Tótem – Il mio sole: recensione del film di Lila Avilés

Una festa di compleanno diventa per la giovane protagonista un doloroso, necessario e commovente apprendistato alla vita (e alla morte). Tótem - Il mio sole arriva nelle sale italiane il 7 marzo 2024.

Che sfortuna, Tótem – Il mio sole. Candidato (per il Messico) all’Oscar al Miglior Film Internazionale nell’anno di Io capitano, Perfect days e La zona d’interesse; non capita spesso una competizione così serrata. Nemmeno il colossale autogol della commissione selezionatrice francese, che chissà perché (ragioni politiche?) ha scordato di sostenere Anatomia di una caduta, è riuscito a spianare la strada al secondo film della messicana Lila Avilés. Non ha molto senso definire credenziali e appetibilità del film d’autore sulla base del numero di riconoscimenti ottenuti (o soltanto sfiorati), ma se è vero che Tótem – Il mio sole agli Oscar 2024 non ci va, è altrettanto vero che oltre al Premio della Giuria Ecumenica a Berlino 2023 ha dalla sua la partecipazione a più di 60 festival cinematografici.

L’uscita italiana è prevista per il 7 marzo 2024, la distribuzione è Officine Ubu e il momento, per questo genere di proposta – elegante, stratificata, fieramente autoriale – non potrebbe essere più propizio. Il cinema d’autore riscopre il pubblico italiano, il pubblico italiano riscopre il cinema d’autore. Sia la fame di cinema in sala del post-Covid, sia la mancanza di blockbuster di rilievo (Dune a parte), sia il gusto involontariamente affinato dalla sterminata offerta delle piattaforme streaming; le ragioni di questa piccola felice rivoluzione sono tante ed è complicato orientarsi, l’auspicio è che la tendenza si consolidi anche nel lungo periodo. Tornando al film, è la storia di una giornata, anzi, una mezza giornata, decisiva nella vita di una bambina.

Tótem – Il mio sole: una festa di compleanno, un addio, un’educazione alla vita

Tótem - Il mio sole cinematographe.it recensione

Unità di luogo, tempo e azione. Tótem – Il mio sole, preoccupato com’è di far entrale lo spettatore nella storia il più rapidamente (e chiaramente) possibile, sceglie la via del rigore. Luogo: una casa da qualche parte a Città del Messico. Tempo: un pomeriggio e seguente serata. Azione: la festa di compleanno, tristemente l’ultima, di Tona (Mateo Garcia). Tona è un giovane pittore e sta morendo di cancro. Malato terminale, non c’è più niente da fare, lui lo sa e tutti lo sanno. L’unica che non riesce a fare i conti con l’impietosa, amara e inappellabile verità, è la piccola Sol (Naíma Sentíes), sua figlia. Sol è la protagonista del film, nel senso che tutto quello che succede è filtrato dal suo sguardo e rielaborato dalla sua personalità.

La festa è l’addio di Tona al mondo ma Sol non riesce a capire bene di che si tratti. Lei vuole solo vedere il padre, parlarci un po’, temendo, nella sua ingenuità, che il rifiuto di vederla mascheri la fine del suo amore per lei. La madre, Lucia (Iazua Larios), con ogni probabilità è separata da Tona, perché non stanno insieme anche se mantengono buoni rapporti. Ma come vadano le cose nella famiglia non è del tutto chiaro ed è questo il punto, per Lila Avilés. Non deve essere tutto chiaro, perché la vita è caotica e il film si adegua, rubandole quel tanto di ambiguità che serve alla storia. Sol sa che suo padre sta morendo, ma non è in grado di misurare le implicazioni e la portata dell’evento. Il film la accompagna in un doloroso apprendistato alla vita. Alla fine della serata, è una persona diversa.

La contraddizione di una festa che è contemporaneamente una celebrazione e un addio è la chiave di volta di Tótem – Il mio sole. Si è parlato di apprendistato, di educazione alla vita (e alla morte), ma non è così semplice. Il film racconta un dolore grande ma lo circonda di umorismo e vitalità: il chiasso della famiglia e la confusione, l’allegra confusione, dei preparativi per la festa. Il fantasma della separazione imminente avvelena ogni conversazione, ma c’è spazio per la speranza. Ed è questa ambiguità, problematica e ineludibile, che Sol deve accogliere dentro di sé man mano che le ore passano e la festa si avvicina alla conclusione. Il dolore della perdita le cambierà la vita, ma luce e amore la attendono anche sul fondo dell’abisso. I sentimenti si confondono, così le speranze, le paure e le ambizioni. La lunga conversazione, intessuta di verità sottese e mezze parole, che struttura l’arco narrativo di Tótem – Il mio sole. Il rifiuto dei paroloni, il tono colloquiale, l’estremo realismo; Lila Avilés vuole arrivare al cuore (sincero) delle cose.

