Yara: recensione del film di Marco Tullio Giordana

Yara prova a ricostruire la discussa indagine che ha portato all'identificazione dell'assassino della tredicenne di Brembate di Sopra e a spiegare bene il percorso intricato alla ricerca della verità.

26 novembre 2010. È un giorno qualunque quando Yara scompare nel nulla. Lei è una ragazzina come tante, ha tredici anni, tanti sogni e speranze, ama la ginnastica artistica, la sua famiglia e confida ogni cosa alle pagine del suo diario. Quel maledetto pomeriggio chiede il permesso ai genitori di portare in palestra lo stereo: le solite raccomandazioni che tutti i genitori fanno ma le viene concesso, la palestra è vicino casa, pochi minuti e sarebbe stata di ritorno. Nella tranquilla provincia di Bergamo, fredda e innevata, la ragazzina cammina da sola, va e poco dopo si incammina per tornare come aveva promesso alla mamma, l’ha fatto tante volte, lì tutti si conoscono, non c’è nessuna paura. Poi il rumore di un veicolo, i fari illuminano la strada, qualcuno l’affianca. La ragazzina sparisce e verrà ritrovata tre mesi dopo: il 26 febbraio 2011 il suo corpo riemerge dall’oscurità.

Racconta una delle storie più tristi e drammatiche degli ultimi anni Yara, il film Netflix, uscito il 5 novembre 2021, per la regia di Marco Tullio Giordana che prova a ricostruire la discussa indagine che ha portato all’identificazione di Ignoto 1, l’assassino della giovane, e a spiegare bene il percorso intricato alla ricerca della verità.

Yara: la storia di una sparizione dolorosa

“Noi vi chiediamo: ridateci nostra figlia”

Yara Gambirasio è stata la figlia, l’amica, la sorella, la nipote di tutti, la vicenda che ha riguardato lei e la sua famiglia ha toccato l’intera opinione pubblica; è sempre difficile portare al cinema storie come questa perché c’è qualcosa destinato a stridere, ad apparire è fuori sincro, una discronia che ferisce come le lame dei coltelli che si urtano con un gemito acuto o come le unghie sulla lavagna. Tullio Giordana lo fa capire fin dai primi minuti: comincia con il ritrovamento del cadavere per poi tornare indietro, mostrare Yara prima della scomparsa, lei in famiglia, lei che cammina, il furgone bianco che le si avvicina. Non si tratta di una favola ma di un incubo che ha squarciato il mondo di una famiglia qualunque, di una comunità come tante. Insomma il regista vuole mostrare la rottura della normalità, l’inciampo che cambia tutte le coordinate. La giovane non si trova, che fare? Dove cercarla? Chi l’ha presa? Domande che trapanano il cervello, che si insinuano nelle famiglie, che modificano il modus vivendi di un’intera comunità.

I genitori sono distrutti, chiusi in un silenzioso e drammatico torpore, attendono notizie ogni giorno, fino alla telefonata che la Pm Letizia Ruggeri (Isabella Ragonese) fa loro, in cui dà la difficile e dolorosa notizia: Yara è morta. Ruggeri indaga sul caso, analizza tutte le piste possibili, non solo in quanto Pm ma anche in quanto madre. Il suo lavoro è molto più difficile del solito, c’è la pressione dell’opinione pubblica, della stampa, della politica, in particolare di un senatore locale che tenta di dare la colpa ad uno straniero; ogni cosa è più facile se il nemico è fuori, non dentro. Dopo una lunga e complessa ricerca di un DNA corrispondente alle tracce trovate sul corpo della vittima, viene fuori un nome: Massimo Bossetti, un muratore che vive lì, conosce il padre della tredicenne, abita quelle strade, ha una famiglia.

La Pm di Isabella Ragonese racconta l’umanità dietro al suo ruolo

Elemento fondamentale nella storia che dovrebbe essere un valore aggiunto è la Pm Ruggeri, da una parte la professionista che vuole risolvere il caso, dall’altra la donna, una madre che sente sulla pelle, nel cuore, il dramma dei genitori di Yara come fosse il suo. Giordana decide di entrare in casa della Ruggeri, ne indaga le paure, che sono poi quelle in cui si ritrova chi guarda e chi ha vissuto quella tensione post sparizione della vittima, lo spettatore vede e percepisce la sua umanità: lei che guarda la figlia dormire, che la rincuora mentre le chiede se c’è un orco cattivo di cui aver timore, che spaventata corre a cercare la bambina terrorizzata di essere l’ennesima madre privata della propria creatura. Lo sguardo amorevole, preoccupato e disperato della Pm si sovrappone a quello della madre di Yara e al nostro. Diventa anche il racconto di una lotta tra polizia e carabinieri che si sfidano sul campo per puntare il dito sugli errori degli altri e rivendicare le proprie “vittorie”.

Si mescolano quindi la tensione amorosa di chi vuole ritrovare Yara prima, scoprire la verità poi, e  la deviazione thriller che si basa sullo studio certosino dei fatti, sulle carte e anche sulle parole di Bossetti che, nonostante le condanne, continua a proclamarsi innocente. Il film Netflix risulta però un’opera piatta che si appoggia sugli attori, a cominciare dalla Ragonese, da Alessio Boni nei panni del colonnello Vitale, Chiara Bono che interpreta Yara. Si tratta di un film che manca di impeto e veemenza, di vicinanza profonda

Un film fin troppo didascalico

Yara_Cinematographe.it

Marco Tullio Giordana porta al cinema un altro delitto, ricostruisce passo per passo, tappa per tappa, uno dei fatti di cronaca nera più dolorosi della storia italiana ma a tratti fa avvertire al pubblico un’eccessiva freddezza.

Il film è fin troppo asciutto e documentaristico, Tullio Giordana sceglie di costruire la narrazione in maniera didascalica senza alcun volo pindarico, lo stampo non a caso è quello Taodue di Pietro Valsecchi che produce un certo tipo di opere, lavorando su cronaca nera e legal drama.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.5

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