Insyriated: perché vedere il film di Philippe Van Leeuw?

Perché vedere il film del regista belga Philippe Van Leeuw presentato nella sezione Panorama della 67esima edizione della Berlinale? Scopritelo di seguito!

Guardando Insyriated, ultimo lavoro del regista belga Philippe Van Leeuw presentato nella sezione Panorama della 67esima edizione della Berlinale, dove si è aggiudicato il premio del pubblico, sarà difficile non richiamare alla mente il recente Mother! di Aronofsky. Se in quest’ultimo ci siamo persi inesorabilmente sia nella labirintica casa colonica in cui si svolge l’azione che nei macchinosi recessi imbevuti di citazionismo biblico e tentativi di esplorazione del rapporto tra l’artista e la sua opera/ispirazione, Insyriated si pone un obiettivo ben diverso: presentarci uno spaccato vivido di cosa voglia dire non poter lasciare la propria casa quando la guerra si consuma letteralmente alle nostre porte. Ma perché vale la pena vedere questo film al cinema? Scopriamolo insieme!

Insyriated: un racconto al femminile

Piano sequenza dopo piano sequenza, seguiamo il peregrinare lento e misurato di Oum (Hiam Abbass, ormai star affermata di importanza internazionale celebre per i suoi ruoli ne Il Giardino dei Limoni, La Sposa Siriana e Blade Runner 2049), una mater familias che, in assenza del marito impossibilitato a tornare a casa per i numerosi posti di blocco, è chiamata a prendere le redini della famiglia nel tentativo di tenere tutti il più al sicuro possibile. In casa, oltre ai tre figli di Oum, il fidanzato di una di questi e il padre del marito, abbiamo anche Halima (Diamand Bou Abboud) col marito Samir (Moustapha Al Kar) e il loro bambino ancora in fasce. Accolti da Oum dopo che il loro appartamento è stato parzialmente distrutto, la famiglia è solo di passaggio in quanto in tasca hanno la promessa di lasciarsi alle spalle la Siria quella sera stessa. All’alba, però, mentre Samir lascia l’appartamento, un cecchino lo colpisce alle spalle e attraverso gli occhi della domestica Delhani (Juliette Navis) lo vediamo stramazzare al suolo.

Insyriated: un dramma claustrofobico scandito in ventiquattro ore

Uno dei motivi per i quali vi consigliamo di vedere Insyriated è custodito nel modus operandi del regista, del tempo d’azione usato e dell’abilità attraverso cui intrappola le azioni in una singola stanza.

Ventiquattro ore è infatti il tempo scenico che Van Leeuw decide di utilizzare per mettere in scena il proprio dramma, chiudendo tutti i suoi personaggi tra le quattro mura dell’unico appartamento ancora abitato di un condominio qualsiasi di Damasco. Salvo un paio di veloci incursioni, la guerra è lasciata letteralmente al di fuori, osservata attraverso finestre chiuse e mattoni forati del muro che dà sul cortile. Sono gli spari, i bombardamenti lontani e le notizie frammentarie carpite da radio e computer a ricordarci che la guerra civile si sta ancora consumando, mietendo vittime e interrompendo il regolare svolgersi della vita umana. All’anarchia che regna all’esterno, dunque, si contrappone il rigore con cui Oum gestisce la casa, impartendo direttive a tutti quei personaggi che gravitano sulla scena come un direttore teatrale alle prese con una pièce.

Insyriated è un affresco credibile

L’estremo rigore con cui l’intera opera è confezionata cristallizza il film in un’autocoscienza forse troppo calcata. Punto, quest’ultimo, che potrebbe rappresentare secondo alcune prospettive una debolezza (non riesce forse a scuotere gli animi degli spettatori come vorrebbe), ma che in fondo fa leva per dipingere un affresco credibile di cosa voglia dire continuare a vivere durante un conflitto armato.

Insyriated è da riconoscersi sicuramente nei continui movimenti di macchina che, alternativamente, seguono Oum e Halima nei loro spostamenti da una stanza all’altra, spostamenti che sono inoltre ben bilanciati da quelle scene in cui, quasi voyeuristicamente, si invade il privato dei personaggi per indagare i loro dolori più intimi. Allo stesso modo, per quanto possibile, si tenta di normalizzare la situazione di stallo in cui gli abitanti dell’appartamento si trovano a vivere con veloci spaccati di vita quotidiana, impreziositi dai comportamenti spontanei dei bambini. Indubbiamente, si gioca molto bene sul senso di ansia crescente trovandoci ad aspettare con forza che scenda la sera per vedere che i morti possono finalmente riabbracciarsi coi vivi.