Bastardi a mano armata – Gabriele Albanesi: «È un pugno allo stomaco con effetto catartico»

Conversazione con Gabriele Albanesi sul suo ultimo lavoro Bastardi a mano armata e sulla sua idea di cinema.

Gabriele Albanesi, regista e sceneggiatore romano classe 1978, dopo gli horror Il bosco fuori (2006) e Ubaldo Terzani Horror Show (2010), torna al cinema di genere con un neo-noir dal titolo tanto tarantiniano quanto evocativo di Bastardi a mano armata (qui, per leggere la recensione di Cinematographe): “la storia”, per usare le parole dello stesso regista, “di un regolamento di conti tra tre bastardi in un luogo chiuso“.

Il film, che conta, tra gli altri, sulle interpretazioni di Marco Bocci e Fortunato Cerlino, è ora disponibile per gli abbonati su Sky Primafila Premiere, Apple TV, The Film Club, Rakuten TV, Chili, IoRestoInSala e Google Play. Gabriele Albanesi, raggiunto telefonicamente, ci racconta la genesi del suo crime e la complessità di riferimenti di cui reca traccia. 

Marco Bocci e Peppino Mazzotta in una scena del film

Bastardi a mano armata parla un linguaggio internazionale

Con Bastardi a mano armata, lei ci offre un esempio di cinema adrenalinico che in Italia raccoglie pochi interpreti tanto fra i registi quanto fra gli attori. È un film che parla un linguaggio internazionale e che si regge su un cast anch’esso internazionale: vi è presente, infatti, anche una componente brasiliana. Come è arrivato a questa scelta e come ha lavorato per armonizzare le differenze culturali tra gli attori?

Il film è una co-produzione italo-brasiliana e, per questa ragione, il cast richiedeva la presenza di un ruolo affidato ad attori brasiliani. Quando abbiamo visto Maria Fernanda Cândido ne Il traditore di Bellocchio, film nel quale impersonava la moglie del protagonista Tommaso Buscetta, interpretato da Pierfrancesco Favino, ci è subito sembrata perfetta per il ruolo della mamma. Maria Fernanda è considerata la Sophia Loren brasiliana, è una vera e propria star nel suo Paese. Ma lavora molto anche in Europa, quindi l’abbiamo contattata facilmente e lei ha apprezzato moltissimo la sceneggiatura. Sul set non abbiamo avuto alcun problema, dato che lei parla anche italiano e ha recitato le sue battute in italiano, anche se poi è stata comunque doppiata. Sono molto soddisfatto della sua interpretazione.

Il suo film è un thriller, ma presenta anche elementi splatter e stilemi ascrivibili al noir. Le atmosfere sono cupe, la tensione predomina. La violenza è rappresentata in modo calligrafico, senza alcuna edulcorazione o sublimazione. Questo modo di rappresentare la violenza svolge, secondo lei, anche una funzione catartica per lo spettatore, soprattutto se consideriamo fino a che punto, sullo schermo ma anche all’interno della società, la pulsione aggressiva viene rimossa o rinegoziata, per così dire ‘addomesticata’?

– Un certo estetismo nel modo di rappresentare la violenza fa parte del mio gusto stilistico, mi piace procurare degli shock visivi: per me un film deve essere anche un pugno allo stomaco dello spettatore. Questa del resto è sempre stata la via italiana di fare il cinema di genere: gli italiani come Leone, Argento, Fulci o Di Leo hanno ripreso i generi americani e li hanno rifatti estremizzandone la violenza ed esasperandone gli elementi audiovisivi, come i colori accesi o la musicalità protagonista, ed io come formazione cinefila provengo da questa scuola. Mostrare la violenza in questa maniera estetizzante, per tornare alla domanda, ha sicuramente una valenza catartica. È uno sfogo prima di tutto per me stesso, dato che nella vita soffro molto alla vista del sangue, che mi provoca svenimenti. Il cinema è un modo di esorcizzare le nostre paure. E sì, come dici giustamente tu, oggi c’è invece la tendenza ad appiattire e addomesticare le scene più violente, perché si tende ad essere il più possibile generalisti. Il rischio però è di fare della innocua fiction televisiva, piuttosto che cinema. In questo devo ringraziare il mio produttore Gianluca Curti che mi ha difeso fino alla fine, salvaguardando l’integrità del film.

