Jarhead: soundscape e hit della colonna sonora

Ecco una storia. Un uomo spara con un fucile per molti anni e va in guerra. In seguito, restituisce il fucile all’armeria, e pensa che non dovrà mai più usarlo. Ma qualsiasi cosa quell’uomo farà con le mani, amare una donna, costruire una casa, cambiare il pannolino di suo figlio, le sue mani ricorderanno quel fucile.

Jarhead, il film del 2005 diretto da Sam Mendes, con protagonista Jake Gyllenhaal insieme a Jamie Foxx e Peter Sarsgaard, è sempre attuale. La colonna sonora è stata composta da un abituale collaboratore di Mendes, Thomas Newman (per esempio, 007 Spectre), che ha abbandonato i suoi tipici arrangiamenti orchestrali per creare un soundscape di percussioni, chitarre e bassi elettrici, che si rigenerano e si ripetono, fondendosi non solo con il paesaggio e il conflitto, ma anche con l’attitudine di Swofford e dei suoi monologhi che accompagnano varie sequenze nel film. Il ritmo diventa una presenza importante della musica composta da Newman per Jarhead, attraverso un variegato numero di percussioni e strumenti etnici (che risuonano anche in alcune scene nel deserto, dando un sapore musicalmente orientaleggiante): chitarre hawaiane, esraj (una sorta di arpa indiana), hammer dulcimer, banjo vietnamita, cumbus (un banjo turco), xaphoon di Maui, flauto a fischietto, whale drum, crotales (piatti antichi), tamburelli come daire, daf, riq, tamburi tra cui quello scozzese, il doumbek e il cajon. Per questa colonna sonora, più che di accompagnamento si può proprio parlare di soundscape, come nel caso di “Desert storm”:

Se chitarre e percussioni servono a creare lo sfondo sonoro di Jarhead, molto spazio viene dato anche a diversi successi popular, spesso usati in chiave ironica, come “Don’t worry, be happy” di Bobby McFerrin all’inizio del film:

E come non citare la scena in cui Gyllenhaal si presenta per la «prova tromba» e suona con la bocca anche “You are the sunshine of my life”:

Per la sequenza dei primi allenamenti con il sergente maggiore Sykes il tema principale composto da Newman – o forse sarebbe meglio chiamarlo mood – si ripete dando forza e azione alle immagini (rendendo quasi imprescindibile l’ascolto della colonna sonora dal film). Un grande impatto visivo, e soprattutto sonoro, è quello che abbiamo con l’immancabile Cavalcata delle Valchirie mentre i marines guardano Apocalypse Now. Gli influssi musicali orientaleggianti si fanno ben vivi all’arrivo nel deserto, mentre “Bang a gong (Get it on)” dei T. Rex e “Gonna make you sweat (Everybody dance now)” dei C+C Music Factory sono degli azzeccati accompagnamenti durante due divertenti scene di Jarhead:

Arrivano anche i Nirvana con “Something in the way” quando Swoff chiama la sua ragazza (più tardi si sentirà anche “Break on through (To the other side)” dei Doors):

Un’altra scena divertente è quella che si svolge durante la vigilia di Natale, quando i marines cantano “O.P.P.” dei Naughty by Nature (mentre Fergus ascolta il classico natalizio “Grandma got run over by a reindeer”):

Newman porta nella sua colonna sonora un po’ di emozione tangibile con la bellissima scena in cui «abbiamo trasformato l’interno della nostra tenda in un circo. Perché dentro al nostro circo nessuno può ferirci. Dentro al nostro circo, nessuno può toccarci. Ma siamo dei pazzi… a crederci»:

Da lì in avanti tornano le tracce più heavy, in cui questo tema/mood si ripete come un loop, amplificando l’azione che inizia a intravedersi. Ma questi Jarhead non hanno mai ammazzato qualcuno, e la loro guerra finisce con “Fight the power” dei Public Enemy, un momento catartico mentre le mimetiche vengono bruciate:

Tutte le guerre sono diverse. Tutte le guerre sono uguali.

È con queste parole di Swofford che veniamo introdotti al finale di Jarhead, che si fa accompagnare dalla profonda melodia e voce di “Soldier’s things” di Tom Waits:

E i titoli di coda, infine, sono scanditi da “Jesus walks” di Kanye West (We at war with terrorism, racism, and most of all we at war with ourselves):

Un film bellissimo che, anche con la colonna sonora, fa oscillare il significato della guerra, o della non-guerra come in questo caso, trasportandoci con la musica in uno sfondo tangibile, non idealizzato, ma anzi abbassato a un livello che permetta di sdrammatizzare qualcosa che in realtà è ben più serio – qualcosa che ci intrappola nel deserto.