6 film del CSC da vedere al Sole Luna Doc 2025 (ma solo uno vincerà il Premio Cinematographe)
Corti, medi e lungometraggi realizzati dagli allievi del CSC di Palermo, che concorrono tra loro nella sezione fuori concorso Sicilia Doc. Noi li abbiamo visti tutti, ma ne abbiamo scelto solo uno!
L’interscambio tra i popoli, una coscienza comune, una conoscenza reciproca, proattiva, l’attenzione allo sguardo giovane e nuovo: sono questi gli elementi che caratterizzano e ispirano l’associazione Sole Luna – un ponte tra le culture e il suo progetto più prezioso, il Sole Luna Doc Film Festival, che nel 2025 celebra la sua ventesima edizione. Dal 15 al 21 settembre, Palermo tornerà ad essere crocevia di cinema del reale, musica e incontri, con oltre cinquanta proiezioni e diciotto titoli in concorso ospitati tra la Galleria d’Arte Moderna, Palazzo Branciforte e la Chiesa dei Santi Euno e Giuliano.

In questo caleidoscopio di storie e linguaggi, un posto speciale è riservato a Sicilia Doc, la sezione che più di ogni altra restituisce il respiro giovane e sperimentale del festival. Qui trovano spazio sei film realizzati dagli allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, opere diverse per durata e formato ma unite dallo stesso desiderio di raccontare l’isola e il mondo attraverso prospettive intime e originali. È una vetrina che rinnova il dialogo tra le nuove generazioni e il pubblico, dando forma a visioni che mescolano radici e futuro. A questa sezione sarà dedicato il nostro Premio Cinematographe.it, che la redazione assegnerà al lavoro capace di incarnare al meglio la forza e la freschezza di questi sguardi. Nei paragrafi che seguono presentiamo i sei titoli in programma, piccole e grandi esplorazioni che anticipano le traiettorie di un cinema in continuo movimento.
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1. Di vento e di voci (14’) di Bianca Arnold e Giuliana Zungri al Sole Luna Doc Film Festival

Un monastero come spazio sospeso, dove il soffio del vento diventa voce e la preghiera si confonde con i suoni del paesaggio. Arnold e Zungri scelgono un approccio sensoriale: più che raccontare, evocano. La macchina da presa si fa ascolto, lasciando che il canto delle suore, l’eco delle pareti e il fruscio della natura diventino trama narrativa. Lo spettatore è invitato a un’esperienza quasi mistica, in cui la visione cede il passo all’udito e il divino appare come vibrazione, presenza che non si vede ma si percepisce. Un piccolo poema audiovisivo che unisce rito e quotidianità, invitando a un silenzio carico di significati.
2. Geografia di un vuoto (13’) di Beatrice Indelicato

Tra le macerie di Montevago, paese cancellato dal terremoto del 1968, Beatrice Indelicato costruisce una mappa dell’assenza. Le riprese degli scavi e dei cunicoli esplorati dagli speleologi si alternano a inquadrature che trattengono l’eco di vite interrotte. Non c’è nostalgia retorica, ma un’indagine quasi archeologica sulla memoria: le pietre, le pareti spezzate, la chiesa che riemerge dal sottosuolo diventano testimoni muti di un tempo sospeso. Il film si muove tra cronaca e meditazione, restituendo un paesaggio che è al contempo fisico e interiore, dove il vuoto diventa presenza potente.
3. Il Gint (69’) di Matteo Di Giandomenico nella sezione Sicilia Doc del festival Sole Luna

La forza del cinema documentario è quella di saper scegliere le giuste storie da raccontare, i giusti personaggi, le giuste sensazioni. Il Gint lo dimostra con sorprendente maturità: la telecamera penetra le insicurezze di Stefano, giovane cantante intrappolato tra farmaci e depressione, emblema di una generazione fragile e disorientata. L’occhio del regista accompagna il protagonista in un percorso complesso, claustrofobico e a tratti allucinato, dove la musica diventa l’unica via di salvezza. Il risultato è un ritratto intenso, a volte ruvido, che trasforma la sofferenza in suono e offre allo spettatore un viaggio emotivo verso una possibile rinascita.
4. L’ultimo giorno (27’) di Calogero Venza

Ritratto di un addio che è anche un atto d’amore. Calogero Venza osserva Camporeale, il paese che lo ha cresciuto e che ora sembra spingerlo lontano, con uno sguardo intimo e contemplativo. Le colline che circondano il borgo diventano metafora di confine: oltre di esse c’è il futuro, ma anche l’incertezza di ciò che si abbandona. Il film alterna riprese quotidiane a riflessioni personali, restituendo il contrasto tra la nostalgia delle radici e il desiderio di partire. Un racconto di formazione che parla a chiunque abbia conosciuto la tensione tra appartenenza e fuga.
5. Occupante senza titolo (24’) di Gabriele Armenise e Dario Lean

Con sguardo diretto e asciutto, Armenise e Leani ci portano dentro una lotta sociale spesso ignorata: quella per il diritto alla casa. Tony Pellicane, storico attivista palermitano, diventa il filo conduttore di un racconto che rifiuta il pietismo e preferisce l’immediatezza del cinema del reale. Tra assemblee concitate, timori e sospetti reciproci, il film restituisce la durezza di un conflitto che oppone bisogni primari a una narrazione mediatica criminalizzante. È un’opera che parla di resistenza collettiva e di dignità, capace di trasformare la cronaca in un atto politico e umano.
6. Anche Txerd’ar. L’odore dell’aria (31’) di Rodrigo Aguirre al Sole Luna

Tre generazioni di donne capoverdiane a Palermo, un legame invisibile con un arcipelago mai dimenticato: Aguirre intreccia storie, memorie coloniali e sogni di ritorno in un tessuto narrativo delicato. Le autostrade che tagliano le colline siciliane e i “fantasmi” di cemento abbandonato fanno da contrappunto visivo al viaggio interiore di Zenaida, di sua figlia Naldina e della piccola Angelica. Il documentario respira l’odore dell’aria, mescolando paesaggi e confessioni, per raccontare l’identità diasporica e l’appartenenza che resiste alle distanze geografiche. Un film che è allo stesso tempo intimo e universale, sospeso tra presente e memoria.
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