Venezia 80 – Vermin: recensione del film di Sébastien Vaniček

La recensione di Vermin, il film di Sebastien Vanicek presentato a Venezia 80 a chiusura della Settimana Internazionale della Critica.

La paura è un argomento intorno a cui il cinema ha molto lavorato. Paura del fuori, del dentro. Dei mostri, delle persone. Vermin, evento speciale, film di chiusura della Settimana Internazionale della Critica, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, di Sébastien Vaniček è un film che lavora proprio sul terrore che diventa metafora per raccontare qualcosa d’altro. L’opera di Vaniček è un horror ambientato in Francia in cui gli attori dividono la scena con ragni, enormi, giganteschi, voraci.

Vermin: quando i ragni fanno davvero paura

Kaleb è solo più che mai, passa il tempo a vendere scarpe Nike e a causa di una battaglia legale è ai ferri corti con la sorella e con tutte le persone a lui care, torna un giorno a casa con un ragno velenoso, sua grande passione. Nel momento in cui scopre che il ragno è scomparso qualcosa di terribile accade nell’edificio in cui vive. La paura monta di minuto in minuto, i ragni si fanno sempre più “prepotenti” e presenti, sempre più grandi, la tensione si taglia con il coltello ma non c’è nulla di scontato nel film di Vaniček. Vermin, debutto di Sébastien Vaniček come regista di lungometraggio, prima aveva diretto solo corti, molto apprezzati, come Mayday, è ambientato in un quartiere parigino povero, gettato nel caos a causa dell’invasione di ragni velenosi.

Kaleb e i suoi compagni dovranno fare di tutto per resistere e sopravvivere. Dopo che la zona viene messa in lock down il film segue i protagonisti che dovranno vivere a contatto con il proprio nemico, il ragno, e solo unendosi e fidandosi gli uni degli altri e delle proprie capacità, potranno salvarsi. A quel terribile animale basta un attimo per scappare dalla scatola in cui Kaleb l’aveva riposto per trovargli una dimora migliore, e riprodursi spaventosamente, trasformando il luogo che per lui e gli altri era casa in una terribile trappola. Nel frattempo il mondo fuori, spaventato li allontana, la polizia blocca l’edificio, chiude all’interno di quattro mura il diverso, ciò che terrorizza e che potrebbe essere nocivo.

Quella casa che prima era luogo in cui ci si sentiva protetti, ora diventa gabbia da cui fuggire e, di volta in volta, chi era parte della famiglia si fa untore che potrebbe infettare. La sensazione è ansiogena e sembra di partecipare ad un videogioco claustrofobico in cui le stanze diventano dark room dove non si può più entrare.

Un racconto tra capitalismo e banlieue

Vermin, lo si evince da ogni minuto, è un progetto molto personale, in grado di dipingere una situazione ed un pezzo di umanità. La periferia francese qui rappresentata è fotografata in un modo vero, sincero, lontano dalle caricature, la solitudine, la sensazione di essere “rifiuti” della società, ai margini di un “universo” civilizzato e “giusto”, è molto presente. I ragni che infestano quella casa sono metafora della minaccia neocapitalista nelle banlieue parigine, i protagonisti sono ragazzi che per sopravvivere, per riuscire a sbarcare il lunario rivendono al mercato le scarpe Nike, un oggetto che tutti, anche se non hanno denaro, vogliono possedere. Non è un caso dunque che i ragni escano proprio da quelle scatole, piccoli oggetti “di lusso” che sono “incubatrici” di creature malefiche che ammalano tutti gli abitanti di quell’edificio. La luce, gli spazi, tutto si fa più oscuro e angusto, mentre i ragni sono sempre più grandi e orrorifici e Kaleb è eroe spaventato ma anche coraggioso di questo piccolo mondo.

Conclusioni e valutazioni

Vermin è un ottimo lungometraggio, un’opera prima che fa tremare i polsi e si fa allegoria di un racconto sociale molto più profondo. Kaleb è un ragazzo come tanti, nato in un contesto che potrebbe essere definito difficile, è uno di coloro che sogna le scarpe alla moda, una vita più semplice e di continuare a coltivare la sua passione, collezionare animale esotici, il protagonista è il simbolo di molti ragazzi come lui che nelle periferie più difficili sognano, sperano, tentano di sbarcare il lunario e nel frattempo vengono smangiati da ciò che ruota loro attorno – in questo caso i ragni. 

Sébastien Vaniček realizza, riprendendo il topos già usato nel cinema, un film interessante e inquietante che con sguardo speciale lavora sulla paura e sul racconto dell’oggi, l’opera, con effetti visivi mozzafiato ed una direzione ambiziosa, mette in campo tematiche importanti attraverso una delle fobie più diffuse.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 3.5

3.9