Chi era Francesco Nuti: ritratto di un attore ironico e malinconico

Chi era Francesco Nuti e quali sono i film più iconici della sua carriera? Scopriamo insieme tutte le anime dell'attore, scomparso il 12 giugno 2023.

Trasognato, perplesso, ironico, “babbo” di un cinema lieve e aggraziato, abile ascoltatore e narratore dei sussulti del cuore e dell’animo. Lui è Francesco Nuti, un sorriso buffo e infantile, quella fossetta sul mento tenera e guascona come lui, pronto al divertimento ma anche alla malinconia. Nuti è morto il 12 giugno 2023, a Roma, a soli 68 anni, dopo quel brutto incidente da cui non si era mai davvero ripreso. Il suo pubblico lo ha aspettato per tanto tempo e lo aspettava ancora, fino all’ultimo, colmo del desiderio di rivederlo al cinema, di vederlo raccontare ancora una volta, con quegli occhi pieni di vita ma anche tristemente malinconici una delle sue stralunate e assurde favole romantiche e disincantate in cui ha mostrato quei giovani ragazzi come lui, forse mai cresciuti che amavano il biliardo e le donne “con le gonne”.
Qui si cercherà prima di inquadrare il cinema e il comico relativo alla poetica di Nuti e poi ricordare alcuni dei film più caratteristici della sua filmografia.

Francesco Nuti, le sue varie declinazioni ma un’unica identità

Francesco Nuti cinematographe.it

Toscano, classe 1955 (nato il 17 maggio a Prato), si esibisce da giovanissimo come attore cabarettista, scrivendo da sé i testi, parole e immagini che descrivono bene la provincia, gli amici, le avventure paradossali e bislacche che fanno tanto divertire ma anche intenerire. Alessandro Benvenuti e Athina Cenci lo vedono sul palco e lo invitano ad unirsi al loro gruppo, chiamato Giancattivi. Partecipano ai programmi più famosi dell’epoca, Non stop e Black Out, fucina dei più grandi artisti degli anni a venire: Troisi, Verdone, I gatti di vicolo Miracoli da cui emergeranno tutti ma ad avere la meglio sarà sicuramente l’eterno ragazzo delle commedie del mare e della risata sguaiata Jerry Calà. Benvenuti, Cenci e Nuti esordiscono al cinema, con la regia di Benvenuti, con Ad ovest di Paperino, delicato manifesto generazionale di inizio anni Ottanta che porta su grande schermo la comicità surreale e cabarettistica che li ha fatti scoprire. I problemi sul set tra i tre sono molti, tanto che diventa difficile addirittura girare il finale, dopo l’uscita dell’opera il gruppo di divide. Nuti dirà che “erano troppi i galli nel pollaio, dopo tutto un gruppo di cabaret è una scuola, serve per imparare il mestiere, poi ognuno deve volare con le sue ali”.

Separato dai Giancattivi, si fa dirigere da Maurizio Ponzi in tre piccoli gioielli che raccontano i giovani, i sogni, i desideri e qualche volta gli amori della provincia: Madonna che silenzio c’è stasera (1982), Io, Chiara e lo Scuro (1983) e Son contento (1983). Sono i film che gli permettono di, come dirà lui stesso, pescare nell’infanzia, nel passato, li definisce come delle autobiografie, non in senso stretto ma che riguardano molto lui, ciò che ama, le sue tristezze, l’amore per il cabaret – nato quasi per caso ma che poi, acceso il fuoco, non si è mai spento. In quelle pellicole cerca lavoro, dopo aver preso il diploma perito tessile, è pazzo del biliardo, attività che meglio rappresenta la sua indole, è un cabarettista; insomma in quei film Francesco è proprio Francesco.

