David di Donatello 2025 e le donne. Perché siamo ancora lontani dalla parità

Cosa ci dicono i David di Donatello sul cinema italiano e sulla parità di in relazione alla presenza delle donne nelle principali categorie?

I David di Donatello, giunti nel 2025 alla 70ª edizione, richiamano qualche bilancio sulla direzione verso la quale sta andando il cinema italiano e su quanta parità di genere trasudi tra le categorie degli Oscar italiani. La stessa attrice Jasmine Trinca si è espressa in merito sottolineando, oltre al problema produttivo, la presenza di tante registe che “finalmente accedono alla categoria di miglior film e miglior regia. Per me è un grande messaggio di speranza in una nuova visione del mondo”, ha detto.
E in effetti è la prima volta nella storia dei David di Donatello che tra i candidati per il premio al Miglior Film e alla Miglior Regia spiccano i nomi di tre registe: Francesca Comencini con Il tempo che ci vuole, Valeria Golino con la serie TV L’arte della gioia e Maura Delpero con Vermiglio.
Un risultato che rappresenta non solo un primato numerico, ma soprattutto una svolta qualitativa. Le loro opere esprimono una visione autoriale forte, complessa, capace di affrontare temi cruciali senza piegarsi agli stereotipi né imitare lo sguardo maschile. In particolare, L’arte della gioia ha suscitato ampio dibattito per la radicalità con cui esplora il desiderio, il potere e l’autodeterminazione femminile.

L'arte della gioia_cinematographe.it

Oltre a loro si fa notare Margherita Vicario con Gloria!, musical ambientato in un collegio femminile dell’Ottocento, che mescola con audacia narrazione storica e linguaggio visivo pop. Un’opera che racconta la creatività repressa delle donne trasformandola in energia di affermazione e ribellione, confermando la vivacità delle nuove leve femminili del cinema italiano.
Anche nel documentario si registra un’evoluzione significativa. Nove dei quindici titoli selezionati per il Premio Cecilia Mangini 2025 sono firmati da registe. Autrici come Francesca Mazzoleni, Caterina Biasiucci e Chiara Marotta portano avanti uno sguardo personale e sociale insieme, muovendosi con libertà stilistica in un genere che si conferma terreno fertile per l’espressione femminile.

Un passaggio simbolico verso la parità di genere

Guardando al passato, è evidente come la presenza femminile ai David di Donatello sia stata, per anni, più un’eccezione che una regola. Le registe faticavano a ottenere spazio nelle principali categorie, con candidature alla Miglior Regia o alla Miglior Regista Esordiente estremamente sporadiche. Nel 2000, ad esempio, non fu presentata alcuna donna tra i candidati alla regia. Solo nel 2004, Maria Sole Tognazzi ottenne una nomination come regista esordiente per Passato prossimo, ma rimase un caso isolato in un panorama dominato dagli uomini.

Le categorie tecniche, invece, offrivano qualche apertura in più, ma limitata a ruoli tradizionalmente considerati “femminili”, come costumi e scenografia. Un esempio è Simona Migliotti, candidata nel 2003 per Il cuore altrove, una delle rare eccezioni in un comparto tecnico ancora fortemente maschile.
È solo negli ultimi cinque anni che la situazione ha cominciato a cambiare in modo più visibile. Il 2021 ha segnato un punto di svolta significativo, con quattro registe nominate nelle categorie di regia e regia esordiente, tra cui Emma Dante (Le sorelle Macaluso) e Susanna Nicchiarelli (Miss Marx). L’anno precedente, nel 2020, nessuna donna era stata candidata per la regia. Il 2023 ha avuto andamenti altalenanti: nessuna donna nella cinquina per la regia, ma tre esordi femminili di rilievo. Nel 2024, invece, è stata Paola Cortellesi a dominare, con il suo C’è ancora domani che ha conquistato sei premi, un record assoluto per una regista donna. Accanto a lei, Alice Rohrwacher con La chimera ha confermato l’autorevolezza dello sguardo femminile nel cinema d’autore italiano.

David di Donatello: dati a confronto

Vermiglio; cinematographe.it

Secondo i dati ufficiali dell’Accademia del Cinema Italiano, nel 2020 solo 11 film su 132 erano diretti da donne. Nel 2024, il numero è salito a 20 su 171, un incremento che segnala un progresso costante nella partecipazione femminile alla regia cinematografica. Tuttavia, gran parte di questo fermento proviene dalle produzioni indipendenti, ambienti più agili e sperimentali, spesso fuori dal controllo delle grandi major.

Malgrado i progressi, le categorie tecniche restano un terreno ostico per le professioniste. Nel 2025, su 37 candidati alla Miglior Fotografia, solo una è donna: Daria D’Antonio per Parthenope. Situazione simile nella categoria Miglior Suono, dove tra i 91 candidati solo tre sono donne: Daniela Bassani (Gloria!), Silvia Moraes (Parthenope) e Dana Farzanehpour (Vermiglio). Per gli effetti visivi, le donne candidate sono 8 su 65. Questi reparti, legati a competenze tecnologiche o logiche industriali, risultano ancora poco accessibili per le professioniste, anche a causa di stereotipi radicati sulla fisicità del lavoro o sulla leadership tecnica.
In altri settori, come trucco, scenografia e costumi, la presenza femminile è solida, e talvolta predominante. Questi ambiti sono però storicamente associati a un presunto “gusto femminile”, percepito come più decorativo che decisionale. Eppure, anche in questi reparti emergono voci autoriali di rilievo, come Maria Rita Barbera (scenografa de L’arte della gioia) e Mary Montalto (costumista di Gloria!), che contribuiscono a ridefinire la portata creativa ed espressiva di questi ruoli.

La presenza delle donne ai David di Donatello fa spesso rima con le produzioni indipendenti

Un dato che emerge chiaramente è il legame tra la crescente presenza femminile e le produzioni indipendenti. Molte delle opere dirette da donne provengono da contesti produttivi più agili, lontani dal controllo delle grandi major, dove si sperimenta di più e si è meno vincolati da logiche commerciali rigide. Questo fenomeno conferma che il cambiamento sta avvenendo soprattutto ai margini del sistema, fuori dal suo centro strutturale.

Turando le somme, possiamo dire che il bilancio del 2025 è duplice: da un lato si registra un ampliamento concreto dello spazio creativo affidato alle donne, in particolare nella regia e nel documentario; dall’altro, le categorie tecniche continuano a rivelare la persistenza di un sistema sbilanciato, dove le donne faticano a ottenere accesso, formazione e riconoscimento. Le statistiche parlano chiaro e impongono una riflessione strutturale su come rendere il settore cinematografico italiano più equo e aperto alla diversità.
Perché il cambiamento diventi davvero irreversibile, sarà necessario attuare politiche mirate, come il sostegno alla formazione tecnica femminile, incentivi per diversificare i team di produzione e una revisione dei criteri di selezione nei bandi pubblici, per esempio. Sperando che questa curva di femminilità sia sempre in crescita e che non se ne parli come una felice eccezione, bensì come una concreta, sacrosanta e consolidata regola.