Alita, i cyborg movies di James Cameron e le origini del genere

Arriva nelle sale il 14 febbraio il nuovo film sui cyborg prodotto dal papà di Terminator. Ma da dove viene questo sottogenere fantascientifico?

A San Valentino arriva al cinema Alita – Angelo della battaglia. Ultima fatica registica di Robert Rodriguez, ma sotto la supervisione di un autore e producer d’eccezione come James Cameron. Dopo aver avviato la saga dei Terminator con i primi tre capitoli, il cineasta canadese si misura con la trasposizione del famoso manga firmato Yukito Kishiro. Certo, Avatar è un altro fantascientifico con mondi futuristici, ma il concetto di avatar è ben diverso da quello di cyborg. O meglio, creatura in parte umana e in parte robotica. Se negli anni novanta, decennio aperto proprio da Alita, è esploso il cyberpunk, il mescolare uomini e macchine in un sol corpo è un’abitudine creativa che parte da molto lontano. Dal mondo dei robot.

Leggi anche James Cameron e le sue donne ribelli, dai film sci-fi a Titanic

Alle origini del genere cyborg: Fritz Lang e Isaac Asimov

Metropolis

Il secolo scorso ci ha regalato le immagini indelebili di Metropolis, il capolavoro di Fritz Lang che improntò per la prima volta sul grande schermo l’immaginario collettivo con forme di città futuristiche e corpi meccanici coscienti. Era il 1926. Il cinema andò avanti e autore letterario chiave si rivelò Isaac Asimov. I suoi romanzi e racconti hanno ispirato più e meno trasversalmente tanta fantascienza del 20° e del 21° secolo.

Se Io, Robot, con Will Smith, è il più famoso dei recenti presi dall’autore russo, oltre alle varie serie e animazioni resta indelebile L’Uomo Bicentenario, film con un impressionante Robin Williams che mostrava l’umanizzazione progressiva di un robot ottenuta da progressivi innesti organici. Ma il cyborg parte solitamente dalla componente umana, e l’Alita di Cameron & Rodriguez viene trovata come rottame ancora vivente e rimessa in sesto in un nuovo corpo. Il lato umano emerge sempre a dispetto del fattore macchina. È questa la tensione narrativa necessaria che attraversa comunemente le storie di questo sottogenere.

Robocop e Blade Runner

Agli anni ottanta appartengono due grandi cult firmati rispettivamente da Paul Verhoeven e Ridley Scott. Se l’agente Murphy di Robocop si risvegliava tra i circuiti di un nuovo corpo meccanico dopo una sparatoria, i replicanti di Blade Runner erano esseri umani sintetici, frutto di tecnologie avanzatissime, e la loro dualità uomo/macchina confliggeva nei meandri dell’anima in quel vortice cinefilosofico che ne ha fatto una pietra miliare. Il conflitto tra identità e situazione è sempre forte anche in Alita, dove l’eroina protagonista non ricorda chi è veramente, così soltanto il combattimento le riporta brevi e improvvisi scampoli di memoria dal passato.

Philip Dick e Terminator

Ritornando a ispirazioni letterarie non si può non citare Philip K. Dick. Oltre ad aver ispirato i mondi di Matrix e le rimescolanze circuiti/organismo umano di eXistenZ, diretto da David Cronenberg, lo scrittore ispirò il fumetto distopico Ranxerox di Stefano Tamburini e Tanino Liberatore, nonché il Terminator di Cameron.

Leggi anche Philip K. Dick: i 10 migliori film e serie tv tratti dai suoi romanzi

Forse il suo cammino verso Alita iniziava proprio da qui. Il Terminator era un robot rivestito di parti organiche, che ne secondo episodio evolveva a piccoli passi. Alita guarda la vita con lo stupore. Circondata da un mondo avanti di mezzo millennio rispetto a noi, in comune con questo Schwarzenegger d’annata ha proprio quello stupore, per lei da ragazzina, per il T-800 da moderno mostro di Frankenstein. Con l’attore austriaco più vicino a Boris Karloff che mai. Osservando il lato femminile, invece, la similitudine al cinematografico Ghost in the Shell con Scarlett Johansson, può risultare lampante per la centralità di un’eroina giovane e aggraziata, ma i loro mondi sono diversi, come pure le loro origini. Di sicuro la novità che portano le due cyborg è l’imposizione dell’eroe non più maschile ma femminile, un segno di modernità non soltanto in quanto emancipazione della donna, ma di un mondo e di un potere non più esclusivo.