Presence: spiegazione del finale del film di Steven Soderbergh
Regia di Steven Soderbergh e con Lucy Liu, Presence è un horror d'autore dal punto di vista inedito, vedere per credere. Ecco la spiegazione del finale.
Il pubblico italiano sa cosa aspettarsi da un film di Steven Soderbergh: creatività, sperimentazione, intrattenimento di classe e, alle giuste condizioni, un punto di vista inedito. È questo il caso, e si prenda l’affermazione alla lettera. Presence arriva al cinema il 24 luglio 2025 per Lucky Red. È un horror diretto da Steven Soderbergh e questo vuol dire che è un horror diverso dagli altri. Va bene, ma in che senso? Nel senso che, nei suoi 85 minuti di durata – il tempo ridotto è una scelta pragmatica, per non svilire le potenzialità della premessa – è interamente girato dal punto di vista del fantasma. Quale fantasma? Quello che infesta, con chissà che intenzioni, la casa dei protagonisti. Non è il solito horror, e per omaggiarne l’originalità – mai fine a se stessa – ecco la spiegazione del finale e, in retrospettiva, del significato del film.
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Cosa succede in Presence

Regia di Steven Soderbergh e script di David Koepp, Presence è un esercizio di morigeratezza cinematografica. Non va per le lunghe, il cast è ridotto all’essenziale, c’è un solo ambiente – una casa nei sobborghi da qualche parte negli Stati Uniti – e una soluzione di ripresa adottata dall’inizio alla fine, tecnicamente audace, narrativamente valida ed emotivamente impattante. La tecnica di ripresa è il punto di vista del fantasma, meglio, della Presenza, come andrà chiamata d’ora in poi. C’è una casa, e un fantasma che ci gira dentro, non è chiaro con che intenzioni. Per tutto il corso del film lo spettatore fraternizza con la storia e i personaggi solo ed esclusivamente dal suo punto di vista. La Presenza è la macchina da presa. La Presenza siamo noi, che a casa o in sala sbirciamo dal buco della serratura le vite degli altri. Con una buona ragione, peraltro.
Un’agente immobiliare, Cece (Julia Fox), presenta una casa nei sobborghi alla famiglia Payne: mamma Rebekah (Lucy Liu), papà Chris (Chris Sullivan) e i figli Tyler (Eddy Maday) e Chloe (Callina Liang). Chloe è la prima ad accorgersi della Presenza. La “sente” guardando in direzione dell’armadio della sua nuova stanza. Anche gli operai che avevano lavorato in vista del trasloco avevano notato qualcosa, ma il primo contatto credibile con la Presenza lo stabilisce Chloe. È naturale; emotivamente vulnerabile, ha appena perso un’amica, Nadia, per overdose. Il trauma la rende più aperta, ne affina sensibilità e percezione. I familiari temono le succeda quello che è capitato a Nadia. Con un’enfasi diversa.
Chris è coinvolto, mentre Rebekah sembra più distante, fredda. È la sua maniera di elaborare il trauma? Forse. Rebekah è distratta, ha grossi problemi a lavoro – potrebbe aver commesso un reato –e sembra preferire Tyler. Lui è piuttosto superficiale e disattento ai problemi della sorella. All’inizio l’intervento della Presenza in casa si concentra su Chloe, poi una sera le cose cambiano. Dopo una discussione tra Chloe e Tyler – oggetto, la foto intima di una ragazza sottratta senza il suo consenso – la Presenza si precipita in camera del ragazzo e mette a soqquadro la sua stanza. Ora tutti sanno. La famiglia contatta una medium, Lisa (Natalie Woolams-Torres). La visita è fruttuosa, Lisa spiega alcune cose interessanti: La Presenza non ha cattive intenzioni;
Spesso i fantasmi non hanno ben chiara in mente (mente?) la loro identità; I fantasmi sperimentano il tempo in maniera non lineare, con presente e passato che si sovrappongono; Lo specchio in soggiorno è un vecchio specchio, ha visto molte cose.
Perché queste informazioni trovino una quadra, deve entrare in scena Ryan (West Mulholland).
