A Private War: la storia vera della reporter di guerra Marie Colvin

Ecco chi era Marie Colvin, la reporter che ha ispirato il film A Private War, con protagonista Rosamund Pike.

I giornalisti di guerra possono essere degli eroi. Corrispondenti stranieri che si immergono in angoli sperduti del mondo, tra violenze e atrocità, al fine di raccontare quanto accade realmente in quei luoghi. Una missione, un compito emotivamente stressante, molto stressante. Che talvolta finisce per lasciare cicatrici permanenti. Nessuno lo sapeva meglio di Marie Colvin, una reporter che ha dedicato la vita a promuovere il cambiamento, attraverso la cronaca in presa diretta di alcune delle regioni più devastate dai conflitti.

Il lavoro di Colvin e l’impatto a livello personale sono affrontati nel film A Private War, candidato ai Golden Globe, con Rosamund Pike protagonista. Il film è basato su un articolo scritto da Marie Brenner nel 2012 per Vanity Fair. Quest’anno è uscito In prima linea, prima raccolta degli articoli e dei reportage scritti dalla donna, prima che morisse in tragiche circostanze.

Marie Colvin: la vera storia della corrispondente di guerra interpretata da Rosamund Pike in A Private War

Nata a Oyster Bay, Long Island, nel 1956, da due insegnanti di scuola pubblica, Marie Colvin era una figura iconica nella comunità giornalistica. Nel 2000 è stata insignita del premio Journalist of the Year dalla Foreign Press Association; mentre il British Press Award l’ha nominata reporter straniero dell’anno nel 2001 e nel 2010. Ma non sono state esclusivamente le qualità professionali a renderla famosa: la personalità era altrettanto degna di nota.

Immediatamente riconoscibile dalla benda nera sull’occhio sinistro, perso a causa delle schegge di una granata esplosa nello Sri Lanka nel 2001, la laureata di Yale era altresì celebre per la sua propensione ad abbinare i reggiseni La Perla e lo smalto rosso con il suo marrone giacca, decorata con le lettere “TV” in nastro argentato. A British Vogue rivelò nel 2004 il timore di diventare uno pseudo-uomo puzzolente ed esausto. Insomma, rivendicava la propria femminilità.

Nonostante le origini statunitensi, Marie Colvin ha trascorso la maggior parte degli anni da adulta vivendo e lavorando nel Regno Unito. Fu lì che sposò Patrick Bishop, allora corrispondente diplomatico per il Sunday Times, testata per cui la stessa Colvin aveva prestato servizio. I due sarebbero convolati a nozze in due occasioni: nel 1989 e di nuovo a inizio anni 2000. Nel frattempo, avrebbe scambiato la promessa d’amore con il collega Juan Carlos Gumucio, corrispondente estero morto tragicamente suicida nel 2002.

Le complicate relazioni sentimentali non erano altro che parte del prezzo per una carriera di reportage sui diseredati. Afflitta dallo stesso disturbo da stress post-traumatico che colpisce molti sopravvissuti alle zone di guerra, Marie Colvin a volte spariva per giorni, soffrendo di paranoie, e a intermittenza cercava aiuto in terapia per riordinare le immagini del suo lavoro che la perseguitavano.

Era peraltro nota per essere una con il vizio dell’alcool. Secondo quanto riportò Vanity Fair, confidò agli amici di non aver intenzione di smettere: quando era sul campo ne faceva a meno. Sempre alle persone care rivelò di volere un bambino, un sogno accantonato successivamente a due aborti. Apprezzata per l’empatia e la dedizione, perse la vita nel 2012, uccisa a Homs in un attacco siriano con il suo fotografo Paul Conroy mentre riferivano della crisi. La famiglia di Marie Colvin crede che l’attacco sia stato specificamente mirato a farla tacere.

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