Intanto il panorama del futuro cinema e spettacolo italiani si sta formando. Giovani di belle speranze, arrivati proprio da quei programmi tanto amati dal pubblico televisivo, ma non solo, sbarcano al cinema. Roberto Benigni, Carlo Verdone, Massimo Troisi, Maurizio Nicchetti, Francesco Nuti compagni, colleghi, amici. Le maschere di quegli anni, pieni di entusiasmo e di simpatia, sperimentazioni e creatività. Ciascuno ha il proprio mondo, la propria poetica ma una cosa è certa, la timidezza è cifra di molti di questi artisti, arma a favore del comico, un po’ impacciati, un po’ buffi, un po’, a tratti, sfigati, strampalati eppure conquistano tutte le donne. Lo fa Benigni, lo fa Verdone, lo fa Troisi e lo fa anche Nuti. Certo, spesso Francesco è disperato per uno dei tanti abbandoni – tema a lui molto caro – che subisce ma poi un’altra gonna lo ripesca e lo riporta alla vita – racconta che quando deve scegliere un’attrice se ne deve innamorare e ripensa ai suoi amici del bar, a quello che penserebbero loro.

Intreccia i sentimenti, la malinconia con l’ironia e il paradosso – che lo rendono simile per certi versi al mondo nonsense di Nichetti. I dialoghi teneri e assurdi, le vite ordinarie di personaggi altrettanto ordinari, illuminati dal desiderio di fuggire in paesi lontani, rapiti dall’ennesima partita di biliardo o da una donna che fa perdere la testa, per cui piangere, tutto questo costruisce lo scheletro del cinema di Nuti. Gli uomini da lui scritti, diretti e interpretati ruotano intorno ad un tipo simile: l’inquieto, stupefatto di provincia di Madonna che silenzio c’è stasera, il comico di Cabaret di Son Contento, il giocatore di biliardo di Io, Chiara e lo Scuro e di Casablanca Casablanca (1985) sono dei ragazzi immaturi, senza arte né parte, spesso imbrigliati tra le spire amorevoli ma asfissiante di una madre fin troppo ingombrante, che non hanno un lavoro stabile, che vagano alla ricerca di qualcosa. Quel ragazzo poi cresce e negli anni si mostra un po’ più maturo: lo psicanalista di Caruso Pastoski (1986), il giornalista di Willy Signori e vengo da lontano (1989). Età, lavoro, nome sono diversi ma, poi, alla fine, c’è solo un protagonista con varie declinazioni di un’unica identità.

Francesco Nuti, regista, sceneggiatore, interprete di un’Italia che cambia

Nuti è stato ad un certo punto sottovalutato, forse non capito fino in fondo, quello che era la sorpresa del cinema italiano, è stato abbandonato quasi come uno dei personaggi dei suoi film. Il modo migliore per dare a Nuti ciò che è di Nuti è proprio ricordare i suoi film, la sua lunare stramberia, il suo essere un comico dall’animo triste, guardare e riguardare l’aria candida e spaventata dei suoi uomini come se avesse bisogno di narrare ciò che conosce bene, declinazioni di una generazione senza armi, a volte senza lavoro, immersa in un periodo non all’altezza dei propri sogni. Impariamo da quelle favole paradossali in cui desiderio, tristezza, mancanza di determinazione nel portare a termine i propri progetti, un pizzico di cinismo anche tra le fantasticherie, quel suo essere bischero smuovono risa e lacrime, dolcezze e poesie, tra partite a biliardo, metafora della vita, come dice il signor Quindicipalle nell’omonimo film, dei rapporti sentimentali perché il tavolo è come “una donna, il tappeto verde è la sua gonna”, e innamoramenti folli di donne sempre meravigliose, ognuna con la propria conturbante bellezza (De Sio, De Rossi, Alt, Muti, Ferrari, Ferilli).

Il cinema di Nuti mostra un’Italia che cambia (i suoi rapporti sociali sono evidentemente differenti, in Willy Signori e vengo da lontano, Donne con le gonne, Io amo Andrea) e un italiano che cambia assieme a lei: da giovane pieno di speranze alla fine dei conti un bambino che si applica poco, si fa poi uomo. Tra le pieghe di queste storie, piccole bizzarrie, emerge un elemento che dirime e sostanzia, la solitudine malinconica, in un’intervista Nuti dice: “la solitudine è un tema portante di tutti i miei film. Caruso veniva abbandonato da Giulia (Caruso Pascosky), Willy era un giornalista solo con un fratello disabile anche lui solo (Willy Signori e vengo da lontano) in Tutta Colpa del Paradiso ero un ex-galeotto privato della famiglia, in Stregati ero un dj nottambulo che si aggirava per le vie di Genova e così via. Io amo molto la solitudine e la cerco, per questo poi si riflette nei miei lavori”.