Il finale di Presence contiene un grosso colpo di scena, che ci svela il cuore del film

Ryan è un amico di Tyler, e più avanti anche il ragazzo di Chloe. È ossessionato dal controllo e grazie al lavoro del padre ha sempre sottomano pillole, pasticche o polverine. Un pomeriggio, la macchina da presa sorprende Ryan che di nascosto versa qualcosa nel bicchiere di Chloe, con ogni probabilità per stordirla. È la Presenza a intervenire, versando per terra il bicchiere e il suo contenuto (succo di frutta). È chiaro che sta cercando di proteggere Chloe. Ma da cosa? E perché? La famiglia teme che la ragazza, vulnerabile e depressa, possa imboccare la china che ha portato alla morte la sua amica Nadia. Chloe crede, dopo l’incontro con la medium, Lisa, che il fantasma che infesta la casa, con chissà che scopo, sia lì per lei e sia proprio Nadia. La Presenza, nascosta nell’armadio, la osserva in ogni momento della sua vita; anche quando fa sesso con Ryan, ritraendosi, vergognosa e in colpa, in un angolo. È il senso di vergogna del fantasma a metterci sulla strada giusta.
Succede tutto molto in fretta, nel finale di Presence. Lisa contatta nuovamente i Payne, ha un’ultima cosa da dirgli: la Presenza è lì per prevenire qualcosa, e c’entra una “finestra che non si apre”. Rebekah e Chris non vogliono avere più nulla a che fare con questa storia e la respingono. Sono stati sul punto di divorziare, ma in qualche modo hanno ritrovato l’equilibrio. Partono per il weekend, per un viaggio di lavoro di lei. In casa restano solo Tyler e Chloe. E Ryan. Tyler è da solo in soggiorno e ascolta della musica. La Presenza si avvicina e il ragazzo sembra volerci fraternizzare… ma squilla il campanello e Ryan entra in casa. Il ragazzo narcotizza Tyler e raggiunge Chloe in camera. Vorrebbe avere un rapporto sessuale, ma la ragazza rifiuta. Lui allora la narcotizza, e si avvicina. In un delirante monologo, Ryan rivendica ancora una volta l’ossessione per il controllo e comincia a soffocare Chloe, come aveva fatto con Nadia e un’altra ragazza; in entrambi i casi fingendo l’overdose. La Presenza si precipita in soggiorno, scatena un urlo furioso nelle orecchie di Tyler e lo risveglia dal sonno indotto. Il ragazzo sale in camera, sorprende Ryan e lo allontana bruscamente dalla sorella. Finisce per sbattere contro una finestra chiusa (la visione di Lisa). Precipitano, sfondandola: morti sul colpo.
Presence usa il punto di vista inedito per parlarci di molte cose: di famiglia, del potenziale inesplorato degli oggetti e degli ambienti, del peso del trauma nella vita psichica di una persona ma anche, e soprattutto, di identità. L’identità di ciascuno di noi, vivente o no, più o meno (in)corporeo, è costruita nel rapporto con gli altri. Vediamo gli altri e dagli altri veniamo visti e riconosciuti. Presence è il viaggio di un fantasma che impara a riconoscere se stesso. Passa del tempo dalla morte di Tyler. La casa è di nuovo vuota, i Payne se ne vanno. Rebekah, pensierosa, si aggira per il soggiorno. Chloe non è più in grado di sentirla, Rebekah sì; la Presenza adesso è lì per lei. La donna si avvicina allo specchio del soggiorno, il vetro antico di Lisa, che ha visto tante cose. Lo specchio le racconta la verità. Lì riflesso, c’è il volto di Tyler. È lui il fantasma, sospeso tra presente e passato, pronto a intervenire, per proteggere la sorella e fare ammenda del suo comportamento. Tyler guarda se stesso nello specchio, sereno e impassibile (si vede). Sua madre, sconvolta, lo riconosce e si accascia a terra piangendo (viene visto). Lentamente la macchina da presa si allontana dalla casa e sale in cielo. Il punto di vista del fantasma si dissolve: la Presenza ha raggiunto il suo scopo.