I cento passi: le frasi migliori del film su Peppino Impastato

"Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda!" è una delle farsi più iconiche di Peppino Impastato, ma non è l'unica.

Ci sono film che emozionano, altri che scuotono. I cento passi, diretto da Marco Tullio Giordana, fa entrambe le cose. Uscito nel 2000, scritto da Claudio Fava e Monica Zapelli, con le musiche dei Modena City Ramblers, il film racconta la storia vera di Giuseppe “Peppino” Impastato, attivista, giornalista e militante comunista, assassinato dalla mafia nel 1978.
Peppino Impastato, interpretato nel film da Luigi Lo Cascio, era nato e cresciuto a Cinisi, in provincia di Palermo, un paese dominato dalla malavita. Suo padre, Luigi Impastato, faceva parte di Cosa Nostra ed era particolarmente legato a boss Gaetano Badalamenti, detto “don Tano”, capomafia del paese e vicino di casa della famiglia (da qui i famosi “cento passi” che dividevano le due abitazioni).
In aperto conflitto con le radici del proprio ambiente familiare, Peppino decise di rompere con il padre e denunciare pubblicamente la criminalità organizzata attraverso la politica e una radio libera, Radio Aut, usando l’ironia e la parola come armi.

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Fu proprio questo suo impegno, ostinato e irriducibile, a renderlo un bersaglio. Il 9 maggio 1978 il corpo dilaniato di Peppino fu ritrovato lungo i binari: suicidio, fu la sentenza che fece archiviare immediatamente il caso. Tuttavia, grazie alla tenacia della madre Felicia Bartolotta Impastato e del fratello Giovanni, dopo decenni di lotta si arrivò alla verità: Peppino fu assassinato per ordine di Badalamenti, condannato all’ergastolo nel 2002.
I cento passi, che vede nel cast anche Lucia Sardo nei panni di Felicia Impastato, Tony Sperandeo in quelli del boss Tano Badalamenti (performance premiata con il David di Donatello) e Paolo Briguglia nei panni di Giovanni, il fratello minore di Peppino, è disseminato di frasi divenute iconiche (anche grazie alla colonna sonora), nelle quali trasuda tutto il vigore di un ragazzo che, appena trentenne, pagò con la vita il suo dissenso.

Tra le prime frasi meritevoli di essere ricordate vi è una citazione poetica attribuita a Majakovskij, pronunciata all’inizio del film da Peppino e che riflette lo spirito della sua militanza politica: “Non rinchiuderti partito nelle tue stanze, resta amico dei ragazzi di strada”.
Tra le frasi strappate dai discorsi ne riportiamo una che potrebbe benissimo rappresentare l’inizio della sua avventura radiofonica e rivoluzionaria: “L’aria non ce la possono sequestrare”, dice Peppino Impastato ai suoi compagni, ideando quella che sarebbe diventata Radio Aut.

I cento passi e il famoso dialogo tra Peppino e Giovanni

Tra i dialoghi più celebri de I cento passi non si può non citare quello che si svolge tra Peppino e il fratello Giovanni, dopo la discussione avuta col padre. Peppino è fuori, sui gradini d’ingresso della sua abitazione e il fratello si avvicina a lui per sprecare qualche parola positiva nei confronti del padre, ma è a quel punto che il ragazzo perde nuovamente le staffe, regalando al pubblico la famosa scena.

Peppino Impastato: “Sei andato a scuola, sai contare?”
Giovanni Impastato: “Come contare?”
Peppino Impastato: “Come contare, uno, due, tre, quattro. Sai contare?”
Giovanni Impastato:Sì, so contare.
Peppino Impastato: “E sai camminare?”
Giovanni Impastato: “So camminà.”
Peppino Impastato: “E contare e camminare, insieme, lo sai fare?”
Giovanni Impastato: “Sì, penso di sì…”
Peppino Impastato: “Allora forza. Conta e cammina. Dai. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto…”
Giovanni Impastato: “Dove stiamo andando?”
Peppino Impastato: “Forza, conta e cammina! […] ottantanove, novanta, novantuno, novantadue,”
Giovanni Impastato: “Peppino…”
Peppino Impastato: “Novantatré, novantaquattro, novantacinque, novantasei, novantasette, novantotto, novantanove e cento! Lo sai chi c’abita qua?”
Giovanni Impastato: “Ammuninne”
Peppino Impastato: “Ah, u’zu Tanu c’abita qua! Cento passi ci sono da casa nostra, cento passi! Vivi nella stessa strada, prendi il caffè nello stesso bar, alla fine ti sembrano come te! ‘Salutiamo zu’ Tanu!’, ‘I miei ossequi, Peppino. I miei ossequi, Giovanni’. E invece sono loro i padroni di Cinisi! E mio padre, Luigi Impastato, gli lecca il culo come tutti gli altri! Non è antico, è solo un mafioso, uno dei tanti!”
Giovanni Impastato: “È nostro padre.”
Peppino Impastato: Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!

