Tutta colpa del rock: recensione del film dal GFF55
Tutta colpa del rock di Andrea Jublin è una commedia che unisce leggerezza, musica e voglia di riscatto.
“Noi siamo delle rockstar”. E lo sono per davvero i protagonisti di Tutta colpa del rock (2025), diretto da Andrea Jublin e scritto da Lillo Petrolo, Tommaso Renzoni e Matteo Menduni. L’animo rock è insito nella pelle dei personaggi, nelle scelte, nelle azioni: veri underdog dimenticati dalla società. Sì, perché se il tono del film è leggero e ironico, Tutta colpa del rock racconta la rinascita di un gruppo di persone che si ritrovano a vivere esistenze precarie e talvolta anonime in carcere, lontano dagli affetti e dalle persone più care. Strizzando l’occhio alle commedie di Wilder e Landis, Jublin e Lillo realizzano una commedia divertente e brillante.
Il film è stato presentato in anteprima alla 55ª edizione del Giffoni Film Festival. Nel cast, oltre al già citato Lillo, anche Diego Naska, Maurizio Lastrico, Valerio Aprea, Massimo De Lorenzo, Elio, Agnese Claisse, Massimo Cagnina e Carolina Crescentini. Tutta colpa del rock sarà in sala dal 28 agosto con PiperFilm. Prodotto da Mattia Guerra, è una produzione Be Water Film e PiperFilm, in collaborazione con Netflix. La colonna sonora è firmata da Motta, che ha curato anche la supervisione musicale.

Tutta colpa del rock è un film divertente, leggero, ma che sottende una volontà di fondo precisa: l’amore per le relazioni umane

Quando tutto sembra volgere al peggio, quando ti sembra di aver toccato il fondo, è lì che l’essere umano – spinto dall’amore – riesce a trovare la forza per compiere imprese impossibili e inimmaginabili. Come quella intrapresa da Bruno (Lillo Petrolo) e la sua band. Partiamo dal protagonista: Bruno è un ex chitarrista rock caduto in disgrazia, bugiardo patologico, egoista, vanesio e padre assente. Dopo una catena di disastri tragicomici, finisce in carcere. Proprio lì si accende per lui una possibilità inaspettata: mettere in piedi una band con altri detenuti per partecipare al Roma Rock Contest e provare a vincere il premio in denaro.
L’obiettivo è rimanere a galla e mantenere la promessa fatta alla figlia Tina: portarla negli Stati Uniti per un mitico “Rock Tour”. La soluzione, in questi casi, è guardarsi intorno, osservare e scrutare le perle nascoste che ci circondano. Così Bruno mette in piedi una band di musicisti improbabili: Roberto (Maurizio Lastrico), padre amorevole e compagno di cella; Osso, colosso intimidatorio ma dal cuore fragile; il Professore, silenzioso e riflessivo; Eva, una batterista fuori dagli schemi; e K Bone, ex trapper che si rivela penna ispirata e anima del gruppo.
In tutto questo, la musica diventa strumento di riscatto ed emancipazione. Ricalcando in parte il capolavoro dei Blues Brothers, Tutta colpa del rock trasforma le scene musicali in momenti di crescita e di condivisione tra esseri umani, in cui emergono tutte le contraddizioni dei personaggi, ma anche i punti che li uniscono e li rendono simili.
In un luogo di detenzione, Tutta colpa del rock fa esplodere le relazioni umane, costringendo a mettersi in ascolto dell’altro
Mai come in questi ultimi anni, il cinema italiano ha portato le sue storie nelle carceri: da Ariaferma a Grazie Ragazzi, a Il permesso – 48 ore fuori. Troppo spesso questi luoghi diventano teatro di vite umane lacerate, in frantumi, e di cui il suicidio diventa mezzo per “evadere” da esistenze precarie e abbandonate a sé stesse. Vedere Tutta colpa del rock significa immergersi – grazie al dono della commedia – in un carcere quasi cartoonesco, con personaggi umani, fragili e in cerca di riscatto. Ma che conservano un briciolo di vitalità negli occhi, che li permette di sopravvivere anche grazie al potere della musica.
Andrea Jublin mette in scena una coralità di personaggi ben mischiata tra loro, in cui ognuno funge da nota musicale inserita in una più ampia commedia sinfonica. Bruno, il frontman, riesce a fatica a esprimersi con gli altri, eppure trova il coraggio per far emergere il talento dei singoli. Mette insieme una squadra, una band a prima vista raffazzonata, con poche speranze: un gruppo di persone che richiama alla mente la cialtroneria tipica monicelliana, a metà tra una band(a) degli onesti e i ladruncoli de I soliti ignoti. Con questi riferimenti prende vita il gruppo musicale dei “Mavatteneafanculo” (nomen omen che richiama l’ironia tipica dei gruppi demenziali, dagli Lsd – Latte e i Suoi Derivati di Lillo Petrolo ai più storici Squallor). I presupposti sono quelli di una commedia ben scritta, con un cast affiatato e una voglia di raccontare le relazioni umane attraverso i codici di genere.
Oltre il protagonista Bruno, il film è costellato di personaggi secondari che arricchiscono il capitale ironico della commedia

La bravura di Lillo, le sue espressioni e la sua grande esperienza basterebbero da sole a provocare le risate nel pubblico; ma è ancora più interessante vederlo circondato da attori altrettanto bravi e talentuosi. Le dinamiche di gruppo tra Elio, Maurizio Lastrico, Valerio Aprea e Agnese Claisse sono esilaranti e spiritose. Ma tra le risate e le gag, c’è spazio anche per i conflitti interiori, le ferite più profonde.
Tra tutti, Roberto (Maurizio Lastrico) e Bruno sono due padri che soffrono per la mancanza dei figli, per la consapevolezza di avere una famiglia segnata dalla distanza e dal dolore, ma che trovano nella musica il terreno fertile per riscattare sé stessi e, soprattutto, l’intera famiglia.
Anche i comprimari trovano il modo per esprimere chi sono: il Professore (Elio), all’apparenza scontroso e schivo, che nasconde via via una condanna di solitudine; Osso (Massimo Cagnina), un gigante buono e fragile; Eva (Agnese Claisse), una batterista sui generis; e K Bone (Diego Naska), un ex trapper che trasforma il suo dolore in versi, portando uno spirito giovane e trainante nella band.
Tutta colpa del rock: valutazione e conclusione
Tutta colpa del rock è una commedia ben riuscita, divertente e leggera, ma mai superficiale. Le gag sono scritte con intelligenza, mai sopra le righe, e scandiscono un ritmo comico che funziona senza forzature. Andrea Jublin lavora con precisione sul contrasto tra l’ambiente carcerario – ampio, cupo, freddo – e il calore umano sprigionato dai personaggi, anime fallibili ma autentiche, mosse dal desiderio di riscatto. Il cast è affiatato, armonico, e contribuisce alla riuscita di un racconto che diverte, commuove e fa riflettere. Un film da vedere, perché regala due ore di leggerezza, di umanità e di speranza, tra vero rock ribelle e cuori che provano ancora a trovare il loro spazio nel mondo.