I 10 migliori registi del cinema giapponese

Una carrellata di quelli che possono essere considerati i 10 migliori registi del panorama cinematografico giapponese di ieri e di oggi

Il cinema giapponese ha vissuto i suoi anni più floridi nel dopoguerra, in particolar modo negli anni ’50 e successivamente nel periodo della Nouvelle Vague degli anni ’60. In questo ventennio ha sfornato centinaia di pellicole ogni anno, risultando a quell’epoca una delle cinematografie più prolifiche al mondo, consacrando diversi registi a livello internazionale, quali Kenji Mizoguchi, Akira Kurosawa, Kon Ichikawa, Nagisa Oshima, solo per citarne alcuni. Ma riuscendo a sfornare anche diversi registi di spicco nel ventennio degli anni ’70 e ’80, all’interno del cinema di genere, come Kinji Fukasaku e Seijun Suzuki per il cinema noir e Yakuza, soprattutto, ma anche Norifumi Suzuki per quanto riguarda il cinema action di serie B. Senza considerare le esplosioni artistiche di autori sbocciati a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, come Takeshi Kitano e Shinya tsukamoto e di altri talenti come Shunji Iwai. Ancora oggi il cinema giapponese ha guadagnato le attenzioni festivaliere e della critica, consacrando altri registi importanti come Hirokazu Kore-eda o l’apprezzatissima Naomi Kawase che ha ottenuto la camera d’or a Cannes nel 1997 per la sua opera prima, Moe No Suzaku. Andiamo a vedere nello specifico quali sono quelli che potremmo considerare i 10 migliori registi del cinema giapponese, da ieri ad oggi, in un elenco dall’ordine sparso.

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1. Akira Kurosawa

Considerato l’imperatore del cinema giapponese, Akira Kurosawa è senza dubbio uno dei nomi più celebri del cinema giapponese in occidente. Ha regalato alla storia del cinema titoli imprescindibili come I sette samurai (1954), una vera e propria epopea umanista in cui un gruppo di samurai (i sette del titolo) si riuniscono per liberare un villaggio di contadini, vessati dai prepotenti. Ed anche opere come Rashomon (1950), che fu il primo film giapponese a ricevere premi e consensi in occidente, Il trono di sangue, uno dei massimi capolavori filmici tratti dal Macbeth di Shakespeare, o il film che ha ispirato Sergio Leone, per il suo Per un pugno di dollari (1964), ovvero l’iconico La sfida del samurai (1961) ed ancora più avanti film di grande caratura scenica ed epica come il sontuoso Ran (1985) o il ricercatissimo e suggestivo Kagemusha (1980) per non dimenticare uno dei suoi ultimi lavori come il pittorico e autobiografico Sogni (1990), in cui troviamo un cameo di Martin Scorsese, nei panni di Van Gogh. Akira Kurosawa è probabilmente il regista con cui più si può rappresentare la grandezza del periodo classico (dagli anni ’40 ai ’60) del cinema giapponese e certamente uno dei nomi imprescindibili per la storia del cinema mondiale.

2. Yasujiro Ozu tra i migliori registi del cinema giapponese

Il più giapponese dei registi giapponesi, così fu definito quello che è considerato il regista più capace nel raccontare il nucleo famigliare giapponese e la società, in mutamento tra tradizione e modernità, a cavallo degli anni ’40 e i primi anni ’60, sebbene la sua carriera cominciasse a germogliare già nell’epoca del cinema muto, sul finire degli anni ’20.
Tra i titoli più significativi del suo cinema ricordiamo Viaggio a Tokyo (1958), considerato tra i 100 film più belli della storia del cinema unanimamente, ma anche Tarda Primavera (1949) e il suo remake Tardo autunno, opere dalla gentilezza agrodolce come Erbe fluttuanti (1959) e Fiori di equinozio (1958), suo primo film a colori, e la deliziosa opera ultima Il gusto del sakè (1962).

3. Kenji Mizoguchi

Colui che, assieme a Kurosawa ed Ozu, costituisce la sacra e inviolabile “trinità” dei massimi registi giapponesi, è stato un raffinato precursore delle dinamiche femminili nella società giapponese ed un elegante esteta della forma, nello specifico dei piano-sequenza delicati e minimali.
Tra i suoi titoli più acclamati e rilevanti troviamo la ballata fantasiosa e crepuscolare I racconti della luna pallida d’agosto (1953), che vinse il Leone d’argento al Festival di Venezia, ma anche Vita di O-Haru, donna galante (1952) che racconta il percorso di redenzione e le memorie di una vita travagliata di un’anziana prostituta, nel Giappone del 1600 circa, in visita ad un tempio sacro. Ancora un altro titolo di ambientazione storica nel caso de L’intendente Sansho (1954), storia di fratello e sorella, nel Giappone del XI secolo, venduti come schiavi in un piccolo villaggio e alla ricerca della madre. In ultimo, ma non ultimo, un ritratto di donna di ambientazione contemporanea viene espresso nel toccante La strada della vergogna (1958), il suo ultimo lavoro, in cui racconta di cinque prostitute in un locale di Tokyo, un tema già affrontato in un altro bel film al femminile del decennio precedente, Le donne della notte (1948).

