Una sconosciuta a Tunisi: recensione del film di Mehdi Barsaoui

Personale e politico, Una sconosciuta a Tunisi è la seconda regia del tunisino Mehdi Barsaoui. Dopo il passaggio a Venezia 2024 l'arrivo in sala è previsto per il 24 luglio 2025.

C’era già stato l’apprezzato (e premiato) esordio con Un figlio (2019), ora il regista tunisino Mehdi Barsaoui ritorna nelle sale italiane, dopo un passaggio in concorso a Venezia 2024 – sezione Orizzonti – con Una sconosciuta a Tunisi, il 24 luglio 2025 per I Wonder Pictures. Il film è il secondo lungometraggio per Barsaoui – oltre al fortunato debutto vanno ricordati anche tre corti – ha per protagonisti i bravi Fatma Sfar e Nidhal Saadi e colpisce per la sua natura stratificata, densa, eterogenea. Non è solo (!) la storia di una donna e della sua lotta per una completa emancipazione, spirituale e materiale. È anche la fotografia delle storture e della misoginia di un mondo tradizionalista che lentamente si apre alla modernità, e una cronaca degli abusi e della corruzione strutturale delle istituzioni. Il mantra in questi casi è: nel film c’è tanto, probabilmente troppo, e gestirlo non è facile. Dopo un inizio promettente, Una sconosciuta a Tunisi si disunisce aprendosi a un numero forse esagerato (per le sue possibilità) di strade, per ritrovare lucidità e coerenza solo sul finale. Così è; il mantra però prosegue: ci potrà essere tanto nel film, forse troppo, ma quel troppo merita attenzione. Non è per nulla trascurabile.

Una sconosciuta a Tunisi: tre donne in una

Una sconosciuta a Tunisi; cinematographe.it

Aya, Amira e poi Aïcha (è il titolo originale, che in arabo, parola di regista, significa “vivo”). Tre donne in una, e Una sconosciuta a Tunisi è la storia di come Aya, attraverso successive “riscritture” della propria vita e della propria identità, cerchi e trovi se stessa. Mehdi Barsaoui scrive e dirige il film dilatando uno spunto di vita vissuta nella Tunisia post 2011, la fragile Tunisia che transita verso la democrazia dopo la Rivoluzione dei Gelsomini del 2011 e la fine della pluridecennale dittatura di Ben Ali. Aya (Fatma Sfar) vive a Tozeur con la famiglia e non è felice. Come potrebbe? La sua non è vita, è mera sopravvivenza.

Lavora nel settore del turismo, in un hotel, guadagna poco, ha una relazione con un collega che, nonostante le promesse, per lei non lascerà mai la moglie. I genitori, saldamente ancorati alla tradizione, si preoccupano di trovarle un buon partito senza curarsi dei suoi desideri. L’imprevisto – ecco lo spunto da cui Mehdi Barsaoui costruisce l’articolata impalcatura del film – è in agguato. Il minivan che porta Aya e colleghi al lavoro finisce fuori strada. Muoiono tutti tranne lei, ma è l’unica a saperlo; il resto del paese la crede morta e Aya coltiva con cura l’equivoco. Se ne va a Tunisi, con una nuova traballante identità – ora si chiama Amira – per costruirsi un’altra vita, migliore della precedente.

È a questo punto che Una sconosciuta a Tunisi sterza violentemente dalle premesse – un processo di ricerca di sé e di liberazione dal cappio misogino e patriarcale – per essere anche altro. Aya-Amira trova posto a casa di Lobna (Yasmine Dimassi), una donna gentile e premurosa, per quanto le apparenze possano ingannare. Fa amicizia con Hela (Hela Ayed), che ha una panetteria di fronte casa e ai suoi occhi rappresenta la promessa di una vita diversa: meno appariscente, più reale di quella che vive con Lobna. Succede che Amira conosce Rafik (Mohamed Ali Ben Jemaa), mafiosetto locale e amico di Lobna. Succede che una sera, in un locale, si verifica un terribile incidente. Amira potrebbe testimoniare, c’è stato un abuso di potere da parte della polizia, ma è riluttante a farlo, perché la costringerebbe a svelare la sua identità. Chi vorrebbe vederla testimoniare è Farès (Nidhal Saadi), poliziotto integerrimo ma rassegnato, a sua volta vittima di una tremenda ingiustizia. Il processo di emancipazione di Aya passa necessariamente per un confronto con la corruzione e l’iniquità strutturale della società tunisina. Il personale della protagonista ormai è politico. È un po’ un problema, come il film provi a conciliare i due versanti.