I cento passi e il monologo alla radio

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Nel cuore di I cento passi, il momento in cui Peppino Impastato decide di occupare simbolicamente la sede di Radio Out rappresenta un passaggio cruciale non solo nella sua evoluzione personale, ma anche nell’intero messaggio politico e culturale del film. È un punto di svolta in cui il protagonista, pur attraversato dal fascino della libertà individuale, delle esperienze alternative e dello spirito rivoluzionario degli anni Settanta, riconosce che l’autenticità dell’impegno passa per la realtà in cui si vive.

“In questi mesi, chi ci ascolta si sarà accorto di molti cambiamenti: Radio Out si è aperta, ha accolto opinioni diverse, si è fatta portavoce di un codice di comportamento libertario, o pseudo-libertario. Certo, è affascinante dire ‘Riprendiamoci il nostro corpo, viviamo liberamente la nostra sessualità’, chi non è d’accordo? I compagni di Milano, poi, sono simpaticissimi, anche i creativi venuti da Bologna, i fricchettoni piovuti giù dall’India, queste ragazze inglesi, tedesche… sono bellissime. Viene voglia di piantare tutto, di andare via insieme a loro.
Ma qui non siamo a Parigi, non siamo a Beverly Hills, non siamo a Woodstock, e neanche sull’isola di Wight. Qui siamo a Cinisi, in Sicilia, dove non aspettano altro che il nostro disimpegno, il nostro rientro nella vita privata.
Per questo ho voluto occupare simbolicamente la radio: per richiamare la vostra attenzione. Ma non voglio fare tutto da solo. Bisogna che ognuno di noi ritorni al lavoro che ha sempre fatto, cioè informare, dire la verità.
E la verità bisogna dirla anche sulle proprie insufficienze, sui propri limiti.”

Tra le altri frasi da annotare, durante la visione de I cento passi, vi è quella pronunciata dal boss mafioso Tano Badalamenti durante il gelido confronto con Peppino, alla presenza del fratello Giovanni (siamo all’interno del ristorante, dopo la morte del padre). Il personaggio interpretato da Tony Sperandeo cerca di riaffermare il proprio potere e la propria superiorità, pronunciando parole che suonano come una sentenza: Tu non esisti, tu non ci sei, tu sei nuddu miscatu cu nenti.”
Si tratta di un insulto radicato nella lingua e nella cultura siciliana, che significa letteralmente “nessuno mescolato con niente”, usato per ridicolizzare e annullare chi si oppone all’ordine costituito, specialmente se quel dissenso arriva da una voce isolata.
Il caffè che i due condividono in quella scena non è un gesto di riconciliazione, ma un modo per sigillare simbolicamente la posizione dominante del boss e liquidare ogni forma di opposizione come irrilevante. Peppino, pur rifiutando le logiche mafiose, si trova a dover affrontare il disprezzo e la derisione non solo sul piano pubblico, ma anche su quello personale, attraverso parole che mirano a cancellarne l’identità e l’impegno.

Il dialogo con la madre

Tra i dialoghi più tesi e in grado di farci percepire l’ideologia di Peppino vi è quello tra lui e la madre Felicia, in una scena in cui la TV accesa trasmette notizie dal mondo, inducendo la donna a dare un consiglio al figlio: armarsi. Ma lui non vuole e la sua è una scelta che non scende a compromessi.

Felicia: “Peppino, perché non ti prendi una pistola?”
Peppino: “Una pistola? Ma che ci devo fare io con la pistola?”
Felicia: “Per difenderti. Non lo vedi che sono tutti quanti impazziti?”
Peppino: “E che devo uscire pazzo pure io? E poi lo sai che le pistole non mi sono mai piaciute.”

