Io Capitano: la storia vera dietro al film di Matteo Garrone

Ripercorriamo al storia di Kouassi Pli Adama Mamadou, che ha ispirato il film Io Capitano di Matteo Garrone.

Quella raccontata da Matteo Garrone in Io Capitano è la storia di molti, poiché tantissimi (giovani e non) possono rintracciare il proprio vissuto in quello del protagonista Seydou. Per il suo film, Leone d’argento alla 80ma Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, il regista si è ispirato però una storia ben precisa, quella di Kouassi Pli Adama Mamadou, il quale ha anche aiutato Garrone durante la stesura della sceneggiatura.

Chi è Kouassi Pli Adama Mamadou, l’uomo a cui si è ispirato Matteo Garrone in Io capitano

Io Capitano recensione cinematographe.it

Nato in un villaggio della Costa d’Avorio (Dame per l’esattezza) il 10 ottobre del 1983 da due contadini – i genitori coltivano cacao e caffè – Kouassi Pli Adama Mamadou (Mama per gli amici) ha lasciato il suo Paese nel 2005. A convincerlo la difficile situazione che si era scatenata in seguito alla guerra civile, nel 2001. All’epoca il ragazzo stava studiando lingue (francese, inglese e tedesco) presso l’Università di Cocody (Abidjan) e nel mentre portava avanti anche la sua passione, essendo capitano della squadra di calcio del proprio villaggio (giocava in Nkrakwanta, nella Aduana Football, nella Liga serie B ghanese) probabilmente l’idea di lasciare tutto e partire, per quanto difficile, sembrava meno drammatica del previsto.

In un’intervista rilasciata a Vanity Fair, Kouassi Pli Adama Mamadou ha dichiarato di essersi rifugiato inizialmente in Ghana insieme alla sua famiglia. Vista la presenza dei ribelli, era impossibile tornare in Costa d’Avorio così quattro anni più tardi (nel 2005), insieme al cugino, prese la decisione di unirsi a un gruppo di ghanesi e di partire per la Libia, abbandonando tutto e tutti, senza avvisare nemmeno i familiari.

Partendo dal Ghana, ha impiegato tre settimane per arrivare in Libia, per poi raggiungere il Niger attraverso il Burkina Faso, dove è rimasto per altre due settimane.
Di questa traversata della speranza il ragazzo ricorda ogni tipo di orrore: donne violentate, uomini picchiati a morte e condizioni di sopravvivenza estreme (“Ho bevuto la mia urina per sopravvivere”, racconta sempre su Vanity Fair).

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Kouassi Pli Adama Mamadou a Venezia 89

Giunto in Libia, Mamadou ha iniziato a lavorare come muratore, restandovi per tre anni, ma anche lì la situazione non era affatto tranquilla: per sei mesi è stato costretto a dormire in case abbandonate o edifici in costruzione, frequentati da malviventi e poliziotti sempre pronti a derubarlo dei pochi soldi messi da parte. Quando, nel 2008, è addirittura finito in prigione per 40 giorni, subendo maltrattamenti e riuscendo a uscire solo dopo il pagamento di 400 dollari da parte del cugino, ha capito di dover andare via, di meritare una vita migliore.

È in questo frangente che si riaccende in lui il sogno dell’Europa e si mette in moto al fine di imbarcarsi, pagando un intermediario ghanese, che però scappa con i soldi, costringendo Mamadou a ritornare a Tripoli e a lavorare ancora.

Il viaggio in Italia

Il 7 novembre 2008, insieme ad altre 69 persone, Kouassi Pli Adama Mamadou parte su un gommone alla volta dell’Italia: nella traversata, dopo tre giorni e tre notti in mare, il gommone si spacca in due e tre persone (una donna col suo bambino e un uomo) muoiono affogate. A salvare i superstiti dei pescatori che, dopo averli avvistati, chiamano la Guarda Costiera di Lampedusa.
Dopodiché i servizi sociali lo hanno trasferito a Roma ma, senza domanda di asilo, anche nella Capitale le cose non vanno a gonfie vele e il ragazzo si trova a dormire per strada, a Tor Vergata, finché un amico non gli propone di spostarsi a Napoli. Nell’ottobre del 2009 si ritrova a Castel Volturno e per vivere fa qualsiasi tipo di lavoro: il coltivatore di tabacco (20 euro per 13 ore di lavoro a giorno) a Cancello e poi nelle campagne del sud, tra la Puglia e Rosarno (“3 euro per una cassa di pomodori, 1 euro per le arance”, dice sempre a Vanity Fair).

Il 10 ottobre 2009, a seguito della partecipazione alla prima manifestazione organizzata dal Movimento dei Migranti e Rifugiati di Caserta (il cui scopo è quello di regolarizzare i migranti e integrarli nella società, evitando che finiscano per esseri degli strumenti in mano alla camorra), entra in contatto col Centro Sociale Ex Canapificio, di cui oggi fa attivamente parte in qualità di mediatore interculturale (parla circa 13 lingue) e di vicecoordinatore di un progetto di inclusione.
Oggi quindi Kouassi Pli Adama Mamadou cerca di offrire aiuto a chi ha bisogno; ha due figli, una casa e un lavoro precario ma dignitoso.

Io capitano: le differenze tra la storia vera e il film

Io Capitano; cinematographe.it

Per certi versi, leggendo la sua storia è come se leggessimo il sequel di Io Capitano, poiché il film di Garrone ci mostra essenzialmente il viaggio dei protagonisti dall’Africa alle coste italiane. Se avete visto il film, inoltre, non è difficile notare le differenze che intercorrono tra finzione e storia vera.
Per cominciare, sappiamo che il protagonista (interpretato da Seydou Sarr) ha 16 anni e frequenta la scuola, ma non l’università, per cui è anagraficamente più piccolo di Kouassi Pli Adama Mamadou. È certo poi che tutti i dettagli inerenti la prigionia e i maltrattamenti vengono inseriti nella narrazione, ma in momenti differenti rispetto a quando sono accaduti al diretto interessato. Vedendo il film è come se tutto si coagulasse nell’arco di un tempo più o meno breve, mentre la storia reale si dilata nel corso di diversi anni.
Infine, in Io capitano i migranti si salvano tutti e viaggiano su una barca (seppur di fortuna), mentre nella realtà sappiamo che il gommone si spezza in due e che non tutti riescono a raggiungere le coste italiane.
Come ha dichiarato lo stesso regista durante la conferenza stampa, al festival del cinema di Venezia 2023, il film nasce dall’intreccio di diverse esperienze vissute da tutti quei ragazzi che hanno tentato, e sono riusciti, a trovare una vita migliore in Europa. Come ha detto Matteo Garrone: “le loro storie costituiscono forse l’unico racconto epico contemporaneo possibile”.