La finzione cinematografica ricostruisce il battito della vera vita

Tótem - Il mio sole cinematographe.it recensione

Lila Avilés gira un film antiretorico. Conosce i rischi e le trappole di questo tipo di storia: sentimentalismo, morbosa compiacenza nell’esposizione del dolore e, appunto, retorica. Tótem – Il mio sole è un film modellato sullo sguardo della giovane e molto brava protagonista, Naíma Sentíes. Nella sua innocenza, nel suo essere contemporaneamente al centro di tutto e ai margini, perché il papà sta morendo ma lei non può capire, almeno così pensa chi le sta intorno, si modella il contraddittorio equilibrio del film e il suo sapore di pacato realismo. La verità, per Sol e di conseguenza per lo spettatore, è a portata di mano ma difficile da maneggiare: limpida e insieme sfuggente. Diventare grandi, diventare grandi anche nostro malgrado, com’è il caso qui, significa farsi carico di queste tensioni.

La macchina da presa non si allontana mai dal volto dei personaggi, perché non c’è altro modo di catturare l’emozione nella sua forma più nobile e pura. La macchina da presa si muove in continuazione, perché la verità per Sol e per noi che sbirciamo dal buco della serratura è sparsa un po’ dappertutto. La casa è Tótem – Il mio sole, la casa è Città del Messico, la casa è la vita di ognuno di noi; è i personaggi e i loro sogni, le paure, le ambizioni. Lila Avilés gira un film rigoroso e antiretorico, dinamico e formalmente esuberante, che ci ricorda della strana comunicazione che si instaura tra i luoghi e le persone. Non è per niente netta la cesura che separa il luogo, la materia, l’oggetto inanimato, dalla carne e ossa, dallo spirito dei personaggi. La casa è viva, è un ecosistema, un microcosmo – pieno di memorie, persone e sentimenti – e vibra di emozione, nonostante tutto.

Nonostante tutto. Lo stupore e la curiosità, la fame di verità negli occhi della piccola Sol lasciano via via spazio a uno sconcerto, un dolore, più definito ma non senza speranza. Un film retorico avrebbe inondato la scena di lacrime, avrebbe alzato la voce. Lila Avilés combatte una (neanche troppo) sotterranea battaglia a favore della dignità e del pudore. Tótem – Il mio sole è un film di estremo rigore che si muove ai margini della vita ufficiale (la festa, la celebrazione/addio di Tona) per cercare la sua verità. Senza mai allontanarsi dai personaggi, “attaccandoli” lateralmente, accontentandosi di scampoli di conversazione, briciole di parole, rifiutando di fornire il quadro generale. Concentrandosi su piccoli, sparsi, incoerenti frammenti di vita, nella somma di questi frammenti finisce per trovare una verità imperfetta, incompleta e, inevitabilmente (come protrebbe essere altrimenti?) non risolutiva. Ma anche una verità, perdonate il gioco di parole, più vera del vero.

Tótem – Il mio sole: conclusione e valutazione

Un film contro la retorica, contro gli eccessi e i facili sentimentalismi, Tótem – Il mio sole racconta la vita, l’amore, la morte e il dolore, le dimensioni fondamentali dell’esistenza, lavorando sulla forma per arrivare a una verità narrativa(emotiva/tematica) soddisfacente. Lila Avilés muove senza requie la macchina da presa, non si allontana dal volto dei personaggi, racconta del curioso legame che si instaura tra i luoghi e le persone. Una cifra stilistica ed espressiva disinvolta, ma è questo controsenso che fa la fortuna del cinema e, nello specifico, di questo piccolo film riuscito: nell’enfasi dei mezzi e delle tecniche puramente cinematografiche il film riesce a ricostruire il battito della vita vera. Tutto è falso e proprio per questo incredibilmente vero. Incrollabile dignità e una dolcezza mai scalfita dall’asprezza della vita, negli occhi della bravissima Naíma Sentíes.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5