Buon Compleanno Greta Garbo – le fleur du mal

Il 18 settembre del 1905 nasceva Greta Garbo. Ripercorriamo la biografia, i film e il successo di un'attrice singolare, umile, Divina.

Deve essere una cosa difficile, quasi impossibile, smettere di essere un volto. Eppure possiamo immaginare le volte in cui Greta Lovisa Gustafsson, guardando dalla finestra del suo appartamento di New York, trincerata dalla Factory e dall’avvento dei Velvet Underground, scorgeva quel mondo al di fuori della sua gabbia dorata, a cui mai riuscì ad appartenere. Se per un giorno avesse smesso di essere quel corpo, quell’intensità, forse avrebbe apprezzato quel che le era mancato, che le mancò sempre, prima che potesse svanirle come sabbia nelle dune.

Greta Garbo: la biografia di una diva

greta garbo

Lei seppe arginare la sua cortina limacciosa, dapprima con uno pseudonimo – Garbo non arriverà mai a sostituire la sua persona come riuscì Marilyn con Norma Jeane o Victoria Lucas con Silvia Plath – eppure fu un’inconsueta maschera, arsa dalle luci accecanti della MGM, dall’America che strizzava l’occhio all’Europa, determinata a superare moralmente la grande guerra e ignara del suo perenne stato febbrile.

Quel suo nome, Greta Garbo, quell’avversione era un rifugio ingannevole: una proiezione alienante, una sottrazione. Solo un carattere stravagante ai limiti del bipolarismo avrebbe potuto gestire quel perpetuo climax che è la fama.

Quando il suo nome veniva menzionato ad hoc per indicare la bellezza estrema, quel vacuo spessore la rendeva inafferrabile, anche dalla cinepresa o da un semplice specchio: ci si guardò, si contemplò, sempre troppo tardi, sempre diversa, elusiva. Sovente scese a patti con la sua incoscienza. Come un’analfabeta che riconosce la propria calligrafia. Una personalità dispersiva e duplicante.

I tanti volti di Greta Garbo attraverso i film in cui ha recitato

Però se una cosa si può affermare con certezza, è il reale concedersi ai suoi personaggi. Non sono mai stati solo interpretati, come nella sua vita non ha mai potuto essere o avere la bramosia e il coraggio dei suoi riflessi filmici. Con Ninotchka (’39), in ordine decrescente, incarnò una persona austera, determinata, una precorritrice del culto partigiano, ispirata forse a Rosa Luxemburg. Sentiva come propri i dolori del popolo, erano suoi gli ideali, le convinzioni che un giorno gli operai avrebbero di fatto riportato in vita l’orgoglio delle nazioni, soprattutto quella del Cremlino. Ma nell’inoltrarsi delle scene, come forse non sarebbe dovuto accadere, riesce addirittura a mettere da parte tutto ciò.

Perché mai direste voi? O forse non lo direste. Purtroppo erano anni plumbei, a dir poco. E si finiva per avvilire le migliori storie, oltraggiarle in molti casi, con tematiche amorose scarne ed insulse. Anna Karenina (’35) è il culmine di questo genere, una presenza oscena, demoralizzante. Non tanto per come la Garbo tergiversò attorno al ruolo drammatico letterario, ma per come venne profanato ogni tipo di sentimentalismo e sacrificato all’altare della redenzione. La colpa, il tradimento, anche la felicità, erano cose che andavano punite: cose che prima o poi si scontano, perché sanno tendere ai due estremi. E parallelamente andavano tenute fuori dalla scena, ob skenè come dicevano i greci.

Non è una casualità che le toccassero ruoli di donne libertine e seduttrici ingorde che trovarono tregua morale non sempre nella persona amata, ma talvolta nella morte.

Contrariamente lei preferì consacrarsi alla libertà, alla solitudine, due labbra rigide e incestuose asservite a chiodi di ferro incandescente. Fu sempre in balia delle sue ombre, oscillando tra due consapevolezze: la saggezza e l’istinto. Erano marchiate in viso le sue scelte, un po’ subite un po’ sospese. I suoi matrimoni mai avvenuti, le sue attese mai appagate, dimostravano l’incapacità di adattare lo spirito all’etica del tempo. Non ne fu mai capace.

Ma il suo ruolo più attraente non fu solo quello nella vita, ma quello di Marguerite Gautier (’36): La signora delle camelie. Riuscì a conferire nuova luce al personaggio di Dumas, rivestito di una bellezza sinistra e fredda, e dimostrò come le frecce di cupido a volte sbagliano mira, deragliano come un treno in un ghiacciaio.

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È una pellicola che ha un senso d’ironia quasi perverso, in cui lei glorifica le sue scelte errate e riesce a schernire la morte, quella bestia immorale, affermando con frivolezza: “Sono sempre bella quando sto per morire”. Dettaglio da non sottovalutare, nella sua condotta, furono i tentativi di aggirare i flash dei fotografi e la vita da star inaccessibile. Ma Hollywood raramente comprende e perdona un tale atteggiamento: questo suo celarsi era un pessimo attributo, una propaganda sovversiva, non era naturale nel mondo dello star system la discrezione. Infatti fu catturata, assaporata poi dilapidata e corrosa da loro, dagli attori, dal gossip. Finché, in modo forse prematuro (ma chi può dirlo?) a 36 anni e 30 pellicole decide di slacciarsi dal cordone ombelicale che le concesse fama e splendore ma che le tolse la fame per la vita reale. Un’istinto che cercò di riconsiderare, di riscoprire, ma furono sforzi vanificatori.

Greta Garbo è morta di polmonite il 15 aprile del 1990 a New York, aveva 84 anni

Nata il 18 settembre del 1905, sotto il segno zodiacale della Vergine Greta Garbo viene ricordata ancora oggi per la sua essenza di donna singolare, umile, lavoratrice sin dalla più tenera età, con una famiglia in frantumazione e l’emporio svedese che non aveva lungimiranza per le sue attitudini. Con un futuro da donna mortale e uno da dea pagana.