Mr. Jones: significato e spiegazione del finale del film con Richard Gere

Mr. Jones incarna dall’inizio alla fine quella tensione dell’essere a un tempo dentro e fuori dagli schemi, parte e non parte della vita, considerato normale e “anormale”, sprofondato in una perenne sensazione di limbo tra vita e morte.

Mr. Jones (il cui protagonista è interpretato da Richard Gere) è un film datato 1993 e a firma del regista Mike Figgis (Affari sporchi, Via da Las Vegas). Narra l’esistenza scombinata e allo stesso tempo fascinosa e intensa del Jones del titolo, un uomo costantemente conteso tra picchi di inarrestabile ottimismo e contagioso slancio verso il prossimo, e momenti di profondo smarrimento e vuoto indotti da un conclamato problema di bipolarismo associato a crisi maniaco depressive.

Dunque, Mr. Jones è afflitto da alti e bassi costanti e costantemente segnati dalla fondamentale incapacità di accettare e scendere a compromessi tanto con le sue fragilità e vulnerabilità quanto con il suo passato irrisolto, preferendo, di contro, abbracciare con incrollabile entusiasmo quel suo vivere fuori dagli schemi e dunque, agli occhi degli altri, come un “pazzo”.

Perennemente in moto, dentro e fuori dagli istituti psichiatrici, l’uomo troverà infine nella figura della dottoressa Libbie Bowen (la bella psichiatra assegnata al caso Jones) un’identità altra (e nello specifico femminile) con cui entrare finalmente in una dimensione di empatia reale, un’attrattiva profonda che riuscirà per la prima volta a determinare sull’uomo un contrasto funzionale all’attrattiva esercitata, invece, dal senso di vuoto e dalla fascinazione della morte.

Mr. Jones – Il confine labile tra l’urgenza di vivere appieno e le esplosioni di una strisciante follia

Mr. Jones - Cinematographe.it

Per Mr. Jones, come per tante altre simili esistenze, tutto ciò che non si è in grado di elaborare (traumi del passato, perdite, abbandoni o violenze sensibili della memoria) entra infatti poi di diritto a far parte di quel processo e di quella sfera di rimozione che a volte si riesce a gestire entro i limiti della cosiddetta ‘normalità’ mentre altre volte tende a sopraffare tutto il resto oscurando (almeno in parte) la realtà effettiva e tangibile della vita.
Non a caso, per il protagonista il rapporto interrotto con la donna un tempo amata e perduta proprio per via del suo incontrollato bipolarismo, finirà per incarnare quella stessa
Morte che l’instabile quarantenne da un lato insegue e dall’altro rifugge.

Il controllo esercitato dalla morte e da quel suo vestire appieno la potenziale libertà del sentirsi liberi e senza fardelli in un istante, rappresenta infatti in questo come in altri casi simili, il motore attorno al quale girano tutte quelle vite in viaggio lungo il confine labile tra realtà e proiezione, urgenza di vivere appieno e strisciante follia. E proprio
nella sua voglia di essere libero e fuori dagli schemi (necessità riaffermate nell’improvvisa voglia di volare giù da un tetto o di prender parte all’orchestra sinfonica impegnata sul palco) Mr. Jones incarna dall’inizio alla fine quella tensione dell’essere a un tempo dentro e fuori dagli schemi, parte e non parte della vita, considerato normale e “anormale”, sprofondato in una perenne sensazione di limbo tra vita e morte.

La vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare

Mr. Jones - Cinematographe.it

Così cantava Jovanotti in Mi fido di te riassumendo e illuminando in una frase la reale percezione interiore di quando si vive in bilico su un bordo frastagliato e complesso della vita, consapevoli che quella sensazione di lasciarsi andare può rappresentare una paura di cadere ma anche una voglia irrefrenabile di libertà, e di scoperta dell’ignoto. Lanciato più volte sul confine labile del suo vivere, Mr. Jones (ri)troverà nell’amore viscerale per una donna, così come nella fiducia per l’altro la giusta motivazione per fare quel passo indietro, e preferire infine la realtà alla proiezione, il conscio al subconscio.
Tra la paura di cadere e la voglia di volare, nell’attimo estremo della decisione finale, Jones rinnegherà il precipizio dell’ignoto per abbracciare invece la sicurezza di una persona vicina disposta a offrire il proprio supporto e il proprio insindacabile calore umano. In un frangente esemplare e catartico di ritrovato ottimismo e di metaforica vittoria del ‘bene’ sul ‘male’, l’uomo sceglierà infine la via del cuore, restituendo calore e valore a un sentimento interiore da tempo soffocato e che da altrettanto tempo scalpitava per tornare alla luce del
sole.

E in quei primi piani stretti sul volto del Mr. Jones di Richard Gere, Figgis infine isola e sottolinea quell’idea dell’uomo che ritrova in qualche modo sé stesso, e che forse riesce nuovamente a guardarsi dritto negli occhi e da vicino comprendendosi forse e fino in fondo per la prima volta.
Infine, l’amore intriso di fiducia, sentimento forse capace di cambiare le nostre percezioni più profonde e segrete. Anche se poi l’amore e la fiducia ritrovati non sono mai così irrevocabili, e in quel finale sospeso e ovattato del film vive anche la possibilità che dubbio e oscurità tornino inopinatamente a fare capolino da quella apparente e nuova fase di luce.