Una battaglia dopo l’altra: recensione del film di Paul Thomas Anderson

Leonardo DiCaprio, Sean Penn, Benicio del Toro, la giovane Chase Infiniti e tanti altri sono i protagonisti di Una battaglia dopo l'altra, il film di Paul Thomas Anderson nelle sale italiane il 25 settembre 2025.

In realtà, Una battaglia dopo l’altra non è un soggetto originale. Di originale, di strettamente associabile alla cifra espressiva del più grande autore americano vivente – si guarda alle generazioni recenti, niente offesa Marty, Steven, Brian e tutti gli altri – del più forte, del più puro, insomma, di Paul Thomas Anderson, il film ha molto. Ha l’esuberanza formale che non deraglia in pretenziosa ricerca di un bello fine a se stesso, il lavoro sui generi, l’intelligente dosaggio di contemporaneità e universalità (dei temi e del discorso sentimentale); eppure, non è tutta farina del suo sacco. Non bisogna fraintendere, non si fanno insinuazioni di sorta. È che il film va celebrato – lo merita come pochi altri americani, di questi tempi – per quello che è, e cioè l’incontro di due genialità corrosive e idiosincratiche: l’occhio di Paul Thomas Anderson e la penna di Thomas Pynchon. L’aveva già adattato nel 2014 con Vizio di forma, torna di nuovo dalle parti del grande scrittore utilizzando, come spunto per l’impalcatura narrativa ed emotiva di Una battaglia dopo l’altra, nelle sale italiane il 25 settembre 2025 per Warner Bros. Pictures Italia, il romanzo del 1990 “Vineland”. Cast: Leonardo DiCaprio, Sean Penn, Teyana Taylor, Regina Hall, Benicio Del Toro e la novità Chase Infiniti.
 

Una battaglia dopo l’altra: di famiglia e di rivoluzione, insieme e separate

Una battaglia dopo l'altra; cinematographe.it

Non è un soggetto originale, e neanche un adattamento in senso stretto, Una battaglia dopo l’altra. La libertà più vistosa che Paul Thomas Anderson si prende sul materiale, la più importante e quella che chiarisce l’ibrida, affascinante natura del film, è il tempo. Una battaglia dopo l’altra è il primo film di Paul Thomas Anderson ambientato – più o meno, perché presente e passato sono concetti da interpretare con una certa elasticità – in un mondo che somiglia al 2025 e dintorni, con tutti i limiti del caso. È il primo film del regista americano in 23 anni, dai tempi di Ubriaco d’amore (2002), che non cerca la fuga dal presente per spiegare il presente. E se Vineland prendeva spunto dalla controversa realtà americana degli anni ’80, tutto, qui, parla del caoticissimo e polarizzato secolo XXI. In un modo, però, che non condanna il film all’irrilevanza. A dieci, venti, trent’anni dall’uscita, Bob (Leonardo DiCaprio) e Willa (Chase Infiniti) saranno sempre Bob e Willa.

Bob è un rivoluzionario. Appartiene a un collettivo di attivisti in difesa di stato di diritto, democrazia e progresso, negli Stati Uniti tendenti a un autoritarismo fascistoide e suprematista bianco. Bob passa sotto molti nomi e opera nel gruppo French 75, insieme a Deandra (Regina Hall) e, soprattutto, Perfidia Beverly Hills (Teyana Taylor). Bob e Perfidia si amano e hanno una figlia, Charlene. Fanno fatica a conciliare afflato rivoluzionario e vita in famiglia, soprattutto lei. Ci pensa il fascistissimo/sinistro/muscoloso/ridicolo colonnello Steve Lockjaw (Sean Penn), garante dell’ordine costituito e invaghito di Perfidia, a cambiargli la vita.

Una battaglia dopo l’altra è la storia di un prima e un dopo. Il prima è la vita di Bob e Perfidia fino alla nascita di Charlene e all’incontro con Lockjaw. Il dopo, la fuga nell’anonimato quando i piani rivoluzionari spariscono, la sopravvivenza della famiglia è messa a dura prova e Bob e Charlene, che ora si fa chiamare Willa, si tuffano nell’anonimato per nascondersi dalla furia del governo americano. Passa un po’ di tempo; Willa è un’adolescente da manuale, arrabbiata col mondo e con il padre. Studia arti marziali con il sensei messicano Sergio St. Carlos (Benicio del Toro), mentre il padre ha smesso di fare la rivoluzione, è imbolsito, non ricorda più le parole d’ordine ed è perennemente fatto. Ecco che all’improvviso Lockjaw ritorna, in cerca di entrambi. Padre e figlia, separati, devono ritrovarsi. Brucia il mondo fuori e dentro di loro. La rivoluzione, che prima era un fatto essenzialmente politico, ora è anche sentimentale. È il miracolo del film, come riesca a tenere insieme tutto.