1. Ad ovest di Paperino

Francesco Nuti_cinematographe.it

“Dove si va?”, dice Nuti. “L’hai presente Paperino? A ovest!”, risponde Benvenuti. Ad ovest di Paperino (1981) è un esempio memorabile, quella che portano al cinema è una non storia, il vero soggetto è la forza del gruppo, ormai ben noto. Si fonda sul lavoro che il trio aveva portato in tv, si tratta di un film on the road, girato per le strade meno note di Firenze, come una zingarata cittadina, a base di scherzi assurdi.

Il fulcro non è la trama, l’importante è tutto il resto, tutto ciò che ruota intorno: la recitazione, i silenzi, i tempi comici, la complicità che lega il gruppo, che risulta riuscita sulla scena mentre nella realtà si sta distruggendo. Personaggio a tutti gli effetti è Firenze, non quella da cartolina ma quella che solo un toscano può conoscere, le vedute sono atipiche mai banali, gli angoli più vissuti, viene colta l’atmosfera quella dei mercati e dei quartieri popolari.

Il tono semiserio è cifra stilistica di tutta la storia e di tutta la cinematografia di Nuti; i tre attori, ciascuno con la propria personalità, si presenta, quasi come su un palco teatrale. Nuti è il bravo ragazzo, un po’ imbranato, che vorrebbe diventare adulto ma gli è impossibile. Benvenuti è quello un po’ cattivo, un po’ “bullo” di quartiere, capace di qualsiasi prepotenza ma con una leggerezza che strappa un sorriso. Cenci è in grado di fare tutto, è una donna intelligente ma anche assurda (come non pensare alla scena della carrozzina o quella in cui si inventa storie per giustificare un tentato suicidio che in realtà non c’è mai stato). Tra una gag e l’altra si racconta anche un mondo in cui non è difficile trovare la propria collocazione.

Questo è un titolo importante perché proprio da qui inizia il folle viaggio di un artista che ha giocato con sé stesso, con i suoi personaggi, con le parole, diventate poi battute memorabili, il racconto in musica – anche grazie alle note del fratello di Nuti, perfetta colonna sonora delle sue avventure – e le piccole ironie di uno che aveva il fuoco dentro ed un talento poco compreso e poco valorizzato. 

2. Madonna che silenzio c’è stasera, il film con Francesco Nuti è un piccolo gioiello

Francesco Nuti_cinematographe.it

Madonna che silenzio c’è stasera è un piccolo gioiello, fa dialogare l’ingenuità con la rassegnazione, la speranza con l’illusione. Francesco crede a tutto, ha il cuore buono, soffre per la ex ragazza che lo ha lasciato ma lui dice in giro che è stato lui a lasciare lei. Il suo modo di essere puro o meglio, poco smaliziato, si scontra con una società cupa per niente materna con i propri “figli”. Tutto è lontano dal suo modo di pensare e di abitare il mondo, si aggrappa alle piccole cose che gli sembrano più in armania con lui. Per Francesco si prova affetto, si sorride con lui mentre si assiste alle piccole e grandi tribolazioni quotidiane, non ci si stupisce quindi di vederlo accompagnarsi con Filippo, un bambino che finge di puntargli addosso (una rapina, finta) una pistola e gli dice di avere già 18 anni, non è un caso se insieme sperimentano e conoscono il mondo, questo perché di base Francesco non è ancora cresciuto. Sembra quasi che sia più smaliziato Filippo, molto spesso è lui quello che indirizza i comportamenti del secondo.

Momento iconico è quello in cui Francesco canta Puppe a Pera. Nuti è bravissimo, sembra recitare da sempre, conosce i tempi comici, il suo volto è in concordanza con parole e con emozioni. In questa interpretazione c’è già in nuce tuto il suo modo di lavorare, di essere attore e di tradurre pensieri e emozioni dalla carta alla realtà.