Peppino Impastato e il comizio mancato: l’amara ironia nel monologo radiofonico dell’amico

Nel momento più drammatico, dopo l’assassinio di Peppino, l’amico Salvo Vitale, interpretato nel film da Claudio Gioè, legge alla radio un monologo che smaschera l’insabbiamento della verità. Un discorso che fa ironia sulla morte di Peppino Impastato, mettendola a paragone con quella di Pinelli e di Feltrinelli, lasciando ampiamente intendere l’assurdità di quanto asserito dalle forze dell’ordine. Nel finale, una nota amara e sfiduciata abbandona lo spettatore a una riflessione: Salvo Vitale dice che la mafia è rappresentata da tutti noi, ovvero da tutti coloro che si girano dall’altra parte, a differenza di Peppino, morto per aver avuto “l’ingenuità” di sperare in un futuro migliore.

“Stamattina Peppino avrebbe dovuto tenere il comizio conclusivo della sua campagna elettorale. Non ci sarà nessun comizio e non ci saranno altre trasmissioni: Peppino non c’è più, è morto, si è suicidato. Non sorprendetevi, perché le cose sono andate veramente così. Eh, lo dicono i carabinieri! Il magistrato lo dice, dice che hanno trovato un biglietto: ‘Voglio abbandonare la politica e la vita…’. Questa sarebbe la prova del suicidio, la dimostrazione. E lui per abbandonare la politica e la vita che cosa fa? Se ne va alla ferrovia, comincia a sbattere la testa contro un sasso, comincia a sporcare di sangue tutto intorno, poi si fascia il corpo con il tritolo e si fa saltare in aria sui binari! Suicidio! Come l’anarchico Pinelli che vola dalle finestre della questura di Milano, oppure come l’editore Feltrinelli, che salta in aria sui tralicci dell’Enel… tutti suicidi. Questo leggerete domani sui giornali, questo vedrete alla televisione. Anzi, non leggerete proprio niente, perché domani stampa e televisione si occuperanno di un caso molto importante: il ritrovamento a Roma dell’onorevole Aldo Moro, ammazzato come un cane dalle Brigate Rosse. E questa è una notizia che fa impallidire tutto il resto. E poi chi se ne frega del piccolo siciliano di provincia, ma chi se ne fotte di questo Peppino Impastato!
Adesso fate una cosa: spegnetela, questa radio. Voltatevi pure dall’altra parte, tanto si sa come vanno a finire queste cose, si sa che niente può cambiare. Voi avete dalla vostra la forza del buon senso, quello che non aveva Peppino. Domani ci saranno i funerali, voi non andateci, lasciamolo solo. E diciamo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo. Ma non perché ci fa paura, perché ci dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace. Noi siamo la mafia! E tu Peppino non sei stato altro che un povero illuso, tu sei stato un ingenuo, tu sei stato un nuddu miscatu cu nenti”.

Le frasi più famose di Peppino Impastato

Molte delle frasi più emblematiche associate alla figura di Peppino Impastato e alla sua lotta compaiono nel finale sui manifesti. Il corteo funebre si trasforma in una marcia di resistenza civile e gli occhi di Felicia si illuminano, segno che il figlio non è stato dimenticato e che la sua lotta non è finita.

“Peppino è vivo e lotta insieme a noi, le nostre idee non moriranno mai”, si legge in uno degli striscioni, a dimostrazione del fatto che nessun proiettile, nessuna morte fisica, potrà cancellare la potenza delle idee.
Tra le altre frasi che si leggono vi è la seguente: “La mafia uccide, il silenzio pure!”. Non si tratta solo di uno slogan di protesta, ma di un’affermazione etica e politica che incarna l’intero senso della battaglia condotta da Peppino Impastato.
In I cento passi questa frase riassume perfettamente il conflitto centrale del film: non basta sapere, bisogna anche parlare. In un contesto come quello di Cinisi, dove la mafia non agisce solo con la violenza ma anche con l’omertà diffusa, il silenzio diventa complice.
Peppino, attraverso la sua voce irriverente alla radio, è riuscito a rompere proprio quel silenzio. La sua è stata una sfida aperta, consapevole del rischio ma ancora più consapevole dell’urgenza. Denunciare, nominare i colpevoli, ridicolizzare il potere mafioso: tutto questo è un atto di rottura, ma anche di testimonianza. Perché come il film mostra chiaramente, la mafia prospera non solo grazie ai suoi affiliati, ma anche grazie all’indifferenza e alla paura di chi tace.