Baarìa: la spiegazione del finale del film di Giuseppe Tornatore

Il finale di Baarìa di Giuseppe Tornatore insinua, giocando con il sogno e l'immaginario, che tutto ciò che abbiamo visto in realtà non sia davvero accaduto; che sia stato solo un sogno.

Baarìa è un kolossal intimo che in qualche modo diventa la summa del cinema di Giuseppe Tornatore, perlomeno di quello con cui è più conosciuto e celebrato sull’onda dell successo e dell’Oscar di Nuovo Cinema Paradiso. Non manca nessuna delle firme più tipiche dell’autore siciliano e tutte in qualche modo vengono, nel bene come nel male, “urlate”; dalle inconfondibili melodie composte da Ennio Morricone, alla regia barocca e visionaria come l’architettura tipica della terra d’origine del regista, capace di affabulare e di creare grandi pagine di cinema, passando per l’approccio caldo e verace che non ha paura del sentimentalismo fino alle esemplari vicende biografiche ( e autobiografiche) che si sposano e si rispecchiano con la storia della Sicilia.

Leggi anche Giuseppe Tornatore: gli 8 film più belli del regista Premio Oscar

Baarìa: la trama

Baarìa cinematographe.it

Baarìa è infatti il nome fenicio di Bagheria, cittadina della Sicilia e culla di Tornatore. In un arco di tempo che abbraccia circa cinquant’anni, la città, le sue evoluzioni e i suoi cambiamenti accompagnano la vita di Peppino, dall’infanzia alla fine. O forse la sua è solo una vita immaginata, una vicenda esemplare ed emblematica che costituisce un’epopea che agisce nei territori del sogno e dell’immaginario, quelli in cui il vero diventa verosimile mischiandosi alle rielaborazioni autobiografiche dei ricordi e dei sentimenti. C’è più di un dubbio che tutto quello a cui abbiamo assistito sia davvero fino in fondo e del tutto vero. A seminare questi dubbi sono in particolare, oltre ad una serie di indizi sparsi qua e là che risaltano ripensandoci “col senno di poi”, proprio il prologo e il finale.

Il film inizia con una corsa sfrenata; un bambino sfreccia per le strade della città fino al momento in cui non spicca il volo, sorvolando il borgo di “Baarìa”. Il montaggio alternato tra la faccia stupita e felice del piccolo e il paese visto dall’alto lascia poi spazio alla prima vera sequenza del film. Troviamo Peppino che corre verso la scuola, in ritardo; oltre ad essere arrivato dopo il suono della campanella, il giovane non ha fatto i compiti perchè una capra del padre, allevatore, gli ha mangiato il libro. Per questo motivo viene messo in castigo dalla maestra dietro la lavagna, dove si addormenta.

Si susseguono poi tutte le fasi della vita del protagonista; dall’amore, inizialmente contrastato, con Nannina al rapporto con il padre, saggio “allevatore-poeta”; dalla quotidianità fascista alla militanza politica nelle file del Partito Comunista; dall’emigrazione per necessità ad un periodo di stabilità economica. C’è una costante crescita culturale, oltre che “sociale”, del protagonista, simboleggiata anche dalla passione per il cinema, esplicitata dai manifesti di film che in qualche modo segnano il passare dei decenni. Ci sono l’amore e le problematiche tipiche di una famiglia numerosa. Nella vita di Peppino ci sono, insomma, tutti gli ingredienti che possono rendere la sua biografia una vicenda esemplare di cinquant’anni di storia italiana, nel privato come nel pubblico. Nel frattempo, “Baarìa” muta e si evolve con il protagonista. Da borgo contadino diventa una cittadina moderna, portando con sé tutti i cambiamenti, positivi e negativi, che riflettono le evoluzioni del paese in generale e quella della Sicilia in particolare. La storia di Peppino si rispecchia quindi in quella della sua città Natale, e viceversa, influenzandosi a vicenda.

Leggi anche Dove è stato girato Baarìa? Ecco le location del film di Giuseppe Tornatore

Baarìa: il significato dei serpenti neri

Baarìa cinematographe.itC’è anche una costante vena leggendaria, misteriosa e folcloristica che attraversa tutto il film. C’è per esempio la leggenda delle tre punte ( una particolare montagna costituita appunto da tre picchi, che, secondo leggenda, nascondono un tesoro, visibile solo se i tre picchi vengono colpiti dall’unico lancio di un sasso ) con la quale il finale viene aperto. Peppino, ormai malato e vicino al termine del suo cammino, colpisce, senza pensarci troppo e dopo averci creduto e “provato” fin dall’infanzia, tutti i tre picchi con lo stesso sasso. Davanti agli occhi però gli appare un groviglio di serpi nere, presagio di morte. Nella sequenza successiva, Peppino è alla stazione per salutare il figlio Michele in partenza verso un futuro migliore. Il loro saluto è freddo, e il volto Peppino esprime un misto di sensazioni che uniscono il malinconico, il disilluso e il distaccato. Almeno fino a quando non scatta in una corsa sfrenata a seguire il treno, salutando con entusiasmo, speranza e una ritrovata vitalità il figlio. Questa corsa entusiasta e infantile, terminata con un fermo immagine e con la musica di Morricone che riparte in tutta la sua dolce magniloquenza, è l’addio di Peppino, in qualche modo l’ultimo suo saluto e l’ultima testimonianza di una vita vissuta con passione fino in fondo, nel bene come nel male.

O meglio; è l’addio del Peppino adulto che fino a quel momento abbiamo accompagnato lungo tutta la sua vita. Immediatamente, con le note di Morricone sempre più potenti, facciamo un salto indietro e ritroviamo il Peppino bambino che a inizio film si era addormentato dietro la lavagna. La classe è vuota e la scuola deserta. Il giovane, un po’ stranito, esce e si ritrova nella contemporaneità. Inizia a correre lungo le strade della città allo stesso tempo riconoscibile e diversa, trovando indizi e dettagli di quello che ha sognato (cioè, quello che per lo spettatore è stato il film) fino a che non incrocia quel bambino, ancor più giovane, che abbiamo visto nel prologo, anche lui alle prese con una corsa sfrenata. C’è quindi un passaggio di testimone. Le ultime inquadrature sono dedicate a questo bambino, e il film si chiude sul suo primo piano che incornicia un enorme sorriso speranzoso ed entusiasta.

Cosa significa quindi il finale di Baarìa?

Questo bambino è in qualche modo il “simbolo di tutti i Peppini” protagonisti di una storia e di un contesto che non muta mai, nel bene come nel male. Il finale onirico e metafisico – oltre a suggerire che (come per esempio, forse, nel finale di C’era una volta in America di Sergio Leone, uno dei modelli più importanti di Tornatore) quello che ci è stato raccontato appartiene al territorio del verosimile emblematico e onirico – diventa anche una fotografia che suggella l’omaggio del regista alla sua terra e alle sue genti, capaci di esprimere vitalità, entusiasmo e generosità anche in un contesto che, nel profondo, non muta.