3. Io, Chiara e lo Scuro e l’amore per il bigliardo

Francesco Nuti_cinematographe.it

Un film che gli dà molto successo è sicuramente Io, Chiara e lo Scuro, qui è Francesco Piccioli che gli vale il David di Donatello ed il Nastro d’argento come migliore attore protagonista. Francesco, portiere d’albergo, è un abile giocatore di biliardo che si mette nei guai quando, a causa delle continue sfide (perse) col campione di biliardo lo “Scuro”, è costretto a rubare dei soldi dalla cassetta di sicurezza del suo albergo. Entra nella sua vita Chiara (Giuliana De Sio che racconta di aver studiato per i sei mesi prima dell’inizio del film il sassofono in modo che le sue mani e le scene in cui suonava fossero perfette), una bella sassofonista, che lo aiuta a restituire il denaro rubato. Io, Chiara e lo Scuro è una commedia divertente che ha poi il suo seguito con Casablanca Casablanca – realizzato dopo un periodo di crisi a causa della fine del rapporto lavorativo con Maurizio Ponzi e della morte del padre -, primo film di cui Nuti è anche regista, grazie al quale vince il premio come miglior regista esordiente al Festival internazionale del cinema di San Sebastiàn e il secondo David di Donatello come miglior attore.

Io, Chiara e lo Scuro ci accompagna nel mondo comico di Nuti, tutto ha origine dal confronto/scontro tra la fragile innocenza dell’uomo e la ferocia di ciò che gli sta intorno. Il centro è ancora la recitazione, Francesco sa mescolare irrealtà e realtà, lui è irriverente e un po’ bambino, è la battuta, quella più pungente di tutte ma è anche il sentimento, quello più puro e semplice, di cui è intriso.

4. Caruso Pascocki (di padre polacco), il film che gli appartiene di più tra l’amore per la donna e l’abbandono

Francesco Nuti_cinematographe.it

Arriva poi il periodo dei grandi successi. Nuti è all’apice, il cinema italiano sta vivendo la stagione dei grandi comici. Gira perché le idee sono tante, occupa il posto dei registi importanti, degli attori più amati, al cinema arrivano: Tutta colpa del paradiso (1985, vince il Ciak D’Oro come migliore attore), il romantico e notturno Stregati (1986) in cui sceglie nuovamente Muti, Caruso Pascoski (di padre polacco) (1988), altra perla fondamentale della sua filmografia. Lo descrive come il film che gli appartiene di più, gli appartiene proprio quella “biografia d’uomo” e lo spettatore non può che apprezzare la genuinità con cui lo accoglie nel suo racconto, non si può che avere un’empatia amorevole per i suoi personaggi e per lui.

Caruso Pascoski è un giovane psicanalista fiorentino, con una madre oppressiva e un padre di origine polacca che non parla mai, l’unico gesto da lui compiuto è quell’impercettibile scuotere la testa in segno di disapprovazione. D’improvviso, quasi senza senso, comincia ad ubriacarsi, incomincia a fare il pazzo in studio e per strada nella sua Firenze (il suo celebre “Dammi un bacino”), ma c’è un motivo in realtà e lo si verrà a sapere poi, sua moglie, Giulia, lo lascia. Caruso è abituato a risolvere i problemi, scioglie i nodi dei pazienti ma quando lo struggimento è il suo, in fin dei conti lui la ama fin da bambino, tutto è più difficile: solo in seguito scopre che lei ha un nuovo compagno che è anche un suo paziente di lunga data, omosessuale latente. Il paradosso ricomincia, non può lasciarla andare e così decide di diventare l’amante di sua moglie, fa di tutto per rivederla, di nascosto, le dà furtivi appuntamenti nei cinema e veste perfino abiti femminili.

Nuti sa essere leggero ma è anche capace di momenti di pura poesia, trattando uno dei temi per lui più interessanti: l’abbandono. Un amore che dura da una vita viene improvvisamente messo in crisi da una variabile imprevista, questo è ciò che fa nascere il riso, racconta nelle interviste.

