Venezia 75 – What You Gonna Do When the World’s On Fire?: recensione

What You Gonna Do When the World's On Fire? parte da un fatto di cronaca nera per dar voce alla comunità afroamericana.

Il regista italiano Roberto Minervini concorre nella selezione ufficiale della 75ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia con il documentario What You Gonna Do When the World’s On Fire?, co-produzione tra Italia, Stati Uniti e Francia, che indaga le disuguaglianze di classe e il fenomeno razziale – a danno degli afroamericani – che negli ultimi anni hanno devastato il Paese a stelle e strisce.

Rigorosamente in lingua inglese e con la scelta un po’ insolita di usare il bianco e nero al posto dei semplici colori – probabilmente non solo per offrire un tocco più artistico, ma anche come metafora del lutto vissuto nelle comunità afroamericane analizzate e intervistate nel corso del documentario – What You Gonna Do When the World’s On Fire? conduce gli spettatori nei quartieri afroamericani più off-limits, puntando l’attenzione su tre distinti episodi che si alternano vicendevolmente nel corso della narrazione.

In What You Gonna Do When the World’s On Fire? la comunità afroamericana insorge contro le questioni razziali e le disuguaglianze sociali

What You Gonna Do When the World's On Fire? Cinematographe

Il filo conduttore, che lega le tre storyline, è la serie di omicidi di persone di colore negli Stati Uniti, che ha sconvolto la comunità afroamericana, stufa di continuare a essere sfruttata e denigrata dai bianchi. In particolare, l’elemento scatenante le rivolte della comunità è l’assassinio di Alton Sterling, l’uomo a cui dei poliziotti bianchi di Baton Rouge hanno sparato nel 2016. Negli anni più recenti, e soprattutto adesso con la Presidenza di Donald Trump, ci sono stati innumerevoli casi di omicidio di afroamericani, perpetrati spesso dalle autorità senza un reale motivo.

La prima vicenda si focalizza sulla vita di due fratellini, la cui madre preoccupata raccomanda loro di uscire soltanto durante il giorno e di rincasare non appena vengono accesi i lampioni per le strade, timorosa che i propri figli possano rimanere vittima di uno dei frequenti casi di omicidi che tormentano la zona. La seconda presenta una donna di colore forte e tenace che, dopo aver vissuto in gioventù dei veri e propri orrori – dagli stupri subiti anche in famiglia allo spaccio e assunzione di droghe – lotta per un pieno riconoscimento dei diritti civili della propria comunità. La terza storyline, invece, vede in prima linea i Black Panthers, impegnati in una manifestazione contro la polizia e le istituzioni, incapaci di far fronte alle suddette brutalità. Tutte storie che hanno come obiettivo quello di dar voce ai veri protagonisti vittime di razzismo e soprusi. Non tanto nella vicenda dei due bambini, quanto maggiormente nelle altre due, le persone sono animate da un forte senso di rabbia, che cela però anche una cospicua dose di paura.

What You Gonna Do When the World’s On Fire? avrebbe dovuto essere più diretto e incisivo in minor tempo

What You Gonna Do When the World's On Fire? Cinematographe

La macchina da presa entra garbatamente nella vita di queste persone, seguendole come un cagnolino fedele, tentando di registrare ogni loro sensazione e sentimento inerenti ai nefasti crimini della polizia. Con questo documentario, Minervini riesce finalmente a dare la possibilità alla comunità afroamericana di esprimere la propria opinione, e di denunciare le azioni dei bianchi, permettendo di far assumere al pubblico un punto di vista diverso rispetto a quello a cui è abituato solitamente (no quello dei telegiornali, notiziari e autorità, ma quello delle minoranze).

Lo scopo di Minervini è, indubbiamente, quello di sensibilizzare maggiormente istituzioni e opinione pubblica, informando adeguatamente sull’attuale condizione degli afroamericani negli States. A livello prettamente sociale il messaggio viene trasmesso chiaramente, ma da un punto di vista cinematografico rischia di perdersi a causa della sua troppa ridondanza. Troppa voglia di dire rischia di far cadere il vortice di innumerevoli parole e argomentazioni nel dimenticatoio, con la sensazione di aver appreso tutto o niente. Probabilmente, se il documentario avesse avuto una durata leggermente minore, e la stessa questione non fosse stata ripetuta più e più volte – rischiando anche di far inceppare il normale scorrimento del film – il tutto sarebbe stato più incisivo e diretto.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

2.8