Venezia 75 – Una Storia Senza Nome: recensione

La recensione di Una Storia Senza Nome, il film di Roberto Andò con Alessandro Gassmann, Micaela Ramazzotti, Renato Carpentieri.

La notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo, a Palermo, fu trafugato uno dei quadri più belli di Caravaggio: Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi. Ancora oggi si ignora che fine abbia fatto, ma in molti vedono nel suo destino la mano della mafia, in particolare del Boss Badalamenti, che forse l’avrebbe venduta all’estero. Comunque sia, il furto e la sparizione dell’opera rimangono uno dei misteri più dolorosi della nostra storia artistica.
Da quel lontano fatto del ’69, il regista Roberto Andò (Viva la Libertà e Le Confessioni all’Attivo) ha tratto lo spunto per Una Storia Senza Nome, con una sceneggiatura scritta dallo stesso Andò con Angelo Pasquini e Giacomo Bendotti. La fotografia è di Maurizio Calvesi, il montaggio di Esmeralda Calabria mentre la colonna sonora è stata composta da Marco Betta.

Una Storia Senza Nome: un film caotico e confusionario

Una Storia Senza Nome vede protagonista la timida, insicura ma curiosa Valeria (Micaela Ramazzotti), segretaria di uno studio di produzione del Direttor Vitelli (Antonio Catania), nel quale da poco è entrato in qualità di socio il nobile Diego Spadafara (Gaetano Bruno). Tutti sono in fibrillazione per la nuova sceneggiatura del pluripremiato e corteggiatissimo Alessandro (Alessandro Gassmann).
In realtà, però, a scrivere la sceneggiatura (anzi le sceneggiature) del narciso sceneggiatore un po’ donnaiolo un po’ eterno ragazzino è proprio Valeria, innamorata ma non al punto di farlo gratis. Valeria, che vive con la madre Amelia (Laura Morante) viene contatta da un misterioso signore dai modi determinati ma cortesi (Renato Carpentieri), interessato a darle una storia sensazionale per il nuovo film di Alessandro.
Peccato però che la storia in realtà sia quella del furto della Natività dei Santi di Caravaggio avvenuta nel 1969 e che il riaffiorare di quell’evento, in quel preciso momento, dia il via ad una serie di imprevedibili sviluppi che riporteranno a galla vecchi segreti oscuri e metteranno Valeria al centro di un intricato dedalo di misteri.

Recensire Una Storia Senza Nome è alquanto semplice. Probabilmente si tratta non solo del film più scialbo, mal fatto e senza costrutto visto quest’anno alla Biennale: Una Storia Senza Nome non è semplicemente un film non a livello della Mostra di Venezia, è un qualcosa che con la lunga e gloriosa tradizione di questa rassegna non ha assolutamente nulla a che spartire.
La sceneggiatura di Andò e soci è qualcosa di assolutamente caotico, confusionario, il regno dei deja vu, del citazionismo sparso a caso, che non diventa omaggio rispettoso e costruttivo, ma escamotage narrativo, pezza usata per coprire la mancanza di fantasia, idee e inventiva. In generale il film di Andò non appassiona, non diverte, non intriga, non sorprende… insomma non fa nulla di quello che (con i frequenti cambi di atmosfera e ambiente) si prefigge.

Una Storia Senza Nome: Carpentieri dà una marcia in più al cast

Una Storia Senza Nome cinematographe.it

Di base il problema risiede nella sceneggiatura, che strizza l’occhio in modo incomprensibile a certe commedie francesi di cui però non ha né il garbo, lo charme e la simpatia. Tanto meno il buongusto.
Qui emerge un mix di citazioni prese da True Lies, Piazza delle Cinque Lune, frasi prese dai grandi classici italiani anni ’60, Hitchcock, Tarantino e chi più ne ha più ne metta; il tutto senza un perché, senza una reale motivazione alla base, se non una quasi infantile voglia di stupire, di emergere a qualsiasi costo.
Peccato che oltre a questo vi sia poco di memorabile o tangibile, in una sceneggiatura priva di sorprese ma non conscia del problema e che anzi, quasi si bea delle trovate ed idee che non danno né tolgono nulla al tessuto narrativo.
Non va molto meglio anche con le interpretazioni di un cast mal diretto e mal impostato, con la coppia madre-figlia Morante-Ramazzotti francamente risibile e priva di ogni chimica e senso.
Gassman limita i danni interpretando l’ennesimo scapolone sbarazzino un po’ canaglia un po’ no, già visto e rivisto mille altre volte; chi invece si salva è il sempre charmante Carpentieri, che se non altro dona al suo investigatore attempato eleganza, stile ad un personaggio ottimamente calibrato. Bene anche Gaetano Bruno, che però più di tanto spazio non ne ha e di certo assieme a Carpentieri non può salvare l’insalvabile.

Una Storia Senza Nome: una bella colonna sonora e una fotografia efficace

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Micaela Ramazzotti cerca di basare il tutto su un’adattabilità che però è abbastanza effimera, di certo insufficiente a caratterizzare un personaggio femminile sterile, noiosetto, pure un po’ insopportabile nel suo vittimismo pedante e stucchevole.
Ma lo ripetiamo, il problema più che il cast è da ricerca nella sceneggiatura carente di coerenza, di passione, con dialoghi bolsi e scene francamente ridicole, il tutto poi annacquato, reso innocuo da un’incapacità ad andare fino in fondo, a osare sul serio.
La regia riesce persino nell’impresa di rendere statiche e noiose quelle poche scene che potrebbero dare un’emozione, una risata o un palpito al pubblico, sprecando una bella colonna sonora e una fotografia efficace.

Una Storia Senza Nome, confrontata alle altre piccole o grandi pellicole viste in questa rassegna, non può nemmeno rivendicare il coraggio di una visione o di uno sforzo, la volontà di raccontare in modo diverso o più originale una storia.
Più che Una Storia Senza Nome il film di Andò, più adatto ad un palinsesto televisivo estivo che alla laguna veneziana, andava intitolato Una Storia Senza Anima.

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 3
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.2