5. Tutta colpa del Paradiso, il film con Francesco Nuti tra solitudine, emarginazione e paternità

Francesco Nuti_cinematographe.it

Romeo Casamonica è in carcere per scontare una pena di 5 anni per rapina a mano armata. Quando esce il (suo) mondo è cambiato, non trova nessuno ad aspettarlo, addirittura le sue cose sono state stipate in una cantina, trova una vecchia foto, in cui è ritratta la sua vecchia vita che sembra troppo lontana e troppo felice per essere sua: lui con l’ex moglie e con il figlio, Lorenzo. Vuole ritrovarlo, si rivolge così alla persona che si è occupata delle pratiche dell’adozione, ha bisogno di sapere, ma non ottiene nulla, viene solo “invitato” a non avvicinarsi più al piccolo. Romeo non ci sta, di notte si introduce nell’istituto e scopre che Lorenzo è stato adottato da una coppia (Muti e Alpi) che si trova in un rifugio in Valle d’Aosta, il Rifugio Paradiso, dove l’uomo sta cercando di fotografare il mitico stambecco bianco.

Si tratta di uno dei momenti più alti del suo cinema – anche grazie alla mano di Cerami -, Nuti qui mostra quanto possa essere lunare e anche paradossale, tratta temi complessi, emarginazione, reinserimento nella società, paternità, realizza una favola talmente lirica da aver ammesso più volte che sarebbe potuto essere addirittura un film d’animazione. Romeo ormai non ha più nulla, paga per il suo errore costantemente, senza poter fare nulla per opporsi a ciò, è nella “stazione” più bassa del suo calvario tutto pagano. In una lenta ma costante salita Romeo, inizia a respirare, l’ossigeno è sempre di più e trova così il suo Angelo – come accade molte volte una donna che lo riporta in carreggiata. Trova un rifugio, una piccola parte di mondo che è metaforicamente il paradiso in cui rigenerarsi, e lì tutto ricomincia a tornare al suo posto. Nuti fa un altro salto, parla ad un’altra parte di noi con un’altra parte di lui, si mostra in una veste nuova dove davvero ironia e dolore si mescolano. Romeo è un vagabondo alla ricerca del passato, un uomo solo che cerca il figlio e l’amore.

A brillare è la bellezza angelica, salvifica, di Ornella Muti che infonde in lui e nel mondo una luce “spirituale” e vivida. Siamo lì anche noi, tra l’evento che ha distrutto la sua vita e la tensione verso il “Paradiso” che gli dà speranza e voglia di “rinascere” pensando ad un domani o anche forse ad un “adesso” migliore.

Francesco Nuti, un amico da ricordare, un artista poliedrico da celebrare

Francesco Nuti è un comico sopraffino, un regista e uno sceneggiatore sensibile, capace di dare emozioni qualunque cosa faccia, ha sperimentato, rischiato, cercato di rinnovarsi, toccando anche temi scomodi con raffinata intensità. Porta con sé la sua provincia, il suo essere un tenero guascone, sempre sulle note di quella “musicalità” toscana legata alla poetica e all’ironia alla Amici Miei, non sarà difficile dare corpo ad un suo cinema, proprio e personale, auto-gestito perché Francesco è sincero, limpido, e anche quando vuole sbancare il botteghino lo fa con autenticità. Non sarà mai solo comico, etichetta che gli starà stretta, preferisce definirsi attor-comico, è anche sceneggiatore, regista, va a Sanremo con una canzone struggente e carezzevole (Sarà per te). Grazie alla sua libertà ha la possibilità di raccontare ciò che più lo interessa: la sua terra, il dialetto, l’essere giovane, uomo in un’Italia in continuo movimento. Ciò che è nelle sue mani diventa reale, anche le situazioni più assurde e fantasmagoriche.

Francesco è irriverente, è un bambino che fa tutto ciò che più gli piace, che ama le cose “giocherellose”, usando le sue parole – termine che incarna bene il suo estro e il suo istinto -, nei suoi film c’è posto per tutti e anche chi guarda si trova nel posto giusto in quel mondo un po’ folle ma accogliente, ma c’è posto anche per la poesia pura e semplice, gioia e malinconia. Lui è la Toscana, quella più profonda ma è anche il biliardo e “dammi un bacino”, è  la radio e quel suo amore per le donne così intenso e abbacinante, è lo stambecco bianco ma è anche Paperino. Questi pochi film ricordati sono solo la spinta per riguardare tutto il cinema di quel ragazzo con gli occhi buoni ma anche tristi che ci ha fatto ridere (ma anche piangere).