Un altro Ferragosto: recensione del film di Paolo Virzì

Quasi trent'anni dopo Ferie d'agosto, Paolo Virzì ritorna a Ventotene con il sequel Un altro Ferragosto. Storia di famiglie agli antipodi e di un'Italia lacerata che cambia per rimanere se stessa. In sala dal 7 marzo 2024.

A quasi trent’anni dal primo, storico, Ferie d’agosto (1996), Paolo Virzì torna a Ventotene per raccontare con piglio tragicomico l’Italia che cambia per rimanere se stessa: un paese politicamente lacerato, moralmente incompiuto e dannatamente infelice. Il sequel si chiama Un altro Ferragosto, il cast è più o meno lo stesso di prima, con qualche uscita di scena e un paio di (belle) novità, la sceneggiatura è di Paolo Virzì, Carlo Virzì e Francesco Bruni e in sala arriva il 7 marzo 2024 per 01 Distribution. Vale la pena di approfondire sul cast perché i meriti del film vanno misurati anche sulla finezza nel manovrare la sovrabbondanza di nomi, psicologie, linee narrative e tematiche. Silvio Orlando, Laura Morante, Andrea Carpenzano, Agnese Claisse, Gigio Alberti, Paola Tiziana Cruciani, Christian De Sica, Sabrina Ferilli, Vinicio Marchioni, Anna Ferraioli Ravel; non è poco e scuseranno quelli e quelle che qui non figurano, ma bisognava proprio fermarsi, anche a costo di ferire qualche sentimento. La forza dell’originale stava nella denuncia, sotto la maschera spessa della commedia di costume, di un mutamento antropologico e culturale (i benestanti progressisti vs. il proletariato filofascista) che il cinema italiano aveva fino a quel momento bellamente ignorato. Finendo per anticipare parecchio di quello che è venuto dopo, il film ha con il tempo acquisito una valenza profetica.

Un altro Ferragosto: le due tribù tornano a Ventotene, per litigare e continuare a non capirsi

Un altro Ferragosto cinematographe.it recensione

Sono tornati a Ventotene per trascorrerci le vacanze, ma forse non se ne erano mai andati. Il 1996 di Ferie d’agosto è il 2023 circa di Un altro Ferragosto; più che parlare di presente e passato, opportuno sarebbe correggere in presente uno e presente due. Perché l’ostilità, i futili rancori, l’impossibilità di imparare dai propri sbagli, le opposte ideologie, peggio ancora, le opposte tifoserie, sono le stesse di sempre. I Molino e i Mazzalupi, clan agli antipodi costretti a spendere l’estate in villini adiacenti, hanno infestato per anni la coscienza autoriale di Paolo Virzì implorando un’altra chance. L’Italia di cui sono metafora non è migliorata, neanche peggiorata, è rimasta se stessa con tragicomica coerenza e la cosa andava raccontata. Il regista livornese ha aspettato pazientemente l’occasione giusta per rimettere in piedi la storia, rievocando vizi e virtù delle due Italie, l’una elitaria e l’altra popolare, vicine di casa e che proprio non riescono a parlarsi.

A ognuna il film riserva un sentiero diverso, un sentiero di morte e uno di vita; inevitabile che le strade si incrocino. Sandro Molino (Silvio Orlando) non è in gran forma ma non ha perso un’oncia del suo ostinato piglio antifascista e del carattere fumantino. Più lento, più vecchio, più stanco, scrive con l’aiuto del nipotino una lettera a Ursula Von Der Leyen per mettere al sicuro il pollaio di Altiero Spinelli, il padre dell’Europa unita, che con tanti altri (tra cui Sandro Pertini) proprio a Ventotene aveva fatto il confino. Ma di Ventotene, del confino, della democrazia, non sembra interessare più a nessuno. Non alla moglie Cecilia (Laura Morante), non ai figli Agnese Claisse e Andrea Carpenzano, agli amici Gigio Alberti, Claudia Della Seta e Raffaella Lebboroni. Nel frattempo, Sabrina Mazzalupi detta Sabry (Anna Ferraioli Ravel) è diventata rustica influencer e sull’isola sposa il rude Cesare (Vinicio Marchioni), che per l’occasione si è portato dietro pure la ex Emanuela Fanelli. Sabry crede con forza che il suo sia un matrimonio d’amore, anche se la zia Marisa (Sabrina Ferilli), vedova e sbarcata a Ventotene con il nuovo compagno, il comicamente fallito ingegner Nardi Masciulli (Christian De Sica), pensa sia l’ennesimo e sconfortante brutto affare. Peccato che la mamma di Sabry, vedova pure lei, Luciana (Paola Tiziana Cruciani), non se ne accorga. Come Sandro, ha altro a cui pensare.

Il boccone dolceamaro di Un altro Ferragosto è l’ossessiva ripetizione dei vecchi sbagli, il funerale delle speranze e delle idee – confuse come sempre e come sempre urlate – il compiaciuto ripiegamento su un’idea di passato fragile e illusoria, la difficoltà a comprendere che la rivoluzione si fa solo se, prima, si mette ordine nei propri sentimenti. I Molino e i Mazzalupi non lo capivano nel 1996 e non lo capiscono neanche nel 2023. Ma anche la verità più logora del mondo ha numerose piccole sfumature di cui è necessario dar conto; Un altro Ferragosto è un film che approfitta spudoratamente della sua natura corale e della densità dei temi. Ci sono tanti personaggi e un proliferare di linee narrative su cui instradarli; la storia trova sempre il modo, guidata dall’elettricità nervosa della macchina da presa, si muove senza pace e animata da una curiosità insaziabile, di gratificarli più o meno tutti, anche quelli che in termini di minutaggio soffrono un po’, come il tutore dell’ordine Rocco Papaleo.

