Venezia 78 – Reflection: recensione del film di Valentyn Vasyanovych

Presentato in concorso nella 78ma edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Reflection è la storia di un padre e di un'umanità persa, sperata, ritrovata.

Il germe di fantasia in Reflection, l’opera di Valentyn Vasyanovych presentata in concorso durante la 78ma edizione della Mostra, è autenticamente tratto dalla vita dello stesso regista: ispirato da un piccione, schiantatosi ad alta velocità contro la finestra della sua casa, Vasyanovych ha tradotto il presagio funesto in un dramma narrativo, condensando in immagini prolisse e realisticamente algide l’orrore della guerra, la brutalità del conflitto orientale e, in parallelo, il dramma familiare del protagonista. L’avvenimento ha scosso la figlia del regista al punto da indurre entrambi a riflettere (da questo, Reflection) sul senso della vita, sulla sua caducità, l’irreversibilità degli eventi e l’attesa di una flebile resurrezione. La morte, attraverso gli occhi di una bambina di dieci anni, ha spinto il regista ad interrogarsi sulla relazione tra un padre e la figlia, racchiusi – complici – nel dolore per la perdita di una persona amata.

Con Roman Lutskyi, Nika Myslytska, Nadia Levchenko, Andriy Rymaruk, Ihor Shulha, Vidblysk – Reflection è prodotto da Iya Myslytska e Valentyn Vasyanovych della Arsenal Films con la collaborazione di Vladimir Yatsenko e Anna Sobolevska di Forefilms.

Roman Lutskyi è il chirurgo Serhiy in Reflection, l’ultimo film di Valentyn Vasyanovych

Ucraina orientale. Il chirurgo Serhiy (Roman Lutskyi) è ostaggio delle forze militari russe durante la guerra. Costretto a sopportare torture, umiliazioni e violenza, una volta rilasciato torna nel suo appartamento nella speranza di ritrovare un obiettivo di vita. Ad orientare le forze di Serhiy, il rapporto compromesso con l’ex moglie e la figlia, con cui cerca disperatamente e con fatica di recuperare il tempo trascorso a distanza. Come antidoto alla brutale disumanità cui ha assistito in zona di guerra, il chirurgo cura gli affetti familiari, ritrova l’umanità perduta attraverso l’amore ed il sostegno di chi è pronto a condividere i suoi silenzi.

La guerra, la morte, l’infanzia: dagli occhi di una bambina, il significato universale della perdita

La regia di Valentyn Vasyanovych agisce in sottrazione: inquadrature fisse, flemmatici piano-sequenza, movimenti di macchina dosati e impercettibili restituiscono all’opera una fisionomia statica che raramente attecchisce nelle profondità emotive dello spettatore. Il cineasta ucraino talvolta si lascia domare dalla necessità di dinamismo, ponendo la camera all’interno di un veicolo in movimento o intenta a seguire il protagonista attraverso le stanze della tortura. Un paradosso, se si parte dall’assunto che a muovere l’intera trama del dramma sia il confronto con la morte attraverso gli occhi di una bambina: nella cornice di un contrasto tra l’agiatezza della quotidianità in un quartiere residenziale borghese e gli orrori della guerra sul fronte orientale della Crimea, la giovane si trova coinvolta in un percorso di elaborazione del lutto nel quale ad aiutarla c’è solo un adulto, un padre lontano che torna per consolidare il rapporto con la figlia. In Reflection Serhiy è inquadrato sempre da lontano, all’interno di una cornice che ne sottolinea il vuoto esistenziale contrapposto al grigiore di una quotidianità vissuta retrospettivamente: il film di Vasyanovych vive di contrasti, riscattandosi nell’atto finale con una regia più inclusiva fatta di primi piani caldi, esplicitazione di una resurrezione in via di definizione.

Se l’intento di Vasyanovych era quello di rappresentare la fissità della vita, tradurlo con un sostanziale immobilismo di camera è stata una scelta sensata e vincente. Il cineasta opta per una traduzione in immagini senza veli né filtri, rincuorando lo spettatore a distanza di sicurezza con uno sguardo indagatore riflessivo e artico. Per evitare di influenzare l’occhio di chi guarda, il regista opta per la totale assenza di sonoro, un meccanismo strategico atto a marcare – nei passaggi stranianti – il naturalismo del dramma in atto.

Al contrario, la caratura del dramma e la delicatezza delle tematiche affrontate avrebbero necessitato di un coinvolgimento più attivo e sentito di quello che Reflection suscita negli occhi di chi guarda. La simmetria del regista non basta ad avverare un prodotto convincente, che seppur dotato di un’estrema raffinatezza formale e compositiva pecca del tutto sul lato umano ed emotivo, dominato da angusti spazi vuoti e sentimenti aridi, culla della più apatica indifferenza.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 1.5
Sonoro - 2
Emozione - 1.5

2.3