Mostrare la violenza in questa maniera estetizzante ha sicuramente una valenza catartica. È uno sfogo prima di tutto per me stesso, dato che nella vita soffro molto alla vista del sangue, che mi provoca svenimenti. Il cinema è un modo di esorcizzare le nostre paure.

Un ritratto degli adolescenti di oggi

Un personaggio che colpisce è quello di Fiore, un’adolescente-ninfetta, una lolita che catalizza su di sé le attenzioni, alcune più nobili, altre più opache, degli adulti che le gravitano attorno: il patrigno, Diotallevi (ex detenuto nelle carceri algerine liberato per compiere una missione per conto di un misterioso mandante), il gangster Caligola che irrompe sulla scena a circa metà film. Quello di Fiore è un personaggio ambivalente. Nello scriverlo ha pensato agli adolescenti d’oggi, magari intendendo proporre una lettura particolare dell’adolescenza come stagione della vita e del modo in cui gli adulti vi si rapportano?

Nel personaggio di Fiore non c’è alcuna velleità o ambizione sociologica nel voler raccontare il mondo dei giovani. Mi sono semplicemente ispirato alle adolescenti di oggi che si possono vedere su Instagram o su Tik Tok, molto narcisiste ed esibizioniste, probabilmente un modo per camuffare le proprie fragilità e insicurezze. Il suo personaggio, nelle mie intenzioni, voleva essere soprattutto una reinterpretazione dell’archetipo della femme fatale del cinema noir. Lei infatti è al centro del triangolo composto dai personaggi maschili, catalizza le loro attenzioni e per alcuni rappresenta una vera e propria ossessione. Con il personaggio di Fiore riprendo, infatti, anche il motivo del doppio e della “donna che visse due volte”, tipico del cinema e della letteratura noir.

Amanda Campana interpreta Fiore

Bastardi a mano armata è un film molto compatto. Come ne ha concepito la struttura? 

La struttura del film è divisa in due parti ben distinte: ad una prima parte di atmosfera e tensione segue una seconda parte dove esplodono gli scontri e la mattanza tra i personaggi. La prima parte è rock, la seconda heavy metal. Nel mezzo c’è un forte colpo di scena che decreta il ribaltamento anche stilistico. Nonostante questo il film non è schizofrenico, perché la struttura narrativa si snoda secondo una logica coesa.

La prima parte del film è rock, la seconda heavy metal

Bastardi a mano armata e il senso di Albanesi per il cinema

In epoca di confinamenti imposti, in cui tutti siamo portati a riflettere sul rapporto tra interno ed esterno, il suo è un film decisamente claustrofobico. È un caso?

Il cinema che più mi piace è quello claustrofobico e concentrato in luoghi chiusi. Non a caso tra i miei registi preferiti ci sono Polanski, famoso per i suoi kammerspiel (Il coltello nell’acqua, Cul de Sac, La morte e la fanciulla), Hithcock (Nodo alla gola, La finestra sul cortile), lo stesso Tarantino (Le Iene, Hateful Eight).  Anche i miei due film precedenti avevano questa struttura. Bastardi a mano armata riprende le atmosfere del thriller da camera e del gioco al massacro: in fondo la storia è un regolamento di conti tra tre bastardi in un luogo chiuso. Mi piacerebbe però, per il prossimo film, realizzare una narrazione di più ampio respiro, pur rimanendo sempre nel genere noir, che intendo continuare ad esplorare. 

Quale voce si riconosce tra i registi di genere suoi contemporanei?

Come dicevo penso di inserirmi nella tradizione dei registi di genere italiani, cercando però di portare nel genere un discorso riconoscibile, come erano riusciti a fare i vari Leone, Argento e lo stesso Di Leo. Non mi identifico negli “shooters”, ovvero i registi mestieranti che sono abili a confezionare ma privi di una visione. Pensando ai contemporanei, Bastardi a mano armata può essere inserito nella corrente del cinema cosidetto neo-noir, che aggiorna il genere con i codici e gli stilemi del presente.