Politico e attento all’individuo, il film fatica a gestire la sua complessità ambiziosa

Una sconosciuta a Tunisi; cinematographe.it

La traiettoria di Una sconosciuta a Tunisi è il viaggio dal punto A al punto B (meglio C) di una giovane donna che, attraverso numerose reinvenzioni e contro ogni pronostico, prova a costruirsi una nuova e miglior eidentità. Aya diventa Amira che a sua volta diventa Aïcha; di quest’ultima, la più decisiva e consapevole tra le incarnazioni della protagonista, meno se ne parla, meglio è (no spoiler). In fondo, la regia di Mehdi Barsaoui non ha interesse a darci troppe informazioni in merito. Quello che conta è che Aya arrivi all’agognata indipendenza. Cosa succede poi, e come, è un mistero affidato alla curiosità dello spettatore.

Il paradosso è che Una sconosciuta a Tunisi zoppica proprio in quello che, in teoria, dovrebbe essere il suo più grosso pregio: l’ambizione. È questo il caso, e curioso anche, di un’opera seconda che ha il difetto strutturale di tanti esordi; c’è dentro troppo. Alla regia coraggiosa di Mehdi Barsaoui manca la lucidità di bilanciare la doppia anima del film stabilendo una gerarchia di priorità e, ancora più importante, una coerenza interna che impedisca alla storia, tirata da più parti, di perdersi per strada. Il problema, più nello specifico, è che a metà del cammino il film “abbandona” per un po’ la storia di Aya-Amira per parlarci di corruzione, abusi e squilibri di potere. Aya finisce ai margini del film di cui è protagonista, e quando Una sconosciuta a Tunisi si ricorda di lei e prova a conciliare le due anime – il percorso di maturazione individuale e la severa critica sociale – forse è troppo tardi.

Il film finisce per contenerne due, monchi entrambi anche se degni del massimo interesse: una parziale odissea esistenziale e un incompleto film politico. Fatma Sfar lavora sulle fragilità di Aya e l’inclinazione a muoversi in direzione ostinata e contraria alla società tunisina; funziona per la forza dignitosa e limpida del suo sguardo, ma è chiaro che Una sconosciuta a Tunisi le poggia sulle spalle un peso squilibrato. Va meglio al collega Nidhal Saadi. Farès è un poliziotto che non tollera l’ingiustizia; la sua traiettoria è contenuta interamente, così come i rapporti con la protagonista, dal versante politico del film, il che gli permette di evolvere in maniera ordinata, coerente ed emotivamente solida. Mehdi Barsaoui gira un film personale e politico appesantito dall’ambizione di tenere insieme tante cose: identità, indipendenza, maschilismo, corruzione, quadro d’ambiente, critica sociale.  Non ha paura di mettere il dito nella piaga, ma affolla la storia di troppe piste narrative ed esaspera la sua profondità con la bulimia dei temi. Vitale e interessante, il film meritava un altro equilibrio.

Una sconosciuta a Tunisi: valutazione e conclusione

L’eccesso di ambizione è un limite, il difetto di ambizione è un limite ancora più grande. Mehdi Barsaoui non riesce far quadrare le tante anime di Una sconosciuta a Tunisi – due film incompleti non ne fanno uno intero e senza macchie – ma nella caotica complessità dell’opera seconda c’è la voglia di indagare una parte di mondo – la Tunisia in bilico tra modernità e a reazione – per tirarne fuori quanta più verità universale, umana e politica, è possibile. Succede tanto nella storia perché la coerenza sia un obiettivo realistico, e allora bisogna guardare altrove: all’intensità dignitosa delle interpretazioni, e a soluzioni di sceneggiatura – come Aya utilizza simboli dell’oppressione patriarcale ribaltandoli e facendone strumento di liberazione, una trovata geniale – che puntano nella direzione di un cinema politico ma attento alle necessità dell’individuo. Gli gioverebbe un altro senso della misura. Il coraggio già c’è. Serve un maggiore controllo sulla storia e sulle possibilità che sa e può offrirci.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.8