Mia e il leone bianco: la storia vera del film è quella di Kevin Richardson, “l’uomo che sussurrava ai leoni”

Il film Mia e il leone bianco è liberamente ispirata alla storia di Kevin Richardson e al suo rapporto speciale con gli animali selvatici.

Mia e il leone bianco, diretto da Gilles de Maistre, è stato il film francese di maggior successo del 2019. Con un incasso di più di 39 milioni di dollari al Box Office, a fronte di un alto budget di 8.700.000 dollari, il film ha ricevuto critiche per lo più positive. Mia e il leone bianco, che vede nel cast anche Mélanie Laurent, affiancata da Daniah De Villiers, Langley Kirkwood, Lionel Newton, Ryan MacLennan, Lillian Dube, Brandon Auret e molti altri, racconta la storia della giovane Mia che vive con la famiglia in Sudafrica. I suoi genitori possiedono un allevamento di leoni, tra questi Mia si affeziona particolarmente a un cucciolo di leone bianco con il quale stringe un’amicizia speciale. Tre anni dopo però il leone, che la bambina ha chiamato Charlie, è cresciuto; diventato adulto causa numerosi problemi e preoccupazioni alla famiglia di Mia, soprattutto quando si rendono conto della sua imprevedibilità dovuta all’istinto di animale selvatico.

Il film si basa su un soggetto scritto da Prune de Maistre, moglie del regista Gilles de Maistre, a seguito di un viaggio fatto in Sudafrica. Mia e il leone bianco parla appunto di un legame speciale che sempre più spesso l’essere umano riesce a stabilire con animali selvatici come i leoni, predatori noti come feroci, ma capaci, in alcune condizioni, di sviluppare una forte empatia con l’uomo. Una delle storie più famose è quella di Kevin Richardson, zoologo che ha supervisionato le riprese del film, monitorando le interazioni tra leoni e attori e che ha consigliato di impiegare per girare il tempo necessario per far sì che la giovane protagonista e il leone stesso crescessero. Le riprese sono infatti durate 3 anni. 

La storia di Kevin Richardson che ha ispirato il film Mia e il leone bianco

Kevin Richardson, classe 1974, nato in Sud Africa, è conosciuto come “l’uomo che sussurrava ai leoni”. All’età di 16 anni Richardson conobbe Stan Schmidt iniziando la sua carriera come “comportamentalista”. Richardson all’università si iscrisse a zoologia, interrompendo gli studi dopo 2 anni e chiedendosi come trasformare la sua passione e l’amore per gli animali in un lavoro, non facendone semplicemente un hobby. Ha così iniziato a seguire corsi di fisiologia e anatomia, diventando un fisiologo dell’esercizio. A 23 anni ebbe l’opportunità di prendersi cura di due cuccioli di leone di 6 mesi, di nome Tau e Napoleon, al Lion Park, vicino alla periferia della sua casa a Johannesburg. Dopo anni, Kevin Richardson corre e gioca ancora insieme a quei cuccioli diventati ormai adulti.

Richardson e il suo team lavorano oggi con gli animali e realizzano documentari per mantenere attiva la struttura. Richardson negli anni non ha interagito solo con leoni africani, ma anche con leopardi, pantere nere e iene. Il Lion Park dove ha lavorato, a 35 miglia a nord della città di Johannesburg, si estende per 1.600 acri e si trova appunto a Broederstroom, in Sud Africa. L’intero parco, allestito con l’aiuto di Rodney Fuhr, è d 2.000 acri ed è stato utilizzato anche come set del film White Lion del 2010. Richardson si prende cura di 2011 leoni in questa struttura, privata dal 2011 ma che nel 2020 ha aperto per visite guidate di gruppo. Dal 2015 il santuario ha cambiato però location e si trova nella Welgedacht Private Game Reserve vicino a Pretoria.

Kevin Richardson

Kevin Richardson ha dormito accanto, nutrito e vissuto con i leoni, che rimangono i suoi animali selvatici preferiti. Il suo rapporto, così come il funzionamento stesso del santuario, non è stato immediato.  Richardson ha sempre rifiutato l’idea tradizionale secondo cui i leoni dovrebbero essere dominati, preferendo sviluppare con loro una relazione nel tempo, basata sull’amore e sul rispetto. “Un leone non è un possesso, è un essere senziente, quindi bisogna prestare attenzione a lui sviluppando un vero e proprio legame, come in una normale relazione“, ha dichiarato. Richardson è stato graffiato e morso, ma questi pericoli non l’hanno mai allontanato dal suo lavoro e dalla sua vocazione iniziata sin da giovanissimo. “Ovviamente ci si rende conto del pericolo quando si lavora con animali di questo calibro, ho valutato i pro e i contro, e i pro superano di gran lunga i contro” ha affermato durante un’intervista.

Di norma, Richardson interagisce solo con i leoni con cui è stato sin dalla loro nascita. In particolare differenzia il suo lavoro da quello degli zoologi che interagiscono con animali selvatici che non hanno mai allevato, o da quello degli addestratori che insegnano agli animali ad esibirsi sul palco ogni giorno. Richardson sottolinea come quanto sia importante che i leoni, una volta raggiunta la maturità, vengano lasciati liberi. Richardson, che ha lavorato come allevatore di leoni per il Lion Park di Lanseria, ha rivelato che la struttura allevava i leoni per garantire una fornitura di cuccioli tutto l’anno e che quando questi crescevano venivano spediti in operazioni di caccia perché era troppo pericoloso lasciarli vicino ai visitatori. Il Lion Park è stato duramente criticato, considerando le interazioni tra animali e leoni estremamente pericolose a causa della natura imprevedibile degli animali selvatici.

Kevin Richardson

Il ruolo di Richardson come ambientalista è stato anche messo in discussione da alcuni esperti che affermavano che era necessaria una maggiore cura nelle riserve private per garantire che rispecchiassero ciò che è stato sviluppato nei parchi nazionali, come la reintroduzione nella struttura di animali selvatici cresciuti in cattività. Il 27 febbraio una giovane donna è stata sbranata a morte nella riserva di caccia di Dinokeng da una leonessa, cresciuta in cattività, che era sotto le sue cure. Richardson ha perso le tracce della leonessa, che ha poi aggredito un visitatore della riserva. Il biologo di fauna selvatica Luke Dollar ha dichiarato, in un articolo del National Geographic, che “i comportamenti che minacciano il nostro posto nella catena alimentare sono un qualcosa che ci dovremo aspettare“.

 

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