4. Takeshi Kitano

Forse il regista giapponese più noto al mondo dell’epoca contemporanea, dagli anni ’90 ad oggi, anche per essere stato l’ideatore del game show Takeshi’s Castle che ha imperversato nelle emittenti televisive di mezzo mondo tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90, venendo riproposto di recente in una nuova edizione su Amazon Prime Video. Il buon Takeshi “beat” Kitano (noto in questi termini per la sua carriera di comico) esordisce alla regia quasi per caso, nel 1989, con il folgorante Violent Cop, di cui doveva esserne solo attore protagonista. Un noir poliziesco dal taglio asciutto e un pessimismo vicino a certi Polar del cinema francese. Realizza negli anni ’90 opere che ne definiscono lo stile personale, fatto di lampi violenti in situazioni narrativamente scomposte, di impennate poetiche (come la continua presenza del mare nelle sue opere), di silenzi intimi e di momenti giocosi e buffi. Vi riesce con opere come Sonatine (1993), un gangster movie che mescola le componenti di cui sopra, con il bellissimo Hana-bi (1997) e con il delizioso L’estate di Kikujiro (1999) con una delle colonne sonore, firmata da Joe Hisaishi, più delicate della storia del cinema. Realizza anche titoli più ancorati ad una tradizione commerciale, come Zatoichi (2003) che riprende uno degli eroi più popolari nella cultura giapponese o con il gangster movie girato in America con Brother (2000). La sua vena poetica e agrodolce è tracciabile anche nelle pellicole in cui non prende parte come attore, nei casi de Il silenzio sul mare (1991) e del bellissimo Dolls (2002).

5. Nagisa Oshima tra i migliori registi del cinema giapponese

Uno dei registi giapponesi più influenti della Nouvelle vague giapponese, quel periodo florido dalla fine degli anni ’50 e il decennio ’60, Nagisa Oshima è stato un grande narratore delle tribolazioni giovanili del suo paese, con film quali Il cimitero del Sole (1960) o Racconto crudele della giovinezza (1960). Ma ha saputo raccontare magistralmente anche le pulsioni sessuali e sentimentali come pochi altri, con opere di raffinata bellezza e coraggio scandalistico quali Ecco l’impero dei sensi (1976), ispirato ad una storia vera nel Giappone dei primi del ‘900, in cui una cameriera chiuse la focosa storia d’amore con un suo benestante cliente, con l’omicidio, e con L’impero della passione (1978), altra storia di amore e morte, accarezzata da venature ghost-horror. Mentre il suo titolo, probabilmente, più noto nel mondo è Furyo (1983), in cui recitano David Bowie e Ryuichi Sakamoto, oltre ad un giovane Takeshi Kitano, in una torbida storia di rivalità e amore segreto, tra due ufficiali di opposte fazioni in un campo di prigionia durante la seconda guerra mondiale. Anche il suo ultimo film, l’elegante e torbido dramma in costume Tabù – Gohatto (1999), in cui ancora recita in un ruolo secondario Takeshi kitano, parla di una torbida storia di seduzione omosessuale in un ambiente di soli uomini, ovvero lo Shinsengumi, il corpo di polizia istituito sul finire dell’era Tokugawa, nella seconda metà del 1800.

6. Kon Ichikawa

Noto in Occidente soprattutto per due grandi classici degli anni ’50 che parlavano di umanesimo in tempo di guerra, ovvero L’arpa birmana (1956) e Fuochi nella pianura (1959), Ichikawa Kon è uno di quei registi ancora poco esplorati in Italia, ma che ha saputo ritagliarsi un ruolo di spicco nel cinema del suo Paese, con una carriera particolarmente longeva, avviata negli anni ’30 e proseguita addirittura fino agli anni duemila. Da segnalare, all’interno di una folta filmografia, anche il bellissimo An actor’s revenge (1963) un racconto di vendetta di ambientazione storica con chiari rimandi al teatro Kabuki, ma anche l’interessante documentario Tokyo Olympiad (1965) che con sfoggio di tecniche visive elaborate raccontava l’epopea dei giochi olimpici tenutisi in Giappone nel 1964.