Passato, presente e futuro

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Nell’Italia gattopardesca al contrario di questi anni ’20 – si potrà dire che il decennio non porta nulla di buono al nostro paese? – del XXI secolo, (poco o) nulla cambia, perché niente cambi. Quanto è vicino e quanto è lontano, per Paolo Virzì, il 1996 di Ferie d’agosto, quanto somiglia al nostro presente deragliato e caotico, preso a ceffoni da una crisi dopo l’altra. Quel passato lì, come ogni passato, arriva nel presente dilatato, deformato, e convenientemente aggiustato dal filtro della memoria e dell’ideologia. Il passato non è mai esistito sul serio, è una pagina vuota che scriviamo e riscriviamo, è un film in bianco e nero come i sogni antifascisti di uno sfatto ma perversamente vitale Silvio Orlando. Non ha più molto tempo. A bilanciarne i limiti c’è l’eroica fragilità della malattia, la testa dura; lo spettro del fallimento (degli ideali, dei sentimenti) lo incalza, lui però mantiene un’invidiabile coerenza di pensiero e atteggiamenti.

Il presente è la storia che si ripete sempre uguale a se stessa, è il matrimonio mille volte sbagliato di Anna Ferraioli Ravel e Vinicio Marchioni, visto dagli occhi stanchi ma pieni di umanità di Sabrina Ferilli. Loro, sono il paese reale che continua a votare contro i propri interessi, avido e cinico, omofobo e incurante delle mostruosità della storia, corteggiato dai detentori di un potere vecchio come il mondo ma che prova ad atteggiarsi a novità. Forse ce la faranno, i nuovi (vecchi) fascisti, a raggirare l’Italia delle periferie, ma in quel mondo lì c’è il soffio di un’innocenza e una tenerezza commoventi. E poi c’è il futuro. E il futuro di Un altro Ferragosto è il folle, divertente, malinconico monologo di una strepitosa Emanuela Fanelli, un fiume di parole che mette insieme tutto, i problemi dei singoli e i fallimenti dell’umanità, le lacrime e le risate, la forza salvifica del cinema che ci insegna ad andare avanti nonostante tutto. Come il protagonista di un film semisconosciuto, presentato in una rassegna cinematografica cui partecipano sì e no dieci persone, perché così vanno le cose a Ventotene e nel resto del mondo.

Si è detto che poco o niente cambia, nel passaggio da un film all’altro, ma non è proprio così. E non solo perché i fascisti sono sempre più fascisti anche se continuano a nascondersi, i democratici a un passo dall’estinzione e c’è pure la terza via grillina che prima non c’era o forse dissimulava soltanto. Se ne sono andati in tanti, da Ennio Fantastichini a Piero Natoli. I personaggi di Un altro Ferragosto non possono nascondersi dietro l’ombrello delle grandi narrazioni ideologiche, perché il presente è fragile e si mangia tutto. Non c’è nemmeno il riconoscimento di un’umanità comune nella debolezza, nell’infelicità e nel senso di incompiutezza che avvicina le due tribù oltre le preferenze elettorali. Nel retrogusto funereo ma divertito del film – dolceamaro, comico e drammatico – nell’accettazione per niente serena della confusione della vita, nel coraggio di guardare le cose prepotentemente negli occhi, Paolo Virzì trova il riscatto per sé, i suoi personaggi, l’Italia. Un altro Ferragosto è il suo film più riuscito da molto tempo a questa parte, è la sua commedia larga, che trova spazio per la morte e le risate, per la satira sociale e l’intimismo, per la vita e per la morte; è la sua prima vera grande commedia all’italiana. Il cinema di ieri si specchia nel cinema di oggi, il ponte è tra due mondi che non possono parlarsi perché troppo lontani, ma ne vale comunque la pena.

Un altro Ferragosto: valutazione e conclusione

Sequel rigoroso, replica stili e atmosfere del primo film ma trova il modo di innovare, spostando leggermente l’asse senza compromettere l’efficacia e il dosaggio degli ingredienti. Un altro Ferragosto riesce a instaurare un dialogo potente tra il passato e il presente dei personaggi, degli interpreti, del cinema, del paese. Paolo Virzì gioca con la confusione della vita e mischia, con lucida follia, la satira sociale e l’analisi dei caratteri, le risate e la tristezza, la vita e la morte. Un affresco corale e denso di suggestioni, manovrato da un regista che si (ci) ricorda che al cinema tutto comincia lavorando di fino sulla pagina scritta (insieme al fratello Carlo e a Francesco Bruni). Sul set poi si affida con calore al ricco e trasversale cast, volti nuovi e meno. Tra i nuovi, una menzione per la simpatica e umanissima cialtroneria dell’ingegnere fallito/Christian De Sica. Dopo decenni di carriera e un’immagine consolidata, trova il modo di rigenerare il “suo” personaggio cinematografico contaminando l’umorismo di una salutare malinconia.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.6