensato e l’accanimento fisico e psichico sulla donna davvero spietato. Quello che sembra un oggetto innocente, positivo, e che fa parte sicuramente della quotidianità del pubblico – la televisione – diventa uno strumento prima di sudditanza mentale, poi di vera e propria autodistruzione. A differenza dell’eroina, che fa da contraltare nella storia di Harry e dei suoi amici, la tv è una droga che Sara assume senza la consapevolezza delle conseguenze. Per una donna come lei, senza altro scopo nella vita se non aspettare il figlio e ricordare il marito, il mondo luccicante dall’altra parte dello schermo diventa un’oasi di salvezza, un miraggio per raggiungere il quale è pronta a far tutto.

Nel monologo che Sara rivolge al figlio, Aronofsky porta al cinema uno dei ritratti più toccanti della solitudine di una persona anziana, che si ritrova al tramonto della sua esistenza senza affetti, senza contenuti, senza altro in mano che la routine di programmi televisivi stupidi e urlati. Prima che le conseguenze diventino orrende e visibili, Sara è una delle tante, Sara, probabilmente, ha gli stessi comportamenti e le stesse abitudini dello spettatore: per questo vederla cadere dà i brividi.

Requiem for a Dream: siamo la causa del nostro stesso male

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Il tratto distintivo della poetica di Aronofsky è l’osservazione del declino senza giudizio o presa di posizione. Il regista ha il merito di documentare passo per passo le componenti del declino, senza additare il responsabile come colpevole, senza far sentire migliore lo spettatore. In Requiem for a Dream, la responsabilità dei personaggi sta nell’aver sperato, fortissimamente sognato, e nell’aver sbagliato i mezzi per perseguire i loro obiettivi. Ma i mezzi sbagliati sono tutto ciò che la società in cui sono immersi è in grado di dare.

Il sogno dei due amanti, Harry e Marion, di aprirsi un negozio di vestiti (un bistrot nel romanzo di Hubert Selby Jr.) è di per sé un progetto di emancipazione, di realizzazione di sé, di costruzione di una serena e appagante vita di coppia. Il ricordo costante di Tyrone, perennemente rivolto all’amore materno, rende il personaggio – per quanto secondario – particolarmente ingenuo, seppur nella sua aria da bullo di quartiere. Sara, infine, vuole semplicemente far parte di quella nuova famiglia che nelle lunghe giornate davanti alla televisione ha sostituito la sua, reale ma dissolta dalla morte o dalla droga.

La strada facile per il successo – che sia l’eroina o le pillole dimagranti a base di anfetamine che il medico somministra a Sara, o la prostituzione di Marion – diventa un modo disastroso di provare a rendere concreti questi desideri. Gli effetti di un’Estate gloriosa, ma illusoria si tradurranno in un Inverno senza fine, né redenzione.

Il tragico finale di Requiem for a dream

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La metafora delle stagioni – Estate, Autunno, Inverno – tra cui manca, emblematica, la Primavera è il segnale che per i protagonisti non ci sarà alcuno scampo. Il meccanismo di cause e conseguenze si esprime nella maniera più spietata possibile.

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Complice il ritmo accelerato del film, la fine dei personaggi arriva in maniera frenetica e inesorabile, praticamente un effetto-domino che – tessera dopo tessera – innesca una caduta a cui nessuno può rimediare. Harry, trascurando un’infezione che aveva al braccio provocata dagli aghi con cui si iniettava l’eroina, finisce addirittura per perdere l’arto. E non solo: immobilizzato in un ospedale, abbandona la fidanzata Marion che – per rimediare all’astinenza – accetta di prostituirsi in una delle scene più disturbanti di tutto il film. Tyrone, sognando il caldo abbraccio della madre, finisce invece per essere incarcerato per spaccio, perdendo ogni speranza di “fare il botto” con la vendita dell’eroina.

Il delirio visivo di Sara, come si è già accennato, è l’apice di tutto il film. Questa signora “bene” dei sobborghi americani, dolce, accomodante, silenziosa, è fagocitata e vomitata dal mostro dello spettacolo, di cui è stata sempre spettatrice passiva. Le sue emozioni fittizie, sostituite dalla carica delle anfetamine, il suo aggrapparsi con gli artigli smaltati di rosso a un sogno di pochi minuti, esplodono all’improvviso nella sua testa. La fissazione per la forma fisica diventa anoressia, la voglia di un corpo giovane e scattante diventa immobilità forzata. La donna è internata in un ospedale psichiatrico, sola, svanita, svuotata. La forma esteriore diventa finalmente specchio dell’inaudita vacuità interiore, il personaggio è – per la prima volta e purtroppo – autentico.

Sara è il fantasma dei tempi futuri, colei che – muta – ricorda al pubblico dove questa società consumista, superficiale e idiota può portare. Requiem for a Dream è un film dall’impatto straordinario, disturbante proprio perché vero – ma di una verità aumentata, dove quello che si vede non è quello che esiste, ma molto, molto di più.