7. Shinya Tsukamoto tra i migliori registi del cinema giapponese

Autore di grande rilievo nel circuito del cinema indipendente, un “tuttofare” dell’arte cinematografica, oltre che regista è spesso interprete, sceneggiatore e montatore delle sue opere. Tsukamoto lascia un segno tangibile fin dal suo esordio con Tetsuo (1989), un film dalla grande forza estetica, vero e proprio manifesto di un cinema Cyberpunk, attraverso un percorso di mutazione mentale e corporea di un uomo in una creatura metallica. Di notevole impatto anche titoli come A Snake of June (2002), un thriller erotico sul voyeurismo e sulla crisi di coppia girato in un suggestivo bianco e nero virato in blu, il bellissimo dramma psicologico sulle difficoltà di una ragazza madre Kotoko (2011), oltre all’ipercinetico e bizzarro Tokyo Fist (1997), in cui un triangolo amoroso in una Tokyo asettica, sovrastata dai grattacieli, si risolve in una disputa a suon di pugni dai colpi deformanti e cartooneschi.

8. Hirokazu Kore-eda

Tra i migliori autori del cinema giapponese del nuovo millennio vi è senza dubbio Hirokazu Kore-eda, molto attento a raccontare storie di dinamiche famigliari. Come una sorta di successore del cinema di Ozu Yasujiro, il buon Kore-eda descrive le vicende della società contemporanea del suo Paese e le relazioni tra genitori e figli. Esempi più entusiasmanti del suo cinema sono Nessuno lo sa (2004), racconto di formazione di un gruppo di giovanissimi fratelli lasciati incustoditi dalla madre, il toccante Father and Son (2013), Ritratto di famiglia con tempesta (2016) e Un affare di famiglia (2018), quest’ultimo premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes e candidato come film straniero agli Oscar del 2019. Notevole anche quello che, ad oggi, è l’ultimo lavoro della filmografia, Monster (2023) un ritratto adolescenziale turbato che pone interrogativi sul ruolo educativo di famiglia e istituzioni scolastiche nella crescita di un ragazzino dagli strani comportamenti.

9. Seijun Suzuki

Uno dei pionieri del cinema di genere in Giappone è senza dubbio Seijun Suzuki. Autore di un vero e proprio stile personale, fatto di inquadrature ricercate, di scenografie stilizzate e forti marcature dalla Pop Art nell’uso dei colori. Specialista del cinema noir, Suzuki si fa notare per il prodigioso La farfalla sul mirino (1967), un noir dalla trama basilare (un sicario deve scontrarsi con tre rivali che lo vogliono morto), ma dallo stile visivo all’avanguardia. Precedentemente realizza decine di pellicole tra cui spicca sicuramente La porta del corpo (1964), noto anche col titolo Barriera di carne, ambientato nel dopoguerra, in cui inizia a sperimentare in maniera espressionista l’uso dei colori in un dramma torbido dalle venature noir. Con Tokyo Drifter (1966) segnava un punto di svolta tra gli Yakuza movie tradizionali prodotti dalla Nikkatsu (che non gradivano certe sperimentazioni) ed un’avanguardia estetica che troverà il perfetto compimento con il capolavoro succitato dell’anno seguente. Sul finire della carriera realizzerà una sorta di remake del suo capolavoro, con Pistol Opera (2001) una variante in chiave femminile e con uno stile espressivo ancora più marcato, tra scenografie teatrali ed un montaggio scardinato da costanti ellissi.

10. Takashi Miike

Ultimo ma non per questo ultimo classificabile di questa lista dedicata ai migliori registi del cinema giapponese, non poteva mancare un vero e proprio autore “eccentrico” ed eclettico, nonché tra i registi più prolifici della Storia del cinema, con all’attivo oltre 100 pellicole girate in poco più di 30 anni di carriera.
Autore di film di diverso genere (e indubbiamente di diverso livello), ha saputo regalare piccole perle per i cultori della settima arte nei modi più imprevedibili, svariando dai film di Yakuza ad horror dal taglio piuttosto estremo, alternandoli a commedie per ragazzi e film di Fantascienza dal respiro blockbuster. Tra i titoli di maggior rilievo vanno segnalati l’horror psicologico dalle tinte forti Audition (1999) primo vero lasciapassare verso l’occidente per la sua visibilità, il bizzarro e controverso Gozu (2003), una sorta di ibrido tra David Cronenberg e David Lynch, in salsa Yakuza, l’irriverente e malsano Visitor Q. (2001) e la trilogia poliziesca Dead or Alive (1999 – 2002). Ma la lista di titoli che godono di una nicchia di culto merita di veder citati almeno Sukiyaki Western Django (2007), omaggio agli spaghetti western italiani con annesso cameo di Quentin Tarantino, il truce e bizzarro Ichi the killer (2001), tratto dal Manga omonimo, e il film televisivo Imprint – sulle tracce del terrore (2005) diretto per la serie Masters of Horror.