Il sol dell’avvenire: la storia vera dietro al film di Nanni Moretti

Grande successo di botteghino per il nuovo (meta)film di Nanni Moretti. Il protagonista Giovanni – un regista, interpretato da Moretti stesso – sta girando un film dal titolo Il sol dell’avvenire, sulla crisi apertasi nel partito comunista italiano all’indomani dello scoppio delle insurrezioni ungheresi del ’56. Ecco cosa accadde veramente allora, in Ungheria e in Italia.

SPOILER ALERT – Il sol dell’avvenire è un film che contiene molti film. C’è quello che il regista Giovanni, interpretato da Nanni Moretti stesso, sta girando, mentre ne scrive un altro – tratto dal racconto Il nuotatore, di John Cheever – e ne immagina un altro ancora – la storia d’amore di una coppia lunga cinquant’anni, raccontata attraverso le canzoni d’amore italiane –: un lungometraggio, tra circo, case popolari e redazione, sulla crisi apertasi nel Partito Comunista Italiano all’indomani dello scoppio dei moti di rivoluzione in Ungheria poi repressi dall’URSS, nell’autunno del 1956. 

Il Sol dell'avvenire - Cinematographe.it

Inizialmente, Giovanni, che durante le fasi di lavorazione del film sperimenta numerose difficoltà – dalle ingerenze dell’attrice protagonista alla perdita repentina dei finanziamenti sino alle inferenze dolorose di una crisi coniugale –, aveva pensato a un finale tragico: il suicidio per impiccagione di Ennio (Silvio Orlando), il giornalista dell’Unità, militante del PCI, che del film è protagonista. Tuttavia, appena prima della chiusura del set, durante un pranzo (non a caso) all’ambasciata polacca, ospite del futuro genero, il regista sorprende la sua famiglia, il suo cast e i nuovi finanziatori sudcoreani rivelando loro di aver deciso di sostituire il finale stabilito con un what if: ucronìa di un altro passato possibile. Un passato immaginato – consegnato all’ipotesi e al sogno retroattivo – in cui il PCI, e la sua stampa, si sono schierati – o si saranno schierati, il futuro anteriore è forse d’obbligo – non dalla parte degli oppressori, come invece accaduto, ma da quella dei ribelli scesi in piazza a difendere la libertà.

Ma ora vediamo come è andata veramente, tra Ungheria ed Italia, nell’autunno del 1956, quando a Budapest e in altre città ungheresi i rivoluzionari sfidarono il totalitarismo sovietico. 

La rivolta ungherese e la storia vera dietro a Il sol dell’Avvenire: cosa è accaduto a Budapest nell’autunno del 1956?

23 ottobre 1956, il popolo insorto abbatte la statua di Stalin: è l’inizio della rivoluzione ungherese.

La rivoluzione, anche conosciuta come rivolta o insurrezione, ungherese ha inizio il 23 ottobre del 1956. Alcune migliaia di studenti prendono le strade di Budapest per manifestare sostegno ai coetanei operai di Poznań che, dal giugno precedente, scioperano e organizzano cortei per protestare contro il rincaro dei beni di prima necessità e la piega repressiva imposta alla Polonia dall’Unione Sovietica, da qualche anno orfana di Stalin, ma non del suo autoritarismo. L’iniziativa dei giovani ungheresi viene soffocata in men che non si dica e, nel giro di due giorni, sul campo, restano qualche decina di morti, centinaia di feriti e un numero imprecisato di arrestati. Nonostante la reazione immediata e sanguinaria della polizia, quella che doveva essere una manifestazione pacifica si trasforma velocemente in un’insurrezione che dilaga fino ad assumere proporzioni massicce e ad estendersi anche ad altre città ungheresi. 

Gli insorti espugnano le principali istituzioni delle città coinvolte e chiedono a gran voce la deposizione di Mátyás Rákosi, segretario ora del Partito Comunista, ora del Partito dei Lavoratori, che in Ungheria aveva instaurato un governo a vocazione totalitaria, sottomesso ai dettami dell’URSS, nonché la smilitarizzazione del territorio, allora capillarmente occupato dai soldati sovietici, lo scioglimento della polizia segreta che l’URSS aveva imposto al Paese, l’abolizione degli ammassi obbligatori – la consegna di parte dei prodotti agricoli raccolti – che i contadini dovevano allo Stato, la tutela della libertà di stampa e il miglioramento dei salari e delle condizioni di vita dei cittadini.

