Mario Martone: 5 film da vedere per conoscere il regista
5 titoli per immergersi nella filmografia di un grande autore nostrano.
Parlare di Mario Martone significa attraversare decenni di cinema, teatro e cultura italiana con lo sguardo lucido e appassionato di un autore che non ha mai smesso di interrogarsi sul senso profondo delle immagini, del linguaggio e della storia. Nato a Napoli nel 1959, Martone è una figura unica nel panorama artistico italiano: regista teatrale, cinematografico, sceneggiatore, intellettuale. La sua formazione non convenzionale, radicata nel teatro di avanguardia e nella sperimentazione visiva, gli ha permesso di portare sul grande schermo una visione coerente e profondamente autoriale, pur nella diversità dei generi e dei soggetti affrontati. Fondatore negli anni Settanta del collettivo teatrale Falso Movimento, e in seguito del Teatro di Roma, Martone ha sempre tenuto insieme la dimensione pubblica dell’arte con una riflessione privata e profondamente politica sull’individuo. Il suo cinema è un laboratorio espressivo, un luogo dove la memoria storica si fonde con le urgenze del presente, dove la parola si misura con il silenzio, dove Napoli – la sua città – non è solo sfondo, ma materia vivente, corpo urbano, allegoria culturale. A differenza di molti suoi contemporanei, Martone ha sempre scelto strade poco battute, privilegiando la profondità dei contenuti alla spettacolarità, la ricerca formale alla narrazione convenzionale. Nei suoi film si avverte un’urgenza espressiva che è tanto estetica quanto etica e quella che segue non è una semplice lista di successi, ma un percorso dentro l’opera di uno dei cineasti più raffinati, complessi e importanti della scena europea. Cinque film, cinque tappe imprescindibili per comprendere non solo la traiettoria artistica di Martone, ma anche un certo modo di fare cinema in Italia.
1. Morte di un matematico napoletano (1992)

Il debutto cinematografico di Mario Martone è già un manifesto: Morte di un matematico napoletano è un film profondamente esistenziale, estetico e politico. Racconta gli ultimi giorni di Renato Caccioppoli, geniale matematico e intellettuale napoletano, nipote di Bakunin, morto suicida nel 1959. Attraverso una regia sobria e introspettiva, Martone scava nel silenzio di un uomo che ha scelto di non piegarsi né all’ipocrisia borghese né alla deriva ideologica del dopoguerra. La Napoli che lo circonda è asfissiante, decadente, ma mai oleografica. L’interpretazione di Carlo Cecchi è magnetica, trattenuta e struggente. Il film è un’ode all’intelligenza inquieta e alla solitudine di chi rifiuta ogni compromesso. Riceve il Gran Premio della Giuria a Venezia, e segna l’ingresso nel cinema di un autore già pienamente formato.
2. Noi credevamo (2010)
Noi credevamo è uno dei film italiani più ambiziosi del XXI secolo. Un’opera monumentale – tre ore e mezza – che rilegge il Risorgimento con occhi disincantati, attraverso le vicende di tre giovani del Sud che si uniscono alla Giovine Italia di Mazzini. Martone destruttura il mito patriottico scolastico per mostrarne le contraddizioni, i tradimenti, i dolori. Il film, tratto dal romanzo di Anna Banti, è diviso in quattro capitoli, ciascuno dei quali analizza le trasformazioni interiori dei protagonisti di fronte a un’idea di nazione sempre più astratta. Straordinaria la cura filologica nei costumi e nelle scenografie, ma ancor più notevole è l’uso politico della messa in scena: il Risorgimento non è solo un’epoca da raccontare, ma un’ideologia da interrogare. Un film che scuote, che obbliga a pensare, e che ha giustamente raccolto premi su premi, inclusi sette David di Donatello.
3. Capri-Revolution (2018)

Un film che si colloca alle soglie della Prima guerra mondiale, eppure è pervaso da un’incredibile attualità. Capri-Revolution racconta l’incontro (e lo scontro) tra Lucia, una giovane capraia dell’isola, e una comunità di artisti e pensatori nordeuropei che vivono in modo libertario e anti-borghese. Mario Martone costruisce un romanzo di formazione al femminile, in cui la protagonista, interpretata da Marianna Fontana, si emancipa da un mondo arcaico e patriarcale per avvicinarsi a un’idea di sé più libera e consapevole. La fotografia di Michele D’Attanasio scolpisce paesaggi quasi pittorici, mentre le musiche elettroniche di Sascha Ring (Apparat) creano un contrasto sorprendente con l’ambientazione storica. Il film riflette sul corpo, sulla libertà, sulla natura e sulla rivoluzione interiore. Presentato a Venezia, è una delle opere più poetiche e visionarie di Martone.
4. Il sindaco del rione Sanità (2019)
Nel portare al cinema l’opera teatrale di Eduardo De Filippo, Martone compie un’operazione audace: trasporre un testo fortemente legato alla Napoli del dopoguerra in un contesto contemporaneo, senza tradirne l’essenza. Antonio Barracano – interpretato da un intenso Francesco Di Leva – è un “giudice” del popolo, una figura ambigua e carismatica che esercita giustizia nel suo quartiere con metodi alternativi alla legalità istituzionale. Martone abbandona ogni estetica criminale da fiction televisiva, e scava invece nel tessuto morale e sociale della città. La sua regia è asciutta, dinamica, teatrale nella struttura ma cinematografica nel respiro. Il film è una riflessione sulla giustizia, sul potere e sul confine sottile tra bene e male. Un’opera civile, appassionata, profondamente politica.
5. Nostalgia (2022)

Con Nostalgia, Mario Martone torna alla Napoli più carnale e labirintica. Protagonista è Felice Lasco, interpretato da Pierfrancesco Favino, un uomo che rientra in città dopo quarant’anni vissuti in Egitto. Il ritorno nel rione Sanità lo mette di fronte ai fantasmi del passato, soprattutto all’amico d’infanzia diventato boss camorrista. Martone costruisce un dramma esistenziale con atmosfere da noir, ma è soprattutto un film sulla memoria, sull’appartenenza e sull’impossibilità di fuggire dalle proprie radici. Napoli è filmata con amore ma senza concessioni folkloristiche: è un corpo urbano palpitante, crudele, accogliente e spietato insieme. Nostalgia è un film che parla al cuore e alla coscienza, sospeso tra redenzione e condanna, tra il tempo perduto e quello che resta.