Venezia 75 – Yuva: recensione del film di Emre Yeksan

Yuva è sicuramente uno dei film più atipici e originali di Venezia 75.

Protagonista di Yuva è Veysel (Kutay Sandikçi), un vagabondo dei boschi, un paria, un uomo che ha scelto di lasciarsi la civiltà alle spalle, di vivere in totale simbiosi con una natura nella quale trova rifugio, senso del quotidiano, allontanando da sé tutto ciò che appartiene al mondo tecnologico del terzo millennio, o quasi.
Le sue giornate sono scandite dal procurarsi il cibo, badare alla foresta che gli sta attorno, prendersi cura della propria ormai poco “civilizzata” persona e di una fedele cagna che lo segue ovunque vada e che è l’unica amica che ha al mondo (o che sembra di voler nel suo mondo).
A cercare di strapparlo da quell’esistenza strana, semi-preistorica e apparentemente precaria arriva il fratello più giovane Hasan (Eray Cezayilioglu), deciso a riportarlo nel mondo civilizzato, quello stesso mondo civilizzato che manda di continuo misteriosi uomini armati a seguirne le tracce, a meditarne forse l’eliminazione allo stesso modo in cui vengono eliminati animali, alberi e tutto ciò che intralcia il “progresso” umano.

Yuva: il cinema allegorico di Emre Yeksan

Diretto da Emre Yeksan, già regista di The Gulf, Yuva è un film difficile, che vive di una propria luce, di un proprio ritmo, assolutamente distanti dalla fruizione cinematografica a cui il pubblico moderno si è abituato e che conferma la tendenza del giovane regista turco nel vedere il cinema come metafora, allegoria, come fiaba oscura nella quale riversare una personale visione del mondo, della società e soprattutto del tormentato rapporto tra uomo e natura, uomo ed esistenza.

Yuva ne conferma in toto pregi e anche difetti. Tuttavia non si può certamente nascondere che la regia di Yeksan non sia priva di una visionaria energia, di uno stile personale a metà tra la persistenze e fluida sperimentazione e la costanza di uno stile che sa ciò che vuole e come ottenerlo.
La macchina da presa ci guida in un mondo dove il silenzio è rotto solo dai rumori di una natura onnipresente e allo stesso tempo discreta, che è scevra dell’ostilità opprimente sovente vista nelle opere di un Alejandro González Iñárritu o della filosofica anima metafisica di Terrence Malick.
Qui c’è la natura e basta, semplice, eterna, discreta quasi, dentro cui l’umanità muove dei passi che essa osserva quasi con noncuranza, all’interno di un racconto che dal realistico, anzi iper realistico, poi muta in qualcosa di diverso, di fiabesco, oscuro e trascendente.

Yuva e l’essere umano, sempre in bilico tra la sua anima civilizzata e quella selvaggia

Yuva Cinematographe.it

Certo, non sempre con efficacia, nonostante l’ottima prova attoriale di Sandikçi e Cezayirlioglu, sempre ispirati, sempre credibili e convincenti nel donarci una metafora abbastanza chiara delle due anime dell’uomo: quella civilizzata, evanescente, incosapevolmente avvolta di una forza solo apparente, contrapposta a quella più selvaggia, elementare, schiva ma allo stesso tempo più vera e viscerale di chi ha rinnegato la “civiltà”.
Una civiltà che qui è mostro invisibile, che si mostra con echi sonori e portatrice di morte mediante modalità che sicuramente avrebbero strappato un segno d’approvazione a Michael Ende.
Ma Yuva non sempre gestisce bene i passaggi (o non passaggi) tra una fase e l’altra, tra un registro naturalistico, realista pur se colmo di allegorie e metafore da una parte, e quello più fiabesco ed estraniante dall’altra.
Se tale risultato sia voluto o meno, rimane un mistero, ma di certo non si può accusare Yeksan di mancanza di coerenza, visto che avevo fatto lo stesso nei suoi due precedenti lavori.

Il finale poi appare in un certo senso eccessivo, quasi frettoloso, ma nel complesso non si può negare che il regista turco non abbia dimostrato anche qui la sua grande abilità nel creare sequenze e dialoghi tutt’altro che maldestri, nel saper catturare l’attenzione dello spettatore a fronte di una notevole difficoltà alla base della fruizione di un film così particolare.

Colmo di riferimenti alla mitologia greca e a quella cristiana dell’antico testamento, portatore di un messaggio di disprezzo per l’uomo come essere sociale (ma non come essere vivente), Yuva è sicuramente uno dei film più atipici e originali di una rassegna che, anche grazie a questo film, si conferma sempre più amica della sperimentazione, della volontà di parlare non solo alla pancia ma anche alla mente del pubblico, preservando il cinema come arte a dispetto di chi, dall’altra parte dell’oceano, lo vuole come pop corn ambulante.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 3

3.3