Parte dell’esercito ungherese si rifiuta di aprire il fuoco contro i propri giovani e anzi si schiera con gli insorti, mentre viene nominato Primo ministro Imre Nagy, un oppositore della prima ora di Rákosi oltre che promotore di politiche di apertura all’Occidente. In un primo momento, sembra che gli insorti abbiano avuto la meglio, ma così non è: il 4 novembre l’Armata Rossa entra a Budapest con 200.000 uomini e 4.000 carri armati e reprime la rivolta, fino alla resa finale e definitiva, il 9 novembre, degli studenti, dei lavoratori e degli intellettuali che l’avevano animata. Gli arresti e le esecuzioni degli insorti da parte dei vincitori sovietici si sarebbero protratti per alcuni anni. Dal 1989, quando l’Ungheria viene nominata Repubblica Popolare e si libera del giogo sovietico, il 23 ottobre è festa nazionale, in memoria del primo giorno della rivoluzione che tanto è costata al Paese in termini di vite umane e sacrificio delle libertà fondamentali.

La rivolta ungherese: la responsabilità dei giornalisti del PCI nell’insabbiamento della verità 

L’Unità, giornale del PCI, si schiera con l’Armata Rossa.

Come mostra anche Il sol dell’avvenire, mentre il PCI, nella figura in particolare del Segretario Palmiro Togliatti, temporeggia in attesa di chiarire la sua posizione nei confronti degli accadimenti che si stanno consumando in Ungheria, la stampa di partito – in primo luogo l’Unità, ma anche Rinascita e Nuovi Argomenti – sceglie di falsificare il racconto dei fatti, attribuendo agli insorti l’etichetta di “controrivoluzionari”. In un articolo del 24 ottobre, l’insurrezione viene definita come “un tentativo reazionario di controrivoluzionari”, mentre l’edizione romana del giornale, nel suo pezzo in prima pagina, parla addirittura di “dimostrazione contro il regime popolare” e, più avanti, riporta di “gruppi di teppisti” che “lanciavano slogan che incitavano apertamente ad una azione controrivoluzionaria”. 

Orfeo Vangelista, un redattore tra i più idolatrici nei confronti di Stalin, incapace di accettare che l’opera di liberazione del popolo avviata dal suo leader rivoluzionario stava avvicinandosi sempre più a una forma di potere fascista, il 25 ottobre scrive, senza alcuno scrupolo di verifica, che “l’intervento sovietico è un dovere sacrosanto, senza il quale si tornerebbe al terrore fascista dei tempi di Horthy [Miklós Horthy, che fu capo di Stato ungherese dal 1920 al 1944, N. d. R.]. Le squadre dei rivoltosi sono composte prevalentemente dai giovani rampolli dell’aristocrazia e della grossa borghesia”.

Lo stesso Togliatti, dopo giorni di riflessione e preceduto dalla macchina del fango avviata della sua stampa, infine scioglie le riserve e si schiera dalla parte dell’URSS e dell’azione repressiva che sta attuando in Ungheria: una posizione, la sua, che provoca una spaccatura all’interno del Partito Comunista Italiano e l’esodo di molti suoi tesserati nonché l’avvicinamento del Partito Socialista Italiano, a favore dell’insurrezione ungherese e contro la repressione sovietica, alla Democrazia Cristiana. 

Nanni Moretti corregge, nel suo film dentro al film, la Storia della Sinistra italiana, rettificandone le responsabilità di distorsione e falsificazione della realtà che, nel tempo, a partire dalla rottura determinata dalla diversa valutazione della rivoluzione ungherese, avrebbero contribuito alla sua crisi più importante e decisiva per le sorti politiche tutte del nostro Paese. Ma, appunto, si tratta solo di un’operazione immaginifica e postuma, un’utopia della Storia.

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