Cambiare il genere, cambiare il mondo, in equilibrio tra autiorialità e spinte commerciali

Una battaglia dopo l'altra; cinematographe.it

Parlare di miracolo significa ripararsi dietro un facile escamotage retorico; bisogna spiegarsi, altrimenti è difficile. Un modo è partire dalla durata. Una battaglia dopo l’altra dura tanto, due ore e quaranta; non perde un battito, ma può risultare problematico per alcuni. È inevitabile che le cose vadano per le lunghe. È il senso (d’autore) del cinema di Paul Thomas Anderson che lo richiede, forse anche lo impone. E l’autorialità non è il ripiegamento dialettico verso un passato nostalgicamente rimpianto. Il regista americano (che dirige, scrive e anche produce il film) è autore e non solo nei termini di un ossessivo controllo sulla materia, o per le idee fisse che muovono il suo storytelling: il pensiero che ogni relazione umana consista in un gioco di potere, per esempio, di cui il film è plastica dimostrazione. Autore, lo è anche per l’instancabile, iconoclasta lavoro sui generi.

Li torce, li comprime, li dilata, ne misura le inesplorate possibilità, con una grazia formale all’equilibrio tra eleganza e sobrietà, un umorismo spiazzante, l’inquietudine sorda al fondo dell’inquadratura, ancora una volta sorretta dall’orchestrale, intima e potente colonna sonora del compare Jonny Greenwood. Che si tratti di commedie sentimentali o scrupolose/ lisergiche rievocazioni storiche, il risultato per PTA (acronimo) è sempre alieno alla purezza del genere di riferimento, ma non è mai un tradimento; straniante, sì, ma nel solco della tradizione di un’America cinematografica di cui il regista si sente figlio, ribelle e cocciuto ma non terrorista, mai terrorista. Una battaglia dopo l’altra è una sfida interessante, per l’autore Paul Thomas Anderson. Non solo per la sovrapposizione di generi – action, film politico, satira sulla contemporaneità, dramma familiare – ma anche perché, almeno nelle intenzioni, è il primo film autenticamente commerciale della sua carriera.

Commerciale, nei limiti di un certo modo di intendere il cinema, Una battaglia dopo l’altra riesce a esserlo. Ha una premessa semplice in teoria e non altrettanto nella pratica, ma arriva al punto con ammirevole chiarezza e rispetto per l’intelligenza dello spettatore: vivere la vita non è facile, ma si può sempre fare la cosa giusta. Bob e Willa ci riescono. La vita va combattuta una battaglia dopo l’altra, nell’onestà delle proprie imperfezioni. Nell’autoironico disfacimento fisico e caratteriale – una intelligente, anche non spiazzante, aggressione alla sua immagine cinematografica – Leonardo DiCaprio celebra, sorretto dalla dolcezza arrabbiata della giovane e molto brava Chase Infiniti, un eroismo straccione, imperfetto, maldestro; l’unico onesto, il solo possibile. È il guanto di sfida a un modo di raccontare la grandezza e la nobiltà tipicamente hollywoodiano, seducente ma ipocrita. Un’idea interessante, che il film proietta sull’intero cast. Come, anche questo va spiegato.

Una battaglia dopo l’altra: valutazione e conclusione

Ogni personaggio, ogni interprete, di Una battaglia dopo l’altra, sfida il modello di riferimento per piegarsi a una rappresentazione della realtà onesta, sincera, comunque intonata al grottesco, divertente e profondo gioco del film. Vale per il coraggio ironico e sornione di Benicio del Toro, la pacata intelligenza di Regina Hall, l’aggressività sensuale di Teyana Taylor, il machismo tossico, pauroso e ridicolo, di uno straordinario Sean Penn, alle soglie di una possibile resurrezione professionale. È una piccola parte, questa sfuggente multiformità delle caratterizzazioni, del miracolo di Una battaglia dopo l’altra.

Il film ha tanto, dentro: un padre e una figlia che cercano, imperfettamente, di essere la migliore versione di se stessi. Un mondo polarizzato su fratture chissà quanto sanabili, si tratti di differenze generazionali o di idee in guerra, dall’uso dei pronomi alla dicotomia democrazia vs. fascismo. E poi c’è il cinema d’autore mixato all’azione e all’adrenalina – uno dei migliori inseguimenti degli ultimi anni, vedere per credere – l’umorismo alla malinconia, la politica al sentimento. Eppure, tutto quadra. Quadra, perché Paul Thomas Anderson “ruba” la stralunata, disincantata irriverenza di Thomas Pynchon ma per fare un film totalmente suo, in cui tutto – politica, sentimenti, risate e paura – è isolabile dal contesto ma coerentemente intrecciato all’insieme. All’inizio, Una battaglia dopo l’altro è l’intersezione di tanti film: politico, commerciale, sentimentale, d’autore. Alla fine, tutto si amalgama, senza disperdere la propria unicità, nell’immagine di un padre e una figlia che si vogliono bene. I tanti film in uno diventano un film che ne contiene tanti. Un miracolo, appunto, di forma e contenuto.

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 5
Sonoro - 5